Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 07-11-2011) 28-11-2011, n. 44008

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 19 novembre 2010 il Tribunale di Pesaro ha condannato M.S. alla pena di mesi nove di reclusione, con le circostanze attenuanti generiche, per il reato continuato previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-ter, (capo a) e dall’art. 495 cod. pen. (capo b).

Al prevenuto era stato contestato di essersi trattenuto, senza giustificato motivo, nel territorio dello Stato, dove era stato sorpreso a Pesaro, il 2 ottobre 2007, in violazione dell’ordine di lasciare il territorio nazionale entro il termine di cinque giorni, impartitogli dal Questore di Pesaro il 9 luglio 2007, a seguito di provvedimento del Prefetto di Pesaro ed Urbino emesso il 5 agosto 2005, e di avere dichiarato, nel corso del controllo in data 2 ottobre 2007, false generalità personali ai pubblici ufficiali della Questura di Pesaro.

2. Avverso la predetta sentenza, ha interposto ricorso immediato a questa Corte di cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Ancona limitatamente al trattamento sanzionatorio, essendo la pena base applicata per la violazione ritenuta più grave, prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-ter, inferiore al minimo edittale di un anno di reclusione.

Motivi della decisione

3. L’esame del ricorso è precluso dall’abolizione del reato assunto come violazione più grave, nel frattempo intervenuta.

E, invero, la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-ter, che punisce la condotta di ingiustificata inosservanza del reiterato ordine di allontanamento del questore nei confronti di cittadino straniero, già destinatario di provvedimento di espulsione, ancorchè posta in essere prima della scadenza dei termini, entro il 24 dicembre 2010, per il recepimento della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, deve considerarsi non più applicabile nell’ordinamento interno, a seguito della pronuncia della Corte di giustizia U.E. 28/04/2011 (nell’ambito del processo E.D., C- 61/11PPU), che ha affermato l’incompatibilità della norma incriminatrice interna con la predetta normativa comunitaria, determinando effetti sostanzialmente assimilabili alla abolitio criminis, con la conseguente necessità di dichiarare, nei giudizi di cognizione, che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, e fare ricorso in sede di esecuzione – per via di interpretazione estensiva – alla previsione dell’art. 673 cod. proc. pen. (c.f.r.

Sez. 1, 28/04/2011, n. 22105 e 29/04/2011, n. 20130).

4. Il D.L. 23 giugno 2011, n. 89, convertito con modificazioni in L. 2 agosto 2011, n. 129 – recante disposizioni urgenti per il completamento dell’attuazione alla direttiva suindicata sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva sul rimpatrio di cittadini di paesi terzi irregolari – ha novato la fattispecie (sostanzialmente confermando l’intervenuta abolitio criminis). La nuova formulazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-quater, introdotta con l’intervento normativo suindicato, non realizza infatti una continuità normativa con la precedente disposizione, non soltanto per lo iato temporale intercorrente con l’effetto della direttiva, ma anche per la diversità strutturale dei presupposti e la differente tipologia della condotta necessaria ad integrare l’illecito delineato. Sul punto basta ricordare che, oggi, alla intimazione di allontanamento si può pervenire solo all’esito infruttuoso dei meccanismi agevolatori della partenza volontaria ed allo spirare del periodo di trattenimento presso un centro a ciò deputato (Centro di identificazione ed espulsione, abbreviato in CIE). Il D.L. citato ha istituito dunque una nuova incriminazione, applicabile solo ai fatti verificatisi dopo l’entrata in vigore della novella.

L’intervenuta abolitio criminis impone di risolvere il problema che si pone nella presente fattispecie, connotata dalla particolarità del ricorso proposto dal Pubblico ministero limitatamente al trattamento sanzionatorio, nel senso che la causa di non punibilità, ex art. 129 cod. proc. pen., è destinata a prevalere, poichè alla impossibilità di rilevare cause di non punibilità in presenza di impugnazione che non ha attinto i presupposti della condanna, resistono le ipotesi di successione di leggi, riconducibili all’art. 2 cod. pen.. La nozione di condanna, ricavabile da tale norma in combinato con l’art. 673 cod. proc. pen., non può essere difatti che ricondotta al giudicato formale e ciò comporta che, fin tanto che esso non si è formato, spetta al giudice della cognizione prendere atto, in particolare, della intervenuta abolitio criminis e annullare la condanna per fatto divenuto privo di rilievo penale (conformi:

Sez. 6, n. 41683 del 19/10/2010, dep. 25/11/2010, Ndaw, Rv. 248720;

Sez 6, n. 9028 del 05/11/2010, dep. 08/03/2011, Gargiulo, Rv. 249680;

vedi, anche, Sez. U, n. 19601 del 28/02/2008, Rv. 239400).

Nel caso in esame, tuttavia, la riconosciuta continuazione tra il fatto (più grave) non più previsto dalla legge come reato (capo a) e il pur contestato delitto di cui all’art. 495 cod. pen. (capo b), impone l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al predetto fatto ascritto al capo a), con rinvio alla Corte di appello di Ancona al fine della rideterminazione del trattamento sanzionatorio con riguardo all’ulteriore reato di cui al capo b).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata relativamente alla violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-ter, perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato, e rinvia alla Corte di appello di Ancona per la rideterminazione della pena in ordine al reato di cui all’art. 495 cod. pen..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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