Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-11-2011) 28-11-2011, n. 44053

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 10.07.2010 la Corte d’Appello di Cagliari confermava la condanna alla pena di anni uno mesi dieci di reclusione inflitta nel giudizio di primo grado, con la concessione delle attenuanti generiche e di quella della minore gravità prevalenti sulla contestata aggravante, ad A.V. quale colpevole del delitto di cui agli artt. 81 e 609 bis c.p., art. 61 c.p., n. 11 avere, con violenza, costretto C.V.I. (che lavorava nella sua abitazione come domestica) a subire atti sessuali (la prima volta all’interno della piscina annessa all’abitazione toccandole il seno sotto il costume da bagno e il pube e, la seconda volta, baciandola sulla bocca mentre era distesa a letto nella sua cameretta dopo averle trattenute le mani; in (OMISSIS)).

Rilevava la Corte territoriale che nel giudizio di primo grado correttamente era stata giudicata attendibile la ragazza, che aveva dichiarato di aver subito gli approcci sessuali del datore di lavoro nell'(OMISSIS), quando dalla villetta sarda ove si era trasferita la famiglia A. era assente la di lui moglie V.L. (recatasi a (OMISSIS)), mentre il marito C.V. C.M. era rimasto presso la casa bolognese della coppia.

Del primo episodio, consumatosi in piscina, la donna aveva reso edotto, per telefono, sia il marito sia un conoscente dello stesso (il medico M.A.) che aveva confermato la richiesta d’aiuto, proveniente dalla donna molto agitata e spaventata, dichiarando che aveva tentato di tranquillizzarla ed esortata a rivolgersi ai CC se la situazione fosse peggiorata.

La veridicità del secondo abuso, denunciato ai CC con tempestività e coerenza, veniva ricondotta alla precipitosa fuga della parte lesa dalla villetta (tra le 9.30 e le 10 del 21 agosto) per raggiungere la stazione CC, in ciabatte e senza alcun effetto personale; all’assenza di segni indicatori di fini di calunnia e alla deposizione del maresciallo D.M., che aveva notato il suo stato di palese agitazione.

In caserma I. era stata chiamata al cellulare dalla moglie dell’ A. (che aveva saputo dell’accaduto dal marito della stessa, a sua volta informato dalla moglie) che l’aveva accusata di mendacio.

Fissati tali elementi probatori la Corte di merito riteneva del tutto inconsistenti le obiezioni opposte dalla difesa essendo irrilevanti le deposizioni dei vari testi indicati sia dalla C.V. sia dall’imputato a sostegno delle rispettive posizioni.

In particolare, il compiacente assunto di V.L., di R.S. di non aver mai visto I. fare il bagno in piscina, o prendere il sole o in costume da bagno era smentito dall’ammissione della prima di aver regalato alla domestica un costume da bagno e dalle fotografie in atti in cui quest’ultima appariva abbronzata, oltre che da precedenti contrarie dichiarazioni rese dalle testi all’udienza del 4 giugno 2004.

La negazione di aver in qualche modo avuto cognizione di quanto avveniva in piscina proveniente da B.M.T., indicata dalla C.V. come l’insegnante che, in occasione del primo episodio, faceva, in una stanza della villetta vicina alla piscina, ripetizione d’italiano alla figlia degli A. e alla sua compagna, era irrilevante poichè il fatto, svoltosi in acqua, non era visibile dalle persone che si trovavano all’interno dell’edificio.

Anche per l’episodio del (OMISSIS) la Corte territoriale ravvisava tratti di falsità e compiacenza nelle deposizioni di R., V. e Ro. (che aveva proposto un alibi teso a escludere categoricamente l’accadimento del fatto denunciato); forniva spiegazioni circa il comportamento del carabiniere U. che aveva negato di essere stato avvicinato in strada (essendo suo dovere di non lasciare incustodita la stazione) dalla C.V.;

rispondeva alle deduzioni della memoria difensiva presentata all’udienza del 10.06.2010 specificando che non poteva suscitare sospetto la telefonata di circa quattro minuti e mezzo intercorsa tra M. e la moglie alle ore 9.30 precedente quella che la persona offesa aveva fatta al marito alle ore 9:48, quando si stava recando dai CC. Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando violazione di legge; contraddittorietà e illogicità della motivazione sulla conferma dell’affermazione di responsabilità basata sulla distorta lettura dei tabulati delle utenze telefoniche cellulari del giorno (OMISSIS) in uso ai protagonisti delle vicende essendo di assoluta rilevanza la prima telefonata fatta dal M. alla moglie poco prima della presunta aggressione.

Inoltre:

– erano significative le cinque telefonate intercorse in circa venti minuti tra I. e il marito;

– non era stata colta l’incongruità cronologica delle telefonate;

– le persone indicate dalla persona offesa come testi di sostegno del suo assunto, per averla smentita, erano state immotivatamente tacciate di falsità;

– il carabiniere U. aveva escluso la casualità dell’incontro sulla strada e aveva descritto la donna come persona tranquilla;

– la deposizione di I. in udienza non era stata pacata, ma contrassegnata da alterchi con le persone con cui era stata messa a confronto;

– valido era l’alibi fornito da Ro.;

– era inutilizzabile la deposizione di M. che aveva ammesso di avere prima letto i verbali di causa;

– era irrilevante la deposizione del teste Ma. secondo cui la donna gli aveva parlato di semplici avances.

Sull’accusa, quindi, non convergevano elementi di riscontro nè argomentazioni logiche. Chiedeva l’annullamento della sentenza.

In data 21 maggio 2011 l’imputato depositava motivi nuovi denunciando mancanza di motivazione e violazione di legge sull’omessa valutazione della memoria depositata all’udienza del 10.06.2010.

In data 19.10.2001 il predetto depositava altri motivi nuovi.

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato con le conseguenze di legge.

L’obbligo generale della motivazione, imposto per tutte le sentenze dall’art. 426 c.p.p., richiede la sommaria esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata e va rapportato al caso in esame, alle questioni sollevate dalle parti e a quelle rilevabili o rilevate dal giudice.

Tale obbligo è assolto quando il giudice esponga le ragioni del proprio convincimento a seguito di un’approfondita disamina logica giuridica di tutti gli elementi di rilevante importanza sottoposti al suo vaglio, sicchè, nel giudizio d’appello, occorre che la Corte di merito riporti compiutamente i motivi d’appello e, sia pure per implicito, le ragioni per le quali rigetti le doglianze negli stessi avanzate.

Quindi, il giudice d’appello è libero, nella formazione del suo convincimento, d’attribuire alle acquisizioni probatorie il significato e il peso che egli ritenga giusti e rilevanti ai fini della decisione, con il solo obbligo di spiegare, con motivazione priva di vizi logici o giuridici, le ragioni del suo convincimento.

E’ pure consentita la motivazione per relatiomm, con riferimento alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate a carico della sentenza del primo giudice non contengano elementi di novità rispetto a quelli già esaminati e disattesi dallo stesso oppure non attengano a elementi rilevanti ai fini decisionali.

Infatti, quando "le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella salutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza d’appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo" (Cassazione Sezione 1, n. 8868/2000, Sangiorgi, RV. 216906).

Va, infine rilevato Che nel giudizio d’appello "la sentenza di appello confermativa della decisione di primo grado è viziata per carenza di motivazione, e si pone dunque fuori dal pur legittimo ambito del ricorso alla motivazione per relatkmem, se si limita a riprodurre la decisione confermata dichiarando in termini apodittici e stereotipati di aderirvi. senza dare conto degli specifici motivi d’impugnazione che censurino in modo puntuale le soluzioni adottate dal giudice di primo grado, e senza argomentare sull’inconsistenza o sulla non pertinenza di detti motivi" (Cassazione Sezione 6, n.6221/2006, Aglieri, RV. 233082).

Nel caso in esame, nel giudizio d’appello è stato ritenuto che gli elementi probatori acquisiti avessero spessore tale da giustificare la conferma dell’affermazione di responsabilità dell’imputato.

Sono state a tal fine richiamate le argomentazioni logiche dei giudici del primo giudizio, riferite alla globalità delle prove obiettive raccolte, non inficiate dalle censure esposte nei motivi di gravame che sono articolate in fatto e distorcono la sostanza del provvedimento impugnato che possiede un valido apparato argomentativo del tutto rispondente alle utilizzate acquisizioni processuali.

Il ricorrente lamenta che i giudici di merito abbiano motivato illogicamente, ma sostanzialmente propone censure di natura fattuale e superficiali giudizi d’inverosimiglianza e d’illogicità, che i predetti hanno già esaminato ritenendoli inidonei a sostenere un giudizio favorevole all’imputato, sussistendo a suo carico specifici e concreti elementi comprovanti l’attendibilità intrinseca ed estrinseca della parte lesa il cui racconto accusatorio, tempestivo e coerente, è stato ritenuto pienamente attendibile circa le accuse di natura sessuale rivolte all’ A..

Le segnalate incongruenza cronologiche, che non si spingono al punto di inquadrare la denuncia in un contesto calunniatorio teso a conseguire indebiti vantaggi patrimoniali, in realtà tali non sono stante che la Corte di merito ha valutato espressamente (contrariamente a quanto lamentato con i motivi nuovi) la memoria del 10.06.2010, logicamente osservando che non può destare sospetto la prima delle telefonate che i coniugi C.V. si sono scambiati la mattina del (OMISSIS) ed ha ricostruito i fatti, radicando la responsabilità sulla chiara e insospettabile deposizione del dr. Ma. destinatario di una richiesta d’aiuto, proveniente dalla donna molto agitata e spaventata che mai l’aveva chiamato in precedenza, il quale ha dichiarato che aveva tentato di tranquillizzarla ed esortata a rivolgersi ai CC se la situazione fosse peggiorata.

Il riscontro probatorio sopraindicato proietta, ovviamente, i suoi effetti anche sul secondo abuso la cui dinamica risulta esposta con assoluta coerenza a onta delle pretestuose prese di posizioni assunte dai testi R. e B. indicati dalla stessa persona offesa, circostanza che comprova la sua buona fede circa l’affidamento su deposizioni conformative di fatti, a lei favorevoli, caduti sotto la loro diretta percezione.

Può, quindi, concludersi che i giudici di merito hanno individuato solidi elementi probatori a carico dell’imputato ed hanno dato convincenti spiegazioni sui rilievi difensivi, sì da escluderne l’incidenza sulla riportata ricostruzione dei fatti collocati in un preciso e reale contesto ambientale e correttamente inquadrati, sub specie iuris, come atti sessuali.

Il rigetto del ricorso comporta condanna al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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