Cass. civ. Sez. III, Sent., 14-06-2012, n. 9720 Energia elettrica

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Svolgimento del processo

La presente controversia trae origine da un contratto per lo scambio dell’energia elettrica stipulato in data 09.09.2002 tra il Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale G.R.T.N. s.p.a. (poi Gestore per i Servizi Elettrici s.p.a. e ora Gestore dei Servizi Energetici G.S.E. s.p.a., di seguito brevemente anche "G.S.E." o "Gestore") e l’Alto Adige Elettricità Trading s.r.l. (ora Azienda Energetica Trading s.r.l., società con unico socio, di seguito brevemente A.E. Trading s.r.l.) ai sensi della Delib. A.E.E.G. n. 371 del 2001, come modificata e integrata con Delib. n. 36 del 2002, avente ad oggetto l’attività di compensazione delle differenze tra l’energia immessa e quella prelevata nell’ambito dei singoli contratti di scambio bilaterali, con riguardo, per l’appunto, all’Alto Adige Elettrica Trading s.r.l. (nella specie, soggetto titolare dello "scambio").

Nell’ambito dell’attività di regolazione delle relative partite economiche l’allora G.R.T.N. s.p.a. emise in data (OMISSIS) la fattura n. (OMISSIS) dell’importo di Euro 4.673.846,81 a titolo di conguaglio relativo all’anno 2002: fattura che la A.E. Trading s.r.l.

pagò, al dichiarato fine di evitare procedure sanzionatorie, con espressa riserva di ripetizione, assumendo che i rapporti relativi all’anno 2002 erano stati definitivamente chiusi, allorchè, a seguito di verifiche collegiali, si era provveduto a rettificare per difetto una precedente fattura emessa salvo conguaglio, attraverso l’emissione di una nota di credito in data 25.06.2003 da parte del Gestore e il bonifico di una minore somma da parte della A.E. Trading. Con citazione del febbraio 2006 la s.r.l. A.E. Trading conveniva innanzi al Tribunale di Bolzano la s.p.a. G.R.T.N., per sentire accertare l’inesistenza di alcun diritto della parte convenuta in relazione alla suddetta fattura n. (OMISSIS), in quanto priva di titolo e per sentire condannare la medesima convenuta alla restituzione dell’importo della fattura indebitamente pagata, oltre accessori.

La causa, documentalmente istruita, era decisa con sentenza n. 548/2008 di rigetto delle domande attrici e di condanna della s.r.l.

A. E. Trading al pagamento delle spese processuali.

La decisione, gravata da impugnazione della s.r.l. A.E. Trading, era confermata dalla Corte di appello di Trento, sez. distaccata di Bolzano con sentenza n. 190 in data 02.11.2009, che poneva a carico dell’appellante il pagamento delle ulteriori spese.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la A.E. Trading s.r.l., svolgendo sette motivi.

Ha resistito il Gestore dei Servizi Energetici, depositando controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria, nonchè documentazione notificata in data 01.06.2011.

Motivi della decisione

1. La Corte di appello ha ritenuto che l’odierna ricorrente non abbia assolto l’onere della prova ad essa incombente dell’inesistenza dei fatti costitutivi posti dal Gestore a fondamento del suo vanto pregiudiziale ovvero dell’esistenza di fatti impeditivi, modificativi o estintivi del stesso diritto, segnatamente evidenziando come nello scambio di comunicazioni intervenuto tra le parti nell’anno 2003 – e precisamente nella nota in data 25/26.06.2003 inviata dal Gestore a rettifica di una precedente fattura (senza l’indicazione "salvo conguaglio") e nella successiva lettera 01.07.2003, inviata dalla A.E. Trading allo stesso Gestore, contenente prospetto contabile con l’espresso invito alla controparte a volere comunicare eventuali diverse modalità procedurali e con l’avviso "in caso contrario procederemo come sopra" – non fosse ravvisabile alcuna definizione del risultato economico dello scambio (di energia elettrica) relativa all’anno 2002, nè, di conseguenza, alcuna preclusione al diritto del Gestore all’emissione e al pagamento della fattura di conguaglio n. (OMISSIS).

1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3. Al riguardo parte ricorrente deduce che la Corte di appello, dopo avere qualificato l’azione proposta come di accertamento negativo, non ha tratto da tale qualificazione le corrette conseguenze sul piano della ripartizione dell’onere della prova: ciò in quanto – secondo il principio affermato da questa Corte con sentenza 17 luglio 2008, n. 19762 – nelle azioni di accertamento negativo la distribuzione dell’onere probatorio deve avvenire, non già in relazione al ruolo processuale (di attore o convenuto) assunto dalle parti, bensì con riguardo alla posizione sostanziale delle parti in ordine ai diritti oggetto del giudizio, con la conseguenza che, nella specie, doveva farsi carico all’asserito creditore e, quindi, al Gestore, l’onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa.

1.2. Il motivo è infondato, ancorchè la decisione impugnata meriti qualche puntualizzazione in ordine alla qualificazione dell’azione, come di accertamento negativo e alla correlativa regolazione dell’onere della prova.

Va innanzitutto osservato che il precedente di questa Corte, su cui si basa il motivo di ricorso, riguarda un’ipotesi per così dire "rovesciata" rispetto a quella di cui si controverte, posto che, nel caso all’esame, vi è una domanda di accertamento negativo dell’esistenza del diritto del Gestore all’emissione e al pagamento della fattura n. (OMISSIS) (che – vista dal lato del soggetto agente – si risolve in una domanda di accertamento positivo dell’esistenza del diritto alla restituzione di quanto pagato in relazione alla stessa fattura); mentre la sentenza n. 19762/2008, cui fa riferimento parte ricorrente, riguardava un’azione di accertamento negativo del diritto alla restituzione dell’indebito (id est di accertamento dell’inesistenza di obblighi restitutori).

Soprattutto va rilevato che il precedente, richiamato da parte ricorrente, è stato smentito dalle SS.UU. (sentenza 4 agosto 2010, n. 18046), le quali – nel confermare il principio secondo cui l’onere della prova grava sulla parte che invoca le conseguenze per lei favorevoli previste dalla norma – hanno evidenziato come, con riguardo alle azioni di ripetizione di indebito, l’inquadramento della problematica nell’ambito del più ampio problema dell’onere della prova in materia di azioni di accertamento negativo non sia affatto utile, posto che, da un lato, l’accertamento del diritto alla ripetizione implica accertamento della inesistenza di una valida causa dell’attribuzione patrimoniale e che, dall’altro lato, l’accertamento negativo di tale diritto – ossia la negazione del diritto di chi abbia effettuato il pagamento non dovuto alla ripetizione della somma erogata – implica simmetricamente e necessariamente l’affermazione del diritto dell’attore in accertamento negativo di trattenere quanto ricevuto, e perciò la deduzione di un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrisposto dal convenuto. Tanto premesso e considerato che l’accertamento negativo del diritto di credito (nella specie del diritto al pagamento della fattura) altro non è che l’interfaccia dell’accertamento positivo del diritto alla ripetizione di indebito, ciò che qui rileva è che colui che agisce in ripetizione ex art. 2033 cod. civ., chiedendo la condanna alla restituzione di quanto pagato, deduce necessariamente 1’inesistenza del diritto della controparte a conseguire 1’attribuzione patrimoniale della quale ha beneficiato, id est l’inesistenza di un titolo che la giustifichi.

L’inesistenza della causa debendi è, dunque, elemento costitutivo (unitamente alìavvenuto pagamento e al collegamento causale) della domanda di indebito oggettivo, con la conseguenza che grava sull’attore in ripetizione l’onere della relativa prova con riferimento ai rapporti specifici tra essi intercorsi e dedotti in giudizio (così Cass. 25 gennaio 2011, n. 1734; conf. ex multis Cass. 17 marzo 2006, n. 5896; Cass. 13 novembre 2003, n. 17146).

E poichè nella specie la richiesta di accertamento negativo del diritto del Gestore ad ottenere il pagamento della richiamata fattura implica la deduzione in giudizio di una ragione di credito alla restituzione del corrispondente importo, correttamente, la Corte di appello ha fatto carico alla parte attrice in ripetizione l’onere della relativa prova e, segnatamente, della dimostrazione del c.d.

effetto preclusivo al conguaglio, che (in tesi) sarebbe derivato dal richiamato scambio di comunicazioni tra il Gestore e la stessa A.E. Trading s.r.l..

Il motivo va, dunque, rigettato.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e precisamente "circa la ricostruzione degli atti e dei fatti che hanno dato luogo alla definizione del risultato economico dello scambio e alla maturazione del c.d. effetto preclusivo a carico del gestore". In particolare la ricorrente lamenta che la Corte di appello – negando qualsiasi valore al silenzio ultrabiennale tenuto dal Gestore dopo l’invio della nota di credito in data 25/26.06.2003 e profilando la necessità di un positivo atto di accettazione della lettera della A.E. Trading in data 01.07.2003 – non abbia colto l’esatta sequenza dello scambio di comunicazioni e abbia, nel contempo, trascurato alcuni dati decisivi e, in specie: l’assenza nella precedente nota di credito del Gestore della dizione "salvo conguaglio", concretante un vero e proprio "accertamento di chiusura"; l’invito contenuto nella successiva lettera inviata da essa esponente al Gestore a volere comunicare diverse modalità procedimentali; il comportamento concludente, rappresentato dal prolungato silenzio del Gestore anche a fronte dei solleciti dallo stesso in precedenza inviati ai fini della regolazione del rapporto. A parere della ricorrente la Corte territoriale – valutando la già cit. lettera della A.R. Trading isolatamente, senza collegarla alla precedente nota e al successivo silenzio del Gestore – per un verso, avrebbe erroneamente ipotizzato che si trattasse di una proposta di transazione o accertamento, cui non aveva fatto seguito l’espressa accettazione, laddove si trattava, piuttosto, di un’"accettazione o presa d’atto della chiusura del conto" e, per altro verso, sarebbe incorsa nel "travisamento …

dell’elemento del silenzio ultrabiennale", costituente, secondo l’assunto dell’esponente, non necessariamente parte integrante dell’accordo di chiusura, ma anche conferma della già intervenuta chiusura contabile.

3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia error in iudicando ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3; violazione dell’art. 1965 cod. civ., violazione degli artt. 1321, 1322, 1324, 1333, 1362 e 1988 cod. civ., con particolare riferimento alla forma sufficiente a perfezionare un negozio di accertamento e a dar luogo a c.d. effetto preclusivo. Al riguardo parte ricorrente osserva che – pure esclusa all’epoca della citata lettera una res litigiosa, come rilevato dalla Corte di appello – vi era, comunque, una res dubia; rileva, quindi, che l’azione di accertamento negativo da essa svolta non postulava necessariamente la dimostrazione di un accordo transattivo, essendo sufficiente la prova della sussistenza di un negozio di accertamento.

E’ da tale negozio – conclusosi, a parere della ricorrente, consensualmente (mediante proposta di contratto di accertamento + accettazione/presa d’atto), ovvero ex art. 1333 cod. civ., e, comunque, per comportamenti concludenti di entrambe le parti (mancata menzione della clausola "salvo conguaglio" + nota di consenso + silenzio circostanziato) – che deriverebbe l’effetto preclusivo per il solo Gestore. Inoltre sarebbe errato quanto affermato nella sentenza impugnata, in ordine alla necessità per il Gestore di esprimere la propria volontà negoziale solo per iscritto, atteso che si tratta di un soggetto che, seppure partecipato dallo Stato, ha forma privatistica, cui non si applica neppure la normativa dell’evidenza pubblica.

3.1. I suddetti motivi vanno trattati congiuntamente, perchè – sia pure sotto il duplice versante del vizio motivazionale e della violazione di legge – postulano un’unica sostanziale censura e, cioè, l’omesso accertamento della volontà negoziale in ordine alla definizione del risultato economico relativo all’anno 2002, in tesi desumibile dal già richiamato scambio di comunicazioni.

Si tratta, all’evidenza, di una quaestio facti affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg..

Non è dunque sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera prospettazione di una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante in ordine alla ricostruzione dei contenuti della volontà delle parti, poichè in tal caso la critica si traduce nella proposta di un’interpretazione diversa, inammissibile, come tale, in sede di legittimità.

Ciò premesso, si osserva che nella specie i giudici del merito hanno chiarito, in termini congrui e logici, perchè allo scambio di comunicazioni tra le parti non fosse attribuibile alcun significato negoziale in ordine alla definizione economica dello scambio (di energia elettrica) relativa all’anno 2002 – id est perchè l’omessa menzione della dicitura "salvo conguaglio" nella nota 25/26.06.2003 non assumesse implicitamente il significato "escluso conguaglio" – segnatamente evidenziando vuoi la "laconica formula di stile" della lettera della A.E. Trading ("®in caso contrario procederemo come sopra"), vuoi, ancora, la novità della disciplina-quadro, in cui si inseriva il rapporto per cui è causa, con conseguente assenza di una prassi negoziale consolidata in punto di definizione del saldo, vuoi, soprattutto, la complessità degli accertamenti, anche incrociati, per l’accertamento di detto saldo, in considerazione dei rilevamenti necessari presso le diverse utenze finali.

La decisione risulta fondata su argomentazioni che si sottraggono al sindacato di legittimità, essendo sufficienti (in realtà valutano esplicitamente od implicitamente tutte le problematiche rilevanti), logiche, non contraddittorie e rispettose della normativa rilevante in materia, correlativamente escludendo sia la formazione di un consenso espresso in ordine alla definizione contabile del rapporto, sia la formazione di un consenso tacito, per effetto del pur prolungato silenzio del Gestore, anche a prescindere dall’esigenza di forma scritta degli atti riferibili al concessionario di pubblico servizio. In particolare contrariamente a quanto assume parte ricorrente – la Corte di appello non ha affatto "isolato" la lettera del luglio 2003 dalla precedente nota del Gestore, ma ne ha, piuttosto, rilevato l’inconferenza ai fini della definizione di una comune volontà delle parti, alla luce della "formula di stile" sopra richiamata e nel contesto della complessiva evoluzione della vicenda, segnatamente rimarcando l’indubbia consapevolezza delle parti contrattuali in ordine alla complessità degli accertamenti/rilevamenti necessari alla definizione del saldo, confermata anche da uno scambio di messaggi e.mail e lettere nel periodo settembre-dicembre 2005, immediatamente precedente all’emissione della contestata fattura (cfr. pag. 12 sentenza impugnata).

Dal canto suo parte ricorrente oppone un’interpretazione alternativa, ma non esclusiva rispetto a quella cui sono pervenuti i Giudici del merito, peraltro lasciando trapelare più di un’incertezza nelle allegazioni difensive, posto che ora assegna alla "nota" del Gestore del giugno 2003 il significato di "accertamento di chiusura", ora ravvisa nella propria lettera del luglio 2003 il carattere di accettazione della "proposta" contenuta nella citata nota, ora, ancora, pretende di individuare nella "laconica formula di stile", di cui alla citata lettera le premesse di un onere di "parlare" della controparte che assegnerebbero valore negoziale al successivo silenzio.

3.2. Con più specifico riferimento alle censure di violazione di legge occorre innanzitutto osservare che – ad onta del richiamo, contenuto nella rubrica del motivo, al disposto dell’art. 1965 cod. civ. – le svolte censure non impingono la ratio decidendi, laddove viene evidenziata l’inconciliabilità della modalità di stipulazione ex art. 1333 cod. civ., con la natura del contratto transattivo e viene, altresì, esclusa la possibilità di ravvisare una qualsiasi voluntas transigendi nel generico tenore della lettera del luglio 2003; in particolare dal tenore delle allegazioni di parte ricorrente non emerge neppure la portata delle reciproche concessioni che avrebbe necessariamente dovuto connotare il negozio transattivo.

Non appare superfluo aggiungere che – mentre l’altro richiamo, contenuto in rubrica, al disposto dell’art. 1988 cod. civ., si rivela assolutamente incoerente rispetto al tenore delle censure – l’inconciliabilità, evidenziata dalla Corte di appello tra la modalità di conclusione contrattuale di cui all’art. 1333 cod. civ. e la transazione, non appare superabile neppure nell’ottica di un negozio di mero accertamento (ravvisabile, in tesi, nella già citata nota del Gestore, senza l’indicazione "salvo conguaglio"), dal momento che la norma richiamata postula un contratto con obbligazioni a carico del solo proponente, laddove la definizione della res dubia presuppone la comune volontà delle parti. Invero parte ricorrente, individuando il reclamato effetto preclusivo a carico del solo Gestore, per avere redatto la nota in questione, mostra di equivocare e confondere l’oggetto del negozio di accertamento – e cioè la definitiva determinazione del saldo, coerentemente esclusa dai giudici del merito, per il mancato rilievo della formazione del consensus in idem platicitum – con gli effetti che dovrebbero conseguire dal preteso negozio.

In definitiva le censure di parte ricorrente – prima ancora che proporre una valutazione meramente alternativa e quindi, inconciliabile con il giudizio di legittimità – si rivelano prive di giuridico fondamento, come è reso palese dalla stessa incertezza delle esposte allegazioni difensive.

I motivi all’esame vanno, dunque, rigettati.

4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia error in iudicando ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e, in particolare, la carente ricostruzione dei fatti e delle omissioni integranti violazione dei principi di buona fede contrattuale, (art. 360 cod. proc. civ., n. 5). Al riguardo parte ricorrente lamenta che i giudici di merito abbiano escluso la violazione dei principi di correttezza che devono presiedere la materia contrattuale, senza considerare che il Gestore – dopo l’emissione della fattura senza previsione di conguaglio e la ricezione della lettera del luglio 2003, contenente "l’estratto relativo alla liquidazione di chiusura" – non aveva neppure informato la s.r.l. A.E. Trading dell’indimostrato ritardo nell’acquisizione dei dati necessari, ingenerando l’affidamento e, anzi, la certezza della definitività del risultato contabile di cui alla lettera citata.

5. Con il quinto motivo si deduce error in iudicando ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ.. A parere della ricorrente la Corte di appello erroneamente escluso la violazione dei fondamentale principi richiamati in rubrica, sul presupposto che si trattava di modello contrattuale di recente introduzione e in considerazione della complessità degli accertamenti dei saldi, senza considerare che si tratta di principi riferibili a tutti i contratti.

5.1. Anche i suddetti motivi di ricorso sono suscettibili di esame unitario, per la sostanziale omogeneità delle censure.

Innanzitutto si osserva che parte ricorrente travisa la ratio decidendif che non ha affatto escluso l’applicabilità in materia dei fondamentali principi di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., ma muove, piuttosto, dalla circostanza che il "metro", cui rapportare le relative valutazioni, va individuato nella peculiarità del rapporto, derivando, quindi, dalla relativa novità della disciplina legislativa, regolamentare e contrattuale in materia e dalla considerazione della complessità dei rilevamenti necessari, il convincimento che il ritardo, con cui si era proceduto alla definizione del saldo, non era sanzionabile sotto il profilo della buona fede e che il silenzio prestato dal Gestore non era suscettibile di generare affidamento tutelatale sulla definitività del saldo stesso.

Le deduzioni della ricorrente, peraltro, omettono di confrontarsi con l’argomentato rilievo dei Giudici di appello, già evidenziato sub 3.1., circa l’indubbia consapevolezza delle parti contrattuali in ordine alla complessità degli accertamenti/rilevamenti occorrenti alla definizione del saldo, confermata anche a distanza di tempo del richiamato scambio di comunicazioni e a ridosso dell’emissione della contestata fattura. Sotto tale profilo le censure all’esame si rivelano carenti della necessaria specificità, risultando, comunque, al pari delle precedenti, surrettiziamente finalizzate ad un’inammissibile revisione del giudizio sul fatto.

Anche i motivi quarto e quinto vanno, dunque, rigettati.

6. Con il sesto motivo si deduce in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione dell’art. 1823 cod. civ., sull’applicabilità in via analogica della disciplina del conto corrente al rapporto A.E. Trading/G.S.E.. In particolare la ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia negato l’applicabilità della disciplina del conto corrente, in considerazione dell’assenza nelle condizioni generali di contratto (convenzione-tipo) predisposte dall’autority di un espresso richiamo a tale schema contrattuale e abbia, quindi, escluso l’applicazione analogica della relativa normativa, siccome comportante un’inammissibile etero integrazione della volontà negoziale. In senso contrario osserva che la decisione della Corte territoriale poggia su "una incompleta istruttoria documentale", dal momento che il contratto inter partes conteneva all’art. 11 del contratto un "espresso rinvio" alle disposizione del codice civile in quanto applicabili e che il sistema di regolamento compensativo e periodico (bimestrale, salvo trasferimento del saldo al bimestre successivo) non poteva dar luogo altro che a un rapporto di conto corrente.

7. Con il settimo motivo si deduce error in iudicando ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione dell’art. 1823 c.c., e segg., e degli artt. 1322 e 1323 cod. civ.. Osserva la ricorrente che la mancanza di un’espressa pattuizione riferita alla sussistenza tra le parti di una convenzione di conto corrente è irrilevante, dovendo prevalere sul nomen iuris la disciplina sostanziale del rapporto; il rinvio contenuto nell’art. 11 cit. dovrebbe, dunque, riferirsi proprio al contratto di conto corrente per le vistose somiglianze con tale rapporto con conseguente applicabilità dell’art. 1832 cod. civ..

7.1. I motivi, che si esaminano congiuntamente perchè strettamente connessi, sono manifestamente infondati.

Invero – escluso, in via di principio, che il generico rinvio alle norme del codice civile possa giustificare un indiscriminato ricorso all’analogia – occorre innanzitutto osservare che le deduzioni della ricorrente si scontrano con il rilievo contenuto nella sentenza impugnata in ordine alla compiutezza in parte qua della regolamentazione contrattuale. Inoltre le conclusioni cui è pervenuta la Corte territoriale risultano conformi a sia pur lontani precedenti di questa Corte (cfr. Cass. 6 aprile 1983, n. 2415; Cass. Cass. 30 luglio 1988, n. 4793), secondo cui l’applicabilità dell’art. 1832 cod. civ., postula l’esistenza di una convenzione di conto corrente.

Vero è che la tesi della ricorrente collide con le premesse di fatto, incontestabilmente accertate dai giudici del merito, in ordine alla peculiarità del rapporto (di trasmissione/dispacciamento/acquisto/vendita/distribuzione di energia elettrica, in relazione alla quale è riservata allo Stato, e per esso al Gestore, l’attività di trasmissione e dispacciamento) in relazione alle quali non è possibile ravvisare l’estensione anche parziale degli aspetti applicativi propri del contratto di conto corrente, caratterizzato come risulta dal comb. disp. degli artt. 1823, 1831 e 1832 cod. civ., da reciproche rimesse e dall’espressa previsione delle parti che il saldo attivo e passivo, che risulterà nel conto quale risultato della contabilizzazione delle operazioni verificatesi fino alla data prevista, esprimerà la situazione finale del rapporto e sarà comprensiva di ogni ragione di dare e avere.

Invero solo un’espressa convenzione di conto corrente (sia pure come clausola specifica di un contratto a prestazioni corrispettive) e di onnicomprensività delle ragioni di dare e avere tra le parti, rappresentata dal risultato della contabilizzazione, giustifica l’applicabilità dell’art. 1832 cod. civ., secondo cui l’estratto conto trasmesso da un correntista alìaltro s’intende approvato se non è contestato nel termine pattuito o in quello usuale o altrimenti nel termine che potrà ritenersi congruo secondo le circostanze. Ne consegue che, in difetto di un’espressa pattuizione (ovvero in presenza di una pattuizione contraria), la mera circostanza dell’invio di estratti conto circa le rispettive situazioni di dare ed avere, da un lato, non costituisce titolo giustificativo dell’importo del saldo attivo dallo stesso risultante, trattandosi di una mera precisazione in forma contabile della propria pretesa, senza alcun assolvimento o inversione della relativa prova e, dall’altro, neppure comporta alcuna efficacia preclusiva (quale quella derivante dall’approvazione tacita dell’altra parte contraente ex art. 1832 cod. civ.) in ordine alla ridefinizione del saldo.

Anche per questo versante risulta, dunque, confermata l’inconsistenza dell’assunto di parte ricorrente a volere ricollegare il ridetto effetto preclusivo ora alla nota del Gestore, ora alla lettera da essa inviata.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 14.200,00 (di cui Euro 200,00 per spese) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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