T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 04-01-2012, n. 15 Espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’odierno ricorso, notificato il 28.03.2002 e depositato il successivo 15.04.2002, l’esponente ha impugnato gli atti in epigrafe specificati, assumendone la illegittimità sotto più profili.

In particolare, facendo leva sulla propria qualità di proprietario di un’area sita nel territorio dell’intimato Comune e oggetto di reiterati vincoli a standard urbanistici di interesse comunale, egli ha impugnato la deliberazione n. 118/2001. Ciò, poiché a mezzo della suindicata delibera il Consiglio comunale ha adottato una variante al P.R.G. reiterando, su una parte della area di sua proprietà, il vincolo "a standard urbanistici a livello comunale – F1" e prevedendo, per la restante parte, la destinazione a verde privato – V.P. Tale ultima destinazione, precisa sempre l’esponente, ai sensi dell’art. 36 NTA previste in variante, mentre non ammette "nessuna nuova costruzione", prevede anche che "le eventuali nuove recinzioni dovranno rispettare le caratteristiche architettoniche delle recinzioni limitrofe con valore storico-ambientale".

In occasione dell’esercizio delle proprie facoltà di partecipazione procedimentale, l’istante riferisce, poi, di avere presentato osservazioni, rilevando, con riferimento alla parte sottoposta a standard di interesse comunale, come siffatto vincolo avrebbe costituito "un’involuzione delle linee programmatiche di sviluppo urbanistico in quanto riconferma di vecchie previsioni di PRG che non hanno storicamente trovato un riscontro pratico ed utilità collettiva" (osservazione rubricata come 4.1).

Quanto alla parte destinata a V.P., l’esponente ne avrebbe richiesto la destinazione edificatoria, analoga a quella dei fondi confinanti (osservazione 4.2).

Con la deliberazione n.166/2001, di approvazione della variante de qua, l’amministrazione ha accolto l’osservazione 4.1, concernente la trasformazione della zona a standard urbanistico di interesse comunale – F1 in zona a verde privato, respingendo, invece, l’osservazione 4.2, relativa alla definitiva destinazione edificabile della restante parte. Ciò, sul presupposto, si legge nella relazione accompagnatoria alle controdeduzioni, che detta area costituisca "insieme con le aree contigue, un polmone verde entro l’edificato, da salvaguardare".

Da ciò l’odierno gravame, affidato a sette motivi, che fanno leva sulle varie figure sintomatiche di eccesso di potere, nonché sulla violazione di legge.

Si è costituito il Comune di Galbiate, controdeducendo con separata memoria alle censure avversarie.

Entrambe le parti hanno depositato memorie e repliche in vista dell’udienza di discussione del merito.

La difesa comunale ha, altresì, eccepito l’improcedibilità del ricorso, in conseguenza della deliberazione n. 85 del 10.12.2009, con cui il Consiglio comunale ha approvato il P.G.T., destinando l’area di proprietà del ricorrente all’interno dell’ATR 4, in parte area verde pubblico e per una quota area di sviluppo residenziale.

Inoltre, la stessa difesa comunale, dopo avere evidenziato che anche la deliberazione n. 85 cit. è stata attinta da un autonomo ricorso, proposto sempre dall’esponente e pendente al n. 802/2010 R.G. di questo T.A.R., ne ha chiesto la riunione con quello oggi in discussione.

Il patrocinio ricorrente si è opposto alla richiesta di riunione e all’eccezione di improcedibilità.

Alla pubblica udienza del 3.11.2011 il Collegio, sentite le parti, ha trattenuto la causa per la decisione.

Motivi della decisione

Preliminarmente occorre esaminare l’eccezione di improcedibilità del ricorso, sollevata dalla parte resistente sul rilievo che il P.G.T. approvato dal Comune di Galbiate ha conferito ad una parte delle proprietà dell’istante una nuova destinazione urbanistica.

L’eccezione deve essere disattesa.

Come chiarito dalla stessa difesa ricorrente, infatti, l’interesse all’odierno ricorso permane sia in funzione dell’effetto conformativo ricavabile da un’eventuale sentenza di annullamento, sia della connessa domanda risarcitoria la quale, a differenza di quanto accaduto nel caso esaminato da questo TAR con la sentenza n. 2352 del 5.10.2011 (richiamato dalla difesa resistente), risulta ritualmente proposta, nell’odierno gravame, contestualmente alla domanda di annullamento.

B. Il Collegio non ritiene, poi, di poter accedere alla richiesta di riunione prospettata da parte ricorrente in relazione al ricorso n. 802/2010 R.G.

Come noto, l’istituto della riunione risponde ad esigenze di economia processuale e di ordine pubblico processuale, quali quelle di evitare giudicati contrastanti (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 16 ottobre 2006, n. 6170, secondo cui: "la valutazione circa l’opportunità della trattazione congiunta di più cause connesse è rimessa alla discrezionalità del giudice innanzi al quale i procedimenti sono pendenti, con la conseguenza che l’esercizio o il mancato esercizio del potere di riunione è insindacabile". Cfr. altresì: Cass. Civ., sez. III, 16 maggio 2002, n. 7183).

Nel caso di specie, il Collegio ritiene che non vi siano valide ragioni che militino a favore della riunione, mentre emergono chiare ragioni di economia processuale a favore del mantenimento della separazione delle cause (procedere all’odierna discussione nel merito del gravame n. 1064/2002 R.G. che, altrimenti, avrebbe subito un inevitabile rinvio, in attesa della fissazione dell’udienza di merito del ricorso n. 802/2010, privo, allo stato, della cd. domanda di prelievo).

C. Passando ad esaminare il merito del ricorso, si osserva quanto segue.

1. Con il primo motivo, l’esponente deduce la violazione degli artt. 9 e 10 della L. n. 1150 del 1942, dell’art. 3 della L. n. 241 del 1990, nonché la violazione dei principi di partecipazione procedimentale, di proporzionalità, oltre all’eccesso di potere per travisamento dei presupposti, carenza di istruttoria e di motivazione, ingiustizia manifesta, irragionevolezza ed illogicità.

Ciò in quanto la motivazione del rigetto dell’osservazione 4.2, che, come già detto, si concentra sulla qualificazione dell’area de qua come "polmone verde entro l’edificato, da salvaguardare", non esaudirebbe l’obbligo di motivazione gravante sulla p.a., anche perché l’area in questione è di ridotte dimensioni e dunque inidonea a mutare l’equilibrio della zona.

Il motivo è infondato.

1.2 La prima questione da affrontare è quella della corretta qualificazione giuridica del vincolo reiteratamente imposto sull’area di proprietà del ricorrente.

La giurisprudenza che, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999, si è occupata della problematica della reiterazione dei vincoli decaduti, è pervenuta all’affermazione di alcuni principi, che è opportuno richiamare per una corretta disamina dell’odierna controversia.

In primo luogo, si è ritenuto che la previsione dell’indennizzo, in caso di reiterazione dei vincoli, è doverosa non solo per i vincoli preordinati all’ablazione del suolo, ma anche per quelli "sostanzialmente espropriativi" (secondo la definizione di cui all’art. 39, comma 1, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327), i quali comportano l’azzeramento del contenuto economico del diritto di proprietà.

Non possono essere considerati come vincoli "sostanzialmente espropriativi", ma costituiscono dei vincoli conformativi, quelli derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso l’iniziativa privata in regime di economia di mercato .

Non sono vincoli "sostanzialmente espropriativi", ma sono da ritenere vincoli conformativi, le destinazioni a parco urbano, a parcheggio e viabilità. Tali destinazioni, infatti, non comportano automaticamente l’ablazione dei suoli ed ammettono, anzi, chiaramente la realizzazione, anche da parte di privati in regime di economia di mercato, delle relative attrezzature destinate all’uso pubblico. Per tali tipi di destinazione, conseguentemente, nel caso in cui siano confermate da un nuovo strumento urbanistico o da una sua variante generale, non occorre né la previsione di indennizzo né una particolare motivazione per giustificare la loro conferma (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV – sentenza 01.10.2007 n. 5059; T.A.R. Veneto, Venezia, 18.04.2011 n.639; T.A.R. Lazio, Latina, 20.05.2008 n.575; T.A.R. Puglia, Lecce, 07.02.2008 n.378; T.A.R. Sicilia, Catania, 15.10.2007 n. 1662).

L’art. 2 della L. 19 novembre 1968, n. 1187 (secondo cui: "le indicazioni di piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all’espropriazione od a vincoli che comportino l’inedificabilità, perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati") si riferisce soltanto alle fattispecie in cui l’amministrazione esercita il proprio potere ablativo e non ai casi in cui essa, così come consentito in via generale dall’art. 42 Cost., si limita a conformare il contenuto del diritto di proprietà, sia pure in modo tale da diminuire l’utile economico che da un dato terreno si può in astratto trarre.

Sono vincoli di tipo conformativo quelli che importano destinazioni, anche di contenuto specifico, realizzabili ad iniziativa privata o promiscua, ovvero sia pubblica sia privata, senza comportare necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica, atteso che, tali vincoli non svuotano di contenuto il diritto di proprietà, ma si limitano a imporre al titolare del bene, il quale ne voglia trarre le relative utilità, di seguire una data modalità (cfr. in argomento e in relazione ad una causa analoga a quella in esame: T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 29 gennaio 2009, n. 989, nonché la giurisprudenza ivi richiamata e, più di recente, T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 21 dicembre 2010, n. 7636, secondo cui: "l’individuazione, in sede di pianificazione urbanistica, delle aree soggette a tale regime non comporta alcuna reiterazione di vincoli espropriativi e non impone un particolare onere motivazionale", con l’ulteriore precisazione per cui: "le destinazioni a parco urbano, a verde urbano, a verde pubblico, a verde pubblico attrezzato, a parco giochi e simili si pongono al di fuori dello schema ablatorio – espropriativo e costituiscono espressione di potestà conformativa avente validità a tempo indeterminato, quando lo strumento urbanistico consente di realizzare tali previsioni, non già ad esclusiva iniziativa pubblica, ma ad iniziativa privata o promiscua pubblico – privata, senza necessità di ablazione del bene". Analogamente cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 11.06.2007 n. 507).

Ne deriva che, nel caso di specie, di destinazione a verde privato, non sussiste alcuna reiterazione di vincoli espropriativi e, di conseguenza, l’amministrazione non era sottoposta ad un particolare dovere motivazionale.

1.3 In ogni caso, sempre a proposito della motivazione che deve assistere le scelte in materia di pianificazione urbanistica, va richiamato l’orientamento giurisprudenziale consolidato nel senso di ritenere assolto il suddetto onere facendo riferimento alle linee guida illustrate nella relazione generale allo strumento urbanistico, salvo che si sia in presenza di particolari condizioni, che consentano di configurare, in capo al privato, situazioni di aspettativa qualificata (sulle quali, cfr., da ultimo, sentenza T.A.R. Lombardia, Milano, II, 6.10.2011 n. 2379: che richiama i casi di: a) superamento degli standard minimi di cui al D.M. 2 aprile 1968 – con l’avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree; b) lesione dell’affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, dalle aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di permesso di costruire o di silenzio-rifiuto su una domanda di concessione; c) modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo).

Nessuna situazione avente siffatte caratteristiche, idonee a connotare una situazione di affidamento qualificato, è tuttavia ravvisabile in capo all’istante.

1.4 Per quanto sin qui evidenziato, osserva il Collegio come la destinazione a verde privato impressa al fondo del ricorrente non comporti un vincolo preordinato all’esproprio, essendo espressione della potestà conformativa propria dello strumento urbanistico che qui occupa, non soggetta a decadenza, né a indennizzo.

1.5 La motivazione della scelta (a proposito della necessità di salvaguardare un "polmone verde") evoca chiaramente una esigenza di tutela ambientale sulla quale, come ricordato da parte resistente, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che non è richiesta una motivazione particolarmente ampia, avuto riguardo al valore costituzionale dell’ambiente, come presidiato dall’art. 9 Cost. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 01.02.2001 n.420, ove si sottolinea la chiara valenza conservativa dei valori naturalistici della zona destinata a verde privato, la quale, "venendo a costituire il polmone dell’insediamento urbano", assume per tale via "la funzione decongestionante e di contenimento dell’espansione dell’aggregato urbano". Analogamente cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 08.05.2000 n. 2639; 19.01.2000 n. 245; 13 marzo 1998, n. 431).

2. Con il secondo motivo, l’esponente deduce la violazione di legge, con particolare riguardo all’art. 7 della legge urbanistica e l’eccesso di potere per contraddittorietà e sviamento.

Ciò, sul presupposto che la destinazione a verde privato avrebbe richiesto l’esistenza di edifici residenziali attigui, rispetto ai quali prospettare un vincolo di pertinenzialità con l’area a verde privato.

Il motivo è infondato.

2.1 In disparte la contraddizione in cui sembra incorrere la difesa ricorrente, che poco dopo avere affermato l’assenza di edifici nello stesso ambito spaziale di apposizione del "vincolo", fa notare come "l’area di proprietà del ricorrente si trova parzialmente all’interno di un contesto edificato e idoneamente urbanizzato" (così pg. 7 del ric. intr.), è sufficiente notare, per confutare la tesi ricorrente, come la stessa si presenti del tutto sfornita di appigli normativi.

Nessun elemento si ricava, infatti, dall’art. 7 della L. n. 1150 del 1942, cui la difesa ricorrente fa generico richiamo, a sostegno dell’assunto per cui la destinazione a verde privato richiederebbe la presenza di edifici attigui atti a configurare una sorta di vincolo di pertinenzialità.

3. Con il terzo motivo, si deduce la violazione dei principi in tema di procedimento amministrativo e l’eccesso di potere per sviamento e contraddittorietà con precedenti manifestazioni di volontà dell’amministrazione.

L’esponente si duole, in sostanza, dei ripensamenti manifestati dall’amministrazione rispetto a precedenti "informali trattative" intercorse tra la stessa e il sig. V..

Il motivo risulta, prima ancora che inammissibile per genericità, infondato, poiché eventuali "trattative" con l’amministrazione non assurgono al rango di situazioni idonee a connotare un legittimo affidamento in capo al privato, secondo quanto già chiarito sub n.1.3.

4. Con il quarto motivo, si lamenta la violazione degli artt. 3, co. 13 e ss. della L.R. n. 1 del 2000, 27, co. da 2 a 5 della L.R. n. 51 del 1975, 2 e 10 della L.R. n. 23 del 1997; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto e per incompetenza funzionale.

Ciò, poiché in base al combinato disposto delle succitate norme, la competenza all’approvazione del P.R.G. (e rispettive varianti) sarebbe stata trasferita ai Comuni soltanto a seguito dell’approvazione dei piani territoriali di coordinamento provinciali (P.T.C.P.), per cui – non risultando qui approvato il suddetto piano provinciale – il resistente Comune non avrebbe potuto procedere all’approvazione della variante, permanendo tale competenza in capo alla Regione.

L’approvazione della ridetta variante sarebbe, inoltre, avvenuta in violazione dei presupposti richiesti dalla legge regionale per l’adozione della procedura semplificata, ex art. 2, co. 2, L.R. n. 23 del 1997.

Infine, l’esponente lamenta il mancato rispetto delle particolari formalità di avviso di avvio del procedimento di formazione della variante, di cui all’art. 3, co. 14, lett. a, della L.R. n. 1 del 2000, per la mancata pubblicazione su almeno un quotidiano o periodico a diffusione locale.

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.

4.1 L’esponente lamenta, in sostanza, l’illegittimità della scelta dell’amministrazione di avvalersi della procedura semplificata in assenza dei relativi presupposti.

Si tratta, com’è evidente, di censure che, ove ritenute fondate, sarebbero idonee a travolgere l’intero strumento urbanistico (variante) in contestazione, per cui s’impone al Collegio la preliminare verifica in termini di ammissibilità del motivo così dedotto, sotto il profilo dell’interesse al ricorso.

Ciò, alla luce della più recente impostazione giurisprudenziale, incline a porre forti limiti alla configurabilità dell’interesse cd. strumentale all’impugnazione dello strumento urbanistico, sul presupposto che, in subiecta materia, l’interesse al ricorso non può sostanziarsi in un generico interesse a una migliore pianificazione dei suoli di propria spettanza, che in quanto tale non si differenzia dall’eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire (cfr. Consiglio di Stato 12.01.2011 n. 133; id. 12.10.2010 n. 7439; 13.07.2010 n. 4542; 6.05.2010 n. 2629).

E’ utile rammentare, al riguardo, anche l’insegnamento recentemente espresso dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (cfr. decisione del 7 aprile 2011 n.4), secondo cui: "…in sé considerata, la semplice possibilità di ricavare dalla invocata decisione di accoglimento una qualche utilità pratica, indiretta ed eventuale, non dimostra la sussistenza della posizione legittimante. È forse vero che l’accertamento di un vantaggio ritraibile dalla sentenza di annullamento può costituire, talvolta, un indice della esistenza di una posizione giuridica sostanziale attiva, che potrebbe attribuire la legittimazione al ricorso. Questa circostanza spiega perché, tra gli interpreti …sia presente un filone ricostruttivo che tende ad attenuare, se non ad annullare, la differenza tra la legittimazione e l’interesse al ricorso. Tuttavia, in linea generale, il possibile vantaggio ottenibile dalla pronuncia di annullamento non risulta affatto idoneo a determinare, da solo, il riconoscimento di una situazione differenziata, fondante la legittimazione al ricorso. In particolare, a tale fine risulta del tutto insufficiente il riferimento a una utilità meramente ipotetica o eventuale, che richiede, per la sua compiuta realizzazione, come avviene nella vicenda in esame, il passaggio attraverso una pluralità di fasi e di atti ricadenti nella sfera della più ampia disponibilità dell’amministrazione.

In altri termini, ai fini della legittimazione al ricorso, l’asserito valore sintomatico derivante dal riscontro fattuale della "utilità pratica" della decisione di accoglimento presenta un risalto del tutto marginale, in assenza di ulteriori, convergenti, dati significativi>>.

4.2 Ebbene, reputa il Collegio che l’utilità che l’odierno ricorrente aspira a conseguire dall’annullamento della variante de qua è "meramente ipotetica ed eventuale", richiedendo per la sua compiuta realizzazione il passaggio attraverso una rinnovata attività di pianificazione urbanistica, ricadente nella sfera della più ampia disponibilità dell’amministrazione.

Non va sottaciuto, infatti, come la destinazione impressa all’area dell’esponente con la deliberazione qui gravata risulti confermativa o, addirittura, in parte (in relazione all’osservazione accolta) migliorativa rispetto a quella preesistente.

Né può dirsi in alcun modo chiarito dall’esponente come e perché l’adozione della variante con la procedura semplificata avrebbe svolto un ruolo decisivo sulle opzioni relative al regime dei suoli in sua proprietà (cfr. in caso di censure afferenti la V.A.S., come tali idonee a travolgere l’intero piano in caso di accoglimento, le puntuali osservazioni in tema di legittimazione e interesse al ricorso contenute nella recente decisione del Consiglio di Stato del 12.01.2011 n.133, ove si sottolinea la necessità, onde scongiurare una legitimatio generalis in subjecta materia, che le determinazioni lesive fondanti l’interesse al ricorso siano effettivamente condizionate, ossia causalmente riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di VAS. Analogamente, in relazione a fattispecie di inammissibilità per difetto di concretezza e attualità dell’interesse, cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 29 dicembre 2010, n. 9537; sez. V, 7 settembre 2009, n. 5244; sez. IV, 22 dicembre 2007, n. 6613; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 2 settembre 2011 n. 2154; id. 08 febbraio 2011 n. 383; T.A.R. Veneto Venezia, sez. III, 16 febbraio 2011, n. 265; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 19 novembre 2009, n. 2238).

Deve essere, pertanto, confermata l’inammissibilità del suesposto motivo.

5. Con il quinto motivo, si deduce la violazione degli artt. 9 e 10 della L. n. 1150 del 1942, nonché la violazione dei principi in materia di partecipazione procedimentale e di proporzionalità, oltre all’eccesso di potere sotto molteplici profili nonchè per violazione degli artt. 3, 41 e art. 97 della Cost.

In sostanza, con il suesposto motivo l’esponente si duole della destinazione a verde privato della parte dell’area di rispettiva proprietà in precedenza destinata a standard.

Il motivo è infondato.

5.1 In disparte i profili di inammissibilità del motivo, insiti nella circostanza che la destinazione qui contestata è stata decisa dal Comune in accoglimento di una specifica osservazione del ricorrente (volta ad ottenere "l’eliminazione … del vincolo a standards urbanistici a favore del verde privato", come desumibile dalle osservazioni allegate da parte ricorrente sub doc. n.7), nel merito, a supporto della già accennata infondatezza, è sufficiente richiamare quanto già diffusamente chiarito in occasione dello scrutinio del primo motivo di ricorso, sia in ordine alla non configurabilità di un vincolo espropriativo in presenza di una destinazione a verde privato, che a proposito dell’assenza qui di una situazione di affidamento qualificato, tale da imporre un particolare onere motivazionale all’amministrazione.

6. Per le suesposte considerazioni, il ricorso in epigrafe specificato deve essere respinto in ogni sua domanda, compresa quella risarcitoria in quanto priva degli elementi costitutivi richiesti dall’art. 2043 c.c.

7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge in ogni sua domanda.

Pone le spese di lite a carico del ricorrente e a favore dell’amministrazione resistente, liquidandole in Euro 2.000,00, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 3 novembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente

Giovanni Zucchini, Primo Referendario

Concetta Plantamura, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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