Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-11-2011) 28-11-2011, n. 44048 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza in data 25.2.2010 la Corte di Appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pesaro del 15.5.2001, con la quale A.G. era stato condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed applicata la diminuente per la scelta del rito, alla pena di anni 4 di reclusione ed Euro 40.000,00 di multa per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, con confisca delle somme di denaro sequestrate, riduceva la pena inflitta in primo grado ad anni 2, mesi 10 di reclusione ed Euro 24.000,00 di multa, confermando nel resto.

Riteneva la Corte che ricorressero le condizioni per disporre la confisca ex L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies, risultando evidente che la somma sequestrata, per la entità della stessa e non essendo stata fornita alcuna giustificazione, non potesse che essere provento dell’attività di spaccio.

2) Propone ricorso per cassazione l’ A., a mezzo del difensore, denunciando, con un unico motivo, la erronea valutazione ed interpretazione della legge penale in relazione all’art. 240 c.p..

La Corte territoriale ha confermato la confisca disposta in primo grado senza tener conto dei rilievi svolti con i motivi di appello.

Agli atti non vi è assolutamente la prova che le somme confiscate rappresentino il profitto od il prezzo del reato, derivando esse dall’attività professionale e dai risparmi di una vita di lavoro.

Del resto è assolutamente inverosimile che tali somme costituiscano il provento dello spaccio della modesta quantità di stupefacente sequestrato. Inoltre la Corte territoriale non ha tenuto conto che, trattandosi di confisca facoltativa ex art. 240 c.p., occorreva motivare adeguatamente.

3) Il ricorso è infondato.

3.1) La confisca è stata disposta, come risulta chiaramente dal dispositivo della sentenza di primo grado, ex L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies e non ai sensi dell’art. 240 c.p..

Va ricordato in proposito che le sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 920 del 17.12.2003, hanno affermato il condivisibile principio che "La condanna per uno dei reati indicati nel D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies, commi 1 e 2, conv. con modif. nella L. 7 agosto 1992, n. 356, comporta la confisca dei beni nella disponibilità del condannato, allorchè, da un lato, sia provata l’esistenza di una sproporzione tra il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua attività economica e il valore economico di detti beni e, dall’altro, non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza di essi. Di talchè, essendo irrilevante il requisito della "pertinenzialità" del bene rispetto al reato per cui si è proceduto, la confisca dei singoli beni non è esclusa per il fatto che essi siano stati acquisiti in epoca anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta condanna o che il loro valore superi il provento del medesimo reato (V.Corte Cost. ord.29gennaio 1996 n.18)".

La giurisprudenza successiva ha ribadito costantemente tale orientamento, che può dirsi ormai consolidato. Secondo Cass.sez.3 n. 38429 del 9.7.2008 "In tema di confisca dei beni patrimoniali prevista dal D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies è irrilevante il requisito della pertinenzialità tra bene da confiscare e reato, sicchè detta confisca non è esclusa per il fatto che i beni siano stati acquisiti in epoca anteriore ai reato per cui è intervenuta condanna"; oppure "…abbiano un valore superiore al provento del medesimo reato " (così Cass.sez. 1, n.11269 del 18.2.2009). Ancor più chiaramente è stato ribadito che non è richiesto "..l’accertamento di un nesso eziologico tra il reato e i beni, dal momento che opera una presunzione legislativa di illecita accumulazione, non rilevando se detti beni siano o meno derivati dal reato per il quale è stata inflitta la condanna" (Cfr.Cass.sez. 1 n.8404 del 15.1.2009).

3.1.1) E1 pacifico che in caso di "doppia conforme" le motivazioni della sentenza di primo grado e di quella di appello si saldino in un unico corpo argomentativo. Il Tribunale aveva, innanzitutto, accertato che la somma depositata (ben 25 milioni), tra l’agosto e l’ottobre 1999, era assolutamente sproporzionata rispetto ad un reddito di poco meno di due milioni al mese; inoltre delle somme sequestrate il prevenuto aveva fornito solo "generiche ed insoddisfacenti spiegazioni". La Corte territoriale, nel rinviare per relationem alla sentenza di primo grado, ha disatteso i rilievi difensivi, sottolineando e ribadendo che le somme sequestrate, sproporzionate rispetto ai redditi di natura lecita e delle quali non era stata fornita alcuna giustificazione, non potevano che essere provento dell’attività di spaccio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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