Cass. civ. Sez. III, Sent., 14-06-2012, n. 9726 Interpretazione del contratto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Società Cooperativa SACMI, sopra meglio descritta, ricorre per cassazione, sulla base di quattro motivi, avverso la sentenza della Corte di Appello dell’Aquila, depositata il 16.9.2009, che ha confermato quella di primo grado, la quale aveva: a. accolto, per quanto di ragione, la domanda proposta dalla controparte (Adria Spea in liquidazione) e, per l’effetto, dichiarava che la SACMI non aveva titolo per trattenere la somma di L. 800.000.000 (pari ad Euro 413.165,51) oggetto di causa, versatale dalla Adria Spea s.r.l. per l’acquisto e l’intestazione fiduciaria di CCT, per detto valore e con scadenza al 1-5-1995, da costituire in garanzia in favore della Firs Italiana di Assicurazioni s.p.a.; b. condannava, per l’effetto, la SACMI a restituire alla Curatela del Fallimento della Adria Spea la complessiva somma di Euro 413.165,51 (L. 800.000.000), pari al controvalore dei predetti titoli scaduti, oltre agli incrementi verificatisi alla maturazione delle cedole sui titoli stessi e pure versati alla convenuta, oltre agli interessi legali dalla scadenza dei titoli suddetti (1-5-1995) al saldo; rigettava la domanda di risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria; rigettava integralmente la domanda riconvenzionale subordinata avanzata dalla SACMI. 2. In particolare, la Corte territoriale rilevava che il tribunale aveva correttamente inquadrato la fattispecie nel paradigma del negozio fiduciario intercorso tra la Adria Spea e la SACMI, in occasione e a seguito di un’operazione di finanziamento che la prima aveva richiesto alla Imer nel dicembre del 1991 per la somma di 10,5 miliardi di lire e che le fu accordato dietro garanzie. Ciò sulla base delle risultanze di causa esaurientemente e approfonditamente vagliate in riferimento alla scansione cronologica del rapporto su riscontri documentali e istruttori, che analiticamente scrutinati dal primo giudice – con diffusa e congruente motivazione – davano conto della concreta attuazione del rapporto obbligatorio come configurato, persuadendo delia correttezza logico-giuridica della decisione impugnata, che perciò si sottraeva a censura. Nella specie, l’acquisto di titoli (CCT) per la somma di L. 800 milioni avvenne sì materialmente ad opera della SACMI, ma fu fatto nell’interesse e per conto della Adria Spea, nell’ambito dell’operazione di finanziamento innanzi menzionata. Ciò che era risultato non solo, nell’ambito del più complesso rapporto di finanziamento intercorso tra la Adria Spea e la IMER, dall’assenza di interesse significativo e diretto della SACMI a tale finanziamento, ma dal decisivo rilievo che a costei fu subito e comprovatamente rimborsata la somma di L. 800 milioni (la stessa impiegata per l’acquisto fiduciario dei CCT), il cui esborso da parte della SACMI – in ogni contraria ipotesi – risultava privo della benchè minima causa solvendi ma, in difetto d’ogni altro diverso e persuasivo elemento di prova, non trovava alcuna giustificazione se non in forza del rapporto fiduciario tra le parti.

Non avevano dunque vis offensiva le doglianze della SACMI, che adduceva l’erroneità della sentenza di primo grado, sostenendo non essere configurabile il negozio fiduciario nell’ambito del più complesso rapporto di finanziamento facente capo all’Adda Spea.

Invece, nel difetto d’ogni altra nota e comprovata causa obligandi tra la SACMI e la Imer (finanziatrice della Adria Spea) ovvero tra costei e la Firs italiana (fideiubente per la stessa Adria Spea con polizza di 3 miliardi di lire e destinataria a sua volta della garanzia in CCT per L. 800 milioni) non era dato apprezzare sotto quale possibile diversa veste la SACMI avesse attivato la garanzia in CCT verso la Firs, se non in attuazione del negozio fiduciario istituitosi con la Adria Spea. E poichè era rimasto altresì comprovato che la SACMI ebbe a riscuotere e incamerare, alla loro scadenza, il controvalore dei CCT per il cui acquisto era altresì comprovato il corrispondente esborso dell’Adda Spea, fondatamente la domanda di restituzione era stata accolta dal primo giudice, non ostandovi le questioni suggestivamente addotte dall’appellante e compiutamente scrutinate dal tribunale in ordine alla vanamente addotta permanenza del pegno costituito dai titoli in questione. La domanda riconvenzionale, di compensazione con il proprio controcredito (quale altresì risultante, in sede di opposizione allo stato passivo, dalla sopravvenuta sentenza del tribunale di Teramo 9 luglio 2003 n. 1000), risultava del pari infondata l’inerente doglianza dall’appellante, dal momento che – come già rilevato dal primo giudice – per il principio della consecutio delle procedure concorsuali – 1 opposta compensazione era interdetta, nella specie, dalla regola di cui alla L. Fall., art. 56, trattandosi di crediti anteriori all’apertura della procedura.

3. L’intimata non ha svolto attività difensiva.

4. Questi i motivi di ricorso proposti dalla SACMI. 4.1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1366, 1703 e 1705 c.c., nonchè dell’art. 115 c.p.c., comma 2, per aver ritenuto che tra le parti fosse intercorso un rapporto fiduciario in base al quale SACMI avrebbe acquistato titoli di stato per conto di Adria Spea, con obbligo di ritrasferirli a quest’ultima. A sostegno della censura, adduce che la Corte territoriale avrebbe erroneamente valutato il significato del versamento a SACMI di L. 800.000.000 e non valutato il reale e significativo interesse di SACMI quale fornitore e creditore della Adria ad agevolarne il finanziamento, con conseguente ritenuta sussistenza del rapporto fiduciario, nonostante la curatela dell’Adda non ne avesse mai fornito la prova, così come sarebbe mancata qualsiasi prova dell’obbligo della SACMI di ritrasferire i titoli o il loro controvalore alla controparte.

4.2. Omessa motivazione circa il rigetto della qualificazione giuridica del bonifico di L. 800.000.000 effettuato dalla Adria Spea in favore della SACMI, che insiste a ritenerlo un pegno irregolare di danaro in suo favore.

4.3. Violazione e falsa applicazione della norma di cui all’art. 2794 c.c., per aver ritenuto fondata la domanda formulata dalla Curatela Fallimentare della Soc. Adria Spea di restituzione della somma di Euro 413.165.53=, oltre accessori sulla presupposizione che il pegno di cui è causa avesse cessato di essere operante, non avendo la Corte territoriale considerato che la garanzia prestata da SACMI non era mai venuta meno, non avendovi mai rinunciato la Firs.

4.4. Violazione e falsa applicazione delle norma di cui alla L. Fall., art. 56, artt. 1241, 1242 e 1243 c.c., per non aver ritenuto applicabile la compensazione prevista da dette norme pur in presenza di crediti di SACMI anteriori all’ammissione ad amministrazione controllata ed alla dichiarazione di fallimento di Adria Spea S.r.l1.

e accertati giudizialmente per l’importo capitale di Euro 638,172,36 oltre a Euro 14.838 per spese legali, come da sentenza dei Tribunale di Teramo n. 1000/03.

4.5. I primi tre motivi – che vanno trattati congiuntamente, data l’intima connessione, essendo tutti rivolti a contestare la qualificazione giuridica del rapporto controverso e delle relative obbligazioni – si rivelano privi di pregio.

4.5.1. Invero, si deve ribadire che, diversamente da quanto operato dal ricorrente nel primo e nel terzo motivo, per potersi configurare la violazione delle regole di interpretazione del contratto, non è sufficiente che il ricorrente faccia richiamo all’art. 1362 c.c., e segg., essendo, invece, necessario che vengano specificati i canoni in concreto non osservati ed il modo in cui il giudice del merito si sia da essi discostato, non essendo idonea una critica del risultato raggiunto dallo stesso giudice mediante la contrapposizione di una diversa interpretazione: (Cass., sez. lav., 22 novembre 2010, n. 23635; Cass., sez. 2^, 31 maggio 2010 n. 13242; Cass., Sez. lav., 1 luglio 2004, n. 12104; Cass., Sez. 2^, 20 agosto 1997, n. 7738;

Cass., Sez. 2^, 30 gennaio 1995, n. 1092; Cass., Sez. lav. 23 gennaio 1990, n. 381), con il conseguente obbligo per il ricorrente di richiamare e specificare i canoni ermeneutici di cui assume la violazione, precisando in quale modo e con quali considerazioni il giudice se ne sia discostato. Quando in sede di legittimità venga denunziata la violazione di tali regole, è necessaria la specifica dimostrazione del modo in cui il ragionamento seguito dal giudice di merito abbia deviato dalle regole nei detti articoli stabilite, non essendo sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera proposizione di una diversa e più favorevole interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante (Cass. 4 giugno 2007 n. 12946 e n. 12936).

4.5.2. Inoltre, quanto alla seconda censura, il sindacato della Corte di Cassazione sugli esiti del procedimento di interpretazione può essere introdotto anche con il motivo di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, che fa riferimento ai vizi di motivazione. Infatti, la sentenza di merito è sindacabile in Cassazione sotto il profilo dell’interpretazione data al contratto qualora sia viziata da errori logici o di motivazione (Cass. 13 luglio 1993 n. 7745). In tal caso, il controllo della Suprema Corte sulla motivazione della sentenza, non può, tuttavia, comportare – come sostanzialmente prospettato dalla società ricorrente – il riesame del merito; al contrario la deduzione di un vizio di motivazione attribuisce al giudice di legittimità il potere di sottoporre a controllo le argomentazioni svolte nell’impugnata sentenza, sotto il profilo della correttezza e della coerenza logico-formale, mentre spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere dal complesso delle risultanze del processo quelle ritenute più idonee all’accertamento dei fatti di causa (Cass., Sez. 3^, 7 luglio 2005 n. 14305, Cass., Sez. 3^, 20 ottobre 2005, n. 20322;

Cass., Sez. trib., 12 agosto 2004, n. 15675; Cass., Sez. lav., 9 agosto 2004, n. 15355; Cass., Sez. lav., 25 agosto 2003, n. 12467).

4.5.3. Pertanto, attraverso gli indicati mezzi non risulta idoneamente contrastata – nè sotto il profilo giuridico, nè sotto quello logico – la congrua e corretta motivazione della Corte territoriale, secondo cui l’acquisto di titoli (CCT) per la somma di 800 milioni di lire avvenne materialmente ad opera della SACMI, ma fu effettuato nell’interesse e per conto della Adria Spea, nell’ambito dell’operazione di finanziamento sopra menzionata (v. punto 2.), come risultato, nell’ambito del più complesso rapporto di finanziamento intercorso tra la Adria Spea e la IMER, dall’assenza di interesse significativo e diretto della SACMI a tale finanziamento, nonchè dal decisivo rilievo che a costei fu subito e comprovatamente rimborsata la somma di 800 milioni di lire (la stessa impiegata per l’acquisto fiduciario dei CCT), il cui esborso da parte della SACMI, in difetto d’ogni altro diverso e persuasivo elemento di prova, non trovava alcuna giustificazione se non in forza del rapporto fiduciario tra le parti.

5.6. E’, invece, fondato, nei termini di seguito precisati, il quarto motivo, in quanto la lapidaria motivazione dell’impugnata sentenza sul punto – nel ritenere "interdetta l’opposta compensazione", "trattandosi di crediti anteriori all’apertura della procedura" – si pone apertamente in contrasto con la lettera e la ratto della L. Fall., art. 56, perchè tale norma prevede, quale unico limite imprescindibile per la compensabilità dei debiti verso il fallito – creditore, l’anteriorità al fallimento del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte, e la compensazione fallimentare (Cass. n. 3280/2008; 13769/2007;

8042/2003). Ne deriva che proprio l’anteriorità del credito vantato dal creditore del fallito rappresenta il presupposto per l’applicabilità dell’art. 56, comma 1, di detta legge, sicchè la Corte territoriale non poteva aprioristicamente escludere l’operatività della compensazione sul rilievo dell’anteriorità dei crediti in questione.

5.7. Non vi sono, peraltro, preclusioni all’esame della richiesta di compensazione derivanti dall’esecuzione concorsuale. Da un lato, infatti, l’odierna ricorrente ha dedotto e documentato, con la sentenza in atti, del Tribunale di Teramo, n. 1000/2003 del 1 luglio 2003 (prodotta in appello all’udienza del 9 dicembre 2003: pag. 9 del ricorso per cassazione), l’ammissione al passivo del credito vantato verso la società sottoposta a procedura concorsuale (eccedente quello da questa vantato verso la SACMI a seguito dell’accertamento effettuatone in questo giudizio). Dall’altro, la richiesta subordinata della SACMI poteva e doveva essere esaminata nel merito dalla Corte territoriale, senza incorrere nella preclusione di cui alla L. Fall., art. 93, essendo detta richiesta comunque inquadrarle come eccezione riconvenzionale, basata sulla medesima situazione di fatto posta a fondamento della domanda riconvenzionale di compensazione e, quindi, compresa in quest’ultima, che costituisce una semplice progressione difensiva della prima (argomento desumibile da Cass. n. 9044/2010). Ed invero, la SACMI non aveva avanzato – contrariamente a quanto la stessa assume – una domanda riconvenzionale, volta a realizzare un suo personale e concreto interesse collegato all’accertamento del controcredito vantato nei confronti della società fallita, ma aveva proposto una vera e propria eccezione riconvenzionale. Premesso, infatti, che a differenza della domanda riconvenzionale (con la quale il convenuto, traendo occasione dalla domanda contro di lui proposta, chiede un provvedimento giudiziale a sè favorevole, che gli attribuisca beni determinati in contrapposizione a quelli richiesti con la domanda principale), l’eccezione riconvenzionale esprime una richiesta che, pur rimanendo nell’ambito della difesa, amplia il tema della controversia, senza tuttavia tendere ad altro fine che non sia quello della reiezione della domanda, opponendo al diritto fatto valere dall’attore un diritto idoneo a paralizzarlo (Cass., n. 16114/2007;

Cass., n. 15271/2006; Cass., n. 3767/2005; Cass., n. 10017/2003;

Cass., n. 18223/20002; nonchè Cass., n. 8007/1997), deve questa Corte rilevare che, nella specie, l’accertamento circa il maggior credito vantato verso la società poi fallita era strumentale soltanto al rigetto dell’avversa pretesa, nel senso che mediante il riconoscimento del detto maggior credito la SACMI intendeva proprio impedire la pronuncia di condanna al pagamento del minor suo debito verso la società fallita, oggetto del presente giudizio.

5.8. Si deve, pertanto, ribadire che, nel giudizio proposto dagli organi della procedura concorsuale per ottenere la condanna al pagamento di un debito di un terzo nei confronti della debitrice sottoposta alla procedura concorsuale, l’eccepibilità in compensazione di un credito dello stesso terzo verso la debitrice non è condizionata alla preventiva verificazione di tale credito (comunque avvenuta, nella specie, a seguito dell’accoglimento dell’opposizione allo stato passivo proposta dalla SACMI), purchè sia stata fatta valere come eccezione riconvenzionale; con quest’ultima, infatti, sono introdotte richieste che, restando nell’ambito della difesa, ampliano il tema della controversia, ma al solo fine di conseguire la reiezione della domanda, dato che al diritto fatto valere dall’attore viene opposto un diritto idoneo a paralizzarlo, mentre con la vera e propria domanda riconvenzionale il convenuto, traendo occasione da quella avanzata nei suoi confronti, chiede un provvedimento giudiziale a sè favorevole, che gli attribuisca beni determinati in contrapposizione a quelli richiesti con la domanda principale. Ne consegue che solamente con riferimento all’eventuale eccedenza del credito del terzo verso il debitore non può essere pronunciata sentenza di condanna nei confronti della procedura, dovendo per essa essere proposta un’autonoma istanza di insinuazione al passivo (Cass. n. 64/2012; 15562/2011; 287/2009;

481/2009; 18223/2002; 8053/1996).

6. Pertanto, rigettati i primi tre motivi ed accolto il quarto, la sentenza impugnata va casata, in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata -per nuovo esame della richiesta subordinata di compensazione, alla luce dei principi di cui ai precedenti punti da 5.6. a 5.8., e per le spese anche relativamente a quelle del presente giudizio di legittimità – ala medesima Corte territoriale, in diversa composizione.

P.Q.M.

Accoglie il quarto motivo del ricorso, respinti gli altri. Cassa la sentenza impugnata, in relazione 1 motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello dell’Aquila, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *