Cass. civ. Sez. III, Sent., 14-06-2012, n. 9721 Assicurazione infortuni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società Ansaldobreda spa convenne, davanti al tribunale di Napoli, le società RAS spa, Milano Assicurazioni spa ed Assicurazioni Generali spa al fine di sentire dichiarare che le malattie contratte da alcuni dipendenti, specificamente indicati, rientravano nell’ambito di operatività della garanzia assicurativa relativa ai contratti di assicurazione conclusi con le convenute; con la conseguente loro condanna al pagamento, ciascuna in proporzione alla quota di coassicurazione, della somma di L. 3.911.500.000.

Le convenute, costituitesi, eccepirono, in via preliminare, la prescrizione del diritto e, nel merito, contestarono l’infondatezza della domanda.

Il tribunale, con sentenza del 12.1.2004, accolse parzialmente la domanda.

Ad eguale conclusione pervenne la Corte d’Appello che, con sentenza del 4.9.2006, rigettò, sia l’appello principale proposto dalla Ansaldobreda spa, sia quello incidentale delle società assicuratrici.

Ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi la Ansaldobreda spa.

Resistono con controricorso Allianz spa (già RAS spa), Milano Assicurazioni spa ed Assicurazioni Generali spa.

Le parti hanno anche presentato memoria.

Motivi della decisione

Il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza pubblicata una volta entrato in vigore il D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione; con l’applicazione, quindi, delle disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo 1^.

Secondo l’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360, nn. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Segnatamente, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Sez. Un. 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 18 luglio 2007, n. 16002).

Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di diritto che risolva il caso in esame, poi, deve essere formulato in modo tale da collegare il vizio denunciato alla fattispecie concreta (v. Sez. Un. 11 marzo 2008, n. 6420 che ha statuito l’inammissibilità – a norma dell’art. 366 bis c.p.c. – del motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo od integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo).

La funzione propria del quesito di diritto – quindi – è quella di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (da ultimo Cass. 7 aprile 2009, n. 8463; v. anche Sez.Un. ord. 27 marzo 2009, n. 7433). I motivi non rispettano i requisiti prescritti dall’art. 366 bis c.p.c..

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la omessa, insufficiente o comunque contraddittoria motivazione circa il fatto che le insorgenze delle malattie negli anni 1989; 1991 e 1983 siano riferibili ai soli I., V. e L., non anche agli altri dipendenti per cui è causa ( in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5).

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè omessa o insufficiente motivazione in relazione all’esclusione dell’efficacia vincolante per il giudizio civile dell’accertamento dei fatti materiali compiuti nel processo penale (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Con il terzo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3).

Con il quarto motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione sia alla circostanza che le consulenze tecniche dirette ad accertare anche i fatti stessi costituiscono esse stesse fonte oggettiva di prova, sia al fatto della indispensabilità delle stesse consulenze ai fini della loro ammissibilità come nuovo mezzo di prova (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Con il quinto motivo si denuncia la illogica o insufficiente motivazione relativa all’interpretazione della clausola contrattuale assicurativa contenente un riferimento al D.P.R. n. 1124 del 1965, decisivo ad ammettere o ad escludere la copertura assicurativa privata della responsabilità civile del datore di lavoro per il danno biologico. Violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1370 e 2043 cod. civ., nonchè del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10 e 11 (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Con il sesto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 e dell’art. 345 c.p.c., nonchè insufficiente e/o illogica motivazione circa il punto decisivo della controversia che le censure mosse dall’appellante alla sentenza di primo grado con il 4^ motivo di appello fossero inammissibili sia per difetto del requisito di specificità richiesto dall’art. 342 c.p.c., sia perchè integrerebbero gli estremi di una domanda diversa, e, quindi, nuova rispetto a quella avanzata nella precedente fase di giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

I motivi, sotto il profilo del vizio motivazionale – e relativi al primo, secondo, quarto, quinto e sesto motivo – , non contengono un "momento di sintesi", nè attraverso tale meccanismo, indicano quali siano le ragioni per le quali i supposti vizi siano tali da non sorreggere la decisione adottata.

Ne consegue l’inammissibilità dei relativi motivi e profili.

Quanto alle violazioni di legge contestate, anche a volere considerare quesiti quelli posti a conclusione dei relativi motivi – che sono formulati come principi di diritto di cui si chiede l’affermazione alla Corte di legittimità -, valgono le seguenti considerazioni.

In ordine al secondo motivo, il quesito è del seguente tenore: "ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c., si chiede che venga affermato il principio in base al quale, nell’ipotesi in cui la decisione del giudice penale sia basata su quegli stessi fatti che vengono in considerazione come oggetto di prova del giudizio civile, l’accertamento dei fatti materiali compiuto nel processo penale ha efficacia vincolante per il giudice civile".

Il quesito pecca di genericità e si risolve in una enunciazione di carattere generale ed astratto, non contenendo alcun riferimento al caso concreto.

In tal modo, la Corte di legittimità si trova nell’impossibilità di enunciare un o i principii di diritto che diano soluzione allo stesso caso concreto (Cass. ord. 24.7.2008 n. 20409; S.U. ord. 5.2.2008 n. 2658; Sez. Un. 5.1.2007 n. 36, e successive conformi).

Nè il quesito, correttamente posto, può essere desunto dal contenuto e dall’illustrazione del motivo che lo precede, e neppure può essere integrato il primo con il secondo. Diversamente, si avrebbe la sostanziale abrogazione della norma dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis nella specie (Sez. Un. 11.3.2008, n. 6420 e successive conformi).

Il motivo è, quindi, inammissibile.

In ordine al terzo motivo, il quesito è il seguente "a norma dell’art. 366-bis c.p.c. si chiede che venga affermato il principio che la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3, non riguarda la producibilità di nuovi documenti le cui risultanze siano tali da sovvertire la decisione di primo grado".

Anche in questo caso, il quesito è astratto, senza alcun riferimento al caso concreto; con la conseguente inammissibilità del relativo motivo.

Il quesito posto al termine del quarto motivo è il seguente: "ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c., si chiede che venga affermato il principio secondo cui la consulenza tecnica svolta in altro giudizio e diretta non già a valutare bensì ad accertare i fatti (c.d.

consulenza percepiente) è fonte oggettiva di prova e quindi tale da ritenersi indispensabile ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, ai fini della ammissibilità quale nuovo mezzo di prova documentale laddove in essa risultino accertati fatti da cui dipende l’esito della controversia".

Il quesito, per la sua genericità, senza alcun riferimento al caso concreto, conduce alla declaratoria di inammissibilità anche di questo motivo.

Analoghe considerazioni di genericità ed astrattezza, con le conseguenze già viste, valgono per il quesito posto al termine del quinto motivo del seguente tenore: "ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c., si chiede che venga affermato il principio secondo cui l’assicurazione per gli infortuni sul lavoro a norma del D.P.R. n. 1124 del 1965, esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per il danno patrimoniale del lavoratore indennizzato dall’INAIL, ma non lo esonera dal danno patrimoniale in caso di reato, nonchè in ogni caso, per il danno morale e il danno biologico, per i quali permane la responsabilità del datore di lavoro che forma oggetto della copertura assicurativa privata la cui polizza, in caso di dubbio, va interpretata a norma dell’art. 1370 c.c.".

Anche il sesto motivo incorre nella medesima inammissibilità per essere il relativo quesito generico, non contenendo alcun riferimento alle specificità del caso concreto.

Il suo tenore è, infatti, il seguente: "ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., si chiede che a norma dell’art. 342 c.p.c., venga affermato il principio che la censura del capo della sentenza di primo grado che aveva escluso qualsiasi possibilità di determinazione della somma spettante alla società assicurata a titolo di rivalsa decurtata della quota ascrivibile a danno biologico costituisce specifico motivo d’appello e che a norma dell’art. 335 c.p.c., la rinnovazione in appello della stessa pretesa avanzata in primo grado, sia pure decurtata della quota ascrivibile a danno biologico, non contiene domanda nuova".

Conclusivamente, il ricorso è dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 10.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *