Cass. civ. Sez. III, Sent., 14-06-2012, n. 9715 Risoluzione del contratto per inadempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Torino in data 1 febbraio 2008 ha respinto la domanda proposta da N.C. nei confronti di B.C., tendente a dichiarare risolto per inadempimento della venditrice il contratto concluso con le scritture del 19 maggio 1999 e del 7 giugno 1999 di acquisto di azienda che comprendeva un bene immobile ad uso commerciale, di proprietà della B. e diretta anche ad ottenere il risarcimento dei danni per la vendita all’asta dell’immobile stesso.

Su gravame della N. la Corte di appello di Torino il 6 novembre 2009 ha confermato la sentenza di prime cure e condannato l’appellante alle spese.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione la N., affidandosi a due articolati motivi.

Resiste con controricorso la B..

La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

l.-Per una migliore comprensione delle questioni giuridiche sottoposte all’esame del Collegio va posto in rilievo quanto segue.

Con scrittura privata in data 19 maggio 1999 B.C., cedette a N.C. l’esercizio commerciale sito in (OMISSIS).

Il prezzo convenuto per la compravendita ammontava a L. 250 milioni di cui 10 milioni corrisposti al momento della sottoscrizione della scrittura; L. 80 milioni da corrispondersi alla formalizzazione del trasferimento; L. 160 milioni da corrispondersi per mezzo di 64 effetti cambiari dell’importo di L. 2.500.00 a decorrere dal 30 luglio 1999.

La cessione dell’esercizio commerciale veniva formalizzata il 7 giugno 1999 con scrittura privata autenticata dal notaio Caligaris.

Contestualmente alla sottoscrizione della scrittura veniva stipulato tra le parti un contratto di locazione avente ad oggetto l’unità immobiliare in cui è sito il negozio, di proprietà della B. e del marito Bi..

Risultata inadempiente al pagamento del canoni di locazione la N., l’immobile rientrava in possesso della B. in forza di esecuzione di provvedimento di rilascio per morosità della N. – conduttrice.

In conseguenza dell’inadempimento dell’acquirente N. alle obbligazioni di cui alla scrittura del 7 giugno 1999 (quella della formalizzazione) il contratto di vendita veniva risolto in forza di clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto stesso.

Il Tribunale di Torino con sentenza in data 11 dicembre 2003, accertava e dichiarava risolto quel contratto e la decisione è passata in giudicato.

Il Condominio di (OMISSIS) di cui faceva parte l’immobile diede inizio a procedura esecutiva immobiliare iscritta al R.G. n. 919/97 in odio alla N., con verbale di pignoramento trascritto in data 28 ottobre 1997.

In questa procedura intervenivano la Banca Cassa Risparmio di Torino nel 1997 e la Cassa di Risparmio di Fossano nell’anno 2000.

In questa procedura intervenivano anche la B. e il marito Bi., ai quali all’esito della procedura veniva riconosciuto un credito pari ad Euro 4.467,35.

Con citazione notificata in data 1 dicembre 2005 la N. conveniva in giudizio la B. precisando che il contratto racchiuso nelle due scritture del 1999 era già stato dichiarato risolto in forza della clausola solutiva espressa contenuta nella scrittura del 7 giugno 1999 e chiedeva dichiararsi lo stesso contratto risolto per inadempimento della B. – venditrice, con la restituzione della somma complessiva di Euro 50.334,55, comprensiva di interessi e il risarcimento dei danni subiti per la vendita all’asta dell’alloggio sito in (OMISSIS) nella misura in corso di causa accertando o comunque secondo equità.

Come evidenziato in epigrafe il Tribunale prima e la Corte di appello poi hanno respinto le domande.

Di qui il presente ricorso per cassazione.

2.-Con il primo motivo (sulla domanda di risoluzione del contratto di compravendita dell’azienda: violazione falsa applicazione dell’art. 1353 c.c. – art. 360 c.p.c., n. 3; violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c. – art. 360 c.p.c., n. 3), in estrema sintesi, la ricorrente lamenta che erroneamente il giudice dell’appello avrebbe statuito che non poteva essere chiesta la risoluzione ex art. 1453 c.c. di un contratto già risolto ex art. 1456 c.c..

Infatti, si trattava di domande diverse, con causa pretendi quella ex art. 1453 c.c. – per inadempimento della venditrice e petitum diverso – restituzione dell’acconto già versato -; quella ex art. 1456 c.c., oggetto del giudizio concluso con la sentenza del 9 settembre 2003 n. 7625/03 nel quale si era chiesto ed ottenuto la declaratoria di risoluzione ex art. 1456 c.c., in forza di clausola risolutiva espressa e declaratoria di non utilizzabilità come titolo esecutivo degli effetti cambiari non ritirati dall’ acquirente N. e rimasti della venditrice B. (p. 16 ricorso) e, quindi, il giudice dell’appello avrebbe dovuto ritenere ammissibile la domanda (p. 22 ricorso).

3.-Al riguardo il Collegio osserva.

E’ un dato processuale pacifico che la sentenza del Tribunale di Torino del 2003 è passata in giudicato.

Con quella decisione fu accertato e dichiarato che il contratto tra le parti si era risolto ex art. 1456 c.c..

E’ altresì pacifico in linea di principio che differenti sono le domande ex art. 1456 c.c. ed ex art. 1453 c.c., il quale ultimo porta ad una pronuncia costitutiva.

Pertanto, il giudice dell’appello non ha fatto altro che conformarsi all’orientamento di questa Corte (v. Cass. n. 167/05) in tema di natura dell’azione ex art. 1456 c.c., nonchè in tema di efficacia ed operatività della clausola risolutiva espressa contenuta nel par. 8^ della scrittura del 1999 (Cass. n. 16993/07).

Non solo, nel rigettare la domanda ha logicamente affermato che è giuridicamente impossibile risolvere un contratto già risolto, per cui la domanda ex art. 1453 c.c., non poteva essere accolta.

Sul punto la ricorrente deduce che essendo stato ritenuto risolto il contratto ex art. 1456 c.c., nulla le può impedire di proporre la domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c..

Il che è esatto in linea teorica, ma non in presenza di un giudicato fondato sulla sussistenza ed operatività di una clausola risolutiva espressa, che prescinde, come è noto, da un eventuale inadempimento.

In altri termini, con la sentenza del 2003 il contratto venne dichiarato risolto in conseguenza della previsione di cui alla clausola in esso contenuta e su questa statuizione si è formato il giudicato esterno, che non può non influire su di una domanda di risoluzione anche per inadempimento.

E’ vero che la B. aveva dichiarato di non volersi avvalere della clausola, ma, prendendo atto che ella era intervenuta nella procedura esecutiva per il recupero del residuo credito, il giudice del merito aveva affermato che ella aveva dimostrato in modo inequivoco l’intenzione di avvalersene, assumendo un comportamento del tutto incompatibile con la volontà di mantenere in vita il contratto di cessione di azienda (p. 26-27 sentenza impugnata).

Pertanto, il motivo va disatteso.

4.-Anche il secondo motivo (motivo-violazione e falsa applicazione artt. 100 e 96 c.p.c.; art. 2043 c.c. – art. 360 c.p.c., n. 3; artt. 514, 515, 495, 496 c.p.c. – art. 360 c.p.c., n. 3) non merita accoglimento.

E’ sufficiente leggere la motivazione" integrativa di quella di primo grado mancante" (p. 29 sentenza impugnata) per rendersi conto che nessuna delle censure prospettate nella doglianza possono correre il rischio di scalfirne l’argomentazione.

Infatti, il giudice dell’appello ha correttamente affermato che nessuna responsabilità extracontrattuale era ed è addebitabile alla B., che aveva esercitato un suo diritto di credito e legittimamente aveva chiesto la vendita del bene pignorato, perchè disponeva del titolo per la procedura esecutiva, anche quando ha provveduto alla pubblicità sui giornali (p. 29 sentenza impugnata).

Peraltro, la esecuzione non è risultata fondata su di un titolo inesistente, ma su di un debito in capo alla stessa N., che pure avrebbe potuto onorare, come pure ella afferma che avrebbe potuto fare: "sarebbe stato sufficiente che la N. versasse loro la somma di L. 8.650.000, oltre le spese dell’esecuzione" (p. 32 ricorso).

Di vero, la responsabilità della vendita ricade in capo al soggetto inadempiente e la responsabilità aggravata si realizza a due condizioni:

a) che la domanda sia proposta nello stesso processo;

b) il titolo sia totalmente inesistente.

Sul punto il giudice dell’appello, contrariamente all’assunto della ricorrente, si è fatto carico di accertare la sussistenza di entrambe le condizioni.

Conclusivamente il ricorso va respinto e le spese, che seguono la soccombenza, vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *