Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-06-2012, n. 9700

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso del 1.10.2003 al Giudice del lavoro D.L. esponeva di aver lavorato alle dipendenze di C.P. titolare dell’omonima ditta sita in (OMISSIS) dal 1.2.1993 al 7.2.2002 svolgendo mansioni di operaio qualificato ma di aver percepito una retribuzione inferiore a quella prevista dal CCNL applicabile; chiedeva pertanto la condanna di parte convenuta alla differenze retributive come da ricorso. Si costituiva il C. che eccepiva la prescrizione quinquennale e deduceva che il ricorrente era stato correttamente inquadrato come apprendista.

Espletata prova per testi il Tribunale di Campobasso con sentenza del 28.5.2008 condannava parte resistente al pagamento della somma di cui alla sentenza. Il Tribunale riteneva che il periodo di apprendistato andasse rideterminato in relazione al periodo di suo effettivo svolgimento da ritenersi completato in due anni e così determinava per i residui tre anni le spettanti differenze retributive, sulla base dell’inquadramento come operaio specializzato.

Sull’appello del C. la Corte di appello lo rigettava. La Corte territoriale rilevava che il contratto di apprendistato doveva limitarsi al periodo effettivamente necessario alla formazione dell’apprendista e che, alla stregua delle risultanze probatorie (che dimostravano come già nel 1995 il ricorrente avesse acquisito le competenze della qualifica rivendicata), doveva limitarsi il periodo di apprendistato ai due anni necessari per formare il giovane D., assunto a soli 15 anni, anche in considerazione delle mansioni di operaio specializzato conseguite con il periodo di tirocinio; per il resto il contratto doveva considerarsi come simulato e pertanto spettavano le richieste differenze retributive;

tali differenze risultavano provate da una consulenza tecnica che aveva accertato la sussistenza di crediti addirittura superiori a quelli rivendicati.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre il C. con tre motivi; resiste l’intimato con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si deduce la violazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 21, comma 2, nonchè l’erroneità e contraddittorietà della sentenza nella parte cui il Giudice ha rideterminato in via equitativa la durata del contratto di apprendistato. Inoltre si allega la violazione e falsa applicazione del CCNL metalmeccanici. Il contratto di apprendistato non può superare L. n. 56 del 1987, ex art. 21, comma 2, quanto stabilito dalla contrattazione collettiva; la norma legale rinvia alle disposizioni dei CCNL ed alla valutazione delle parti sociali. Il CCNL di settore fissa tale limite in cinque anni quale durata non riducibile.

Il motivo appare infondato. La norma di cui alla L. n. 56 del 1987, art. 21, comma 2, fissa una durata massima del contratto di apprendistato stabilita dai contratti collettivi di lavoro cui spetta l’individuazione, anche in relazione alla specificità del settore, di un limite assoluto all’attività formativa: come stabilito da questa Corte lo scopo di tale rinvio è soprattutto quello di "tutelare le esigenze dei giovani lavoratori evitando, in particolare, l’improprio protrarsi della loro condizione di apprendisti" (Cass. n. 2578/2006); tale rinvio certamente non implica, però, che, ove si dimostri che l’attività di apprendistato si è già svolta ed il lavoratore- conclusosi il processo di formazione – abbia l’idoneità a svolgere le mansioni cui l’apprendistato era mirato e le svolga idoneamente e di fatto da solo ed indipendentemente da attività formativa e di tirocinio di sorta, si debba necessariamente ritenere che il contratto di apprendistato debba coprire l’intera durata stabilita come "massima" dal contratto collettivo di settore (peraltro non prodotto unitamente al ricorso in cassazione, nel quale non si indica neppure l’incarto processuale ove il detto contratto sia reperibile). Opinando diversamente la legge attraverso il rinvio alla contrattazione collettiva finirebbe con lo stabilire non già il periodo massimo del contratto di apprendistato, ma anche quello minimo, il che è del tutto incoerente con la ratto della normativa che è quella di tutelare l’interesse del giovane lavoratore alla corrispondenza tra l’inquadramento come apprendista e l’effettivo svolgimento anche di una specifica attività di formazione ed apprendimento professionale.

Con il secondo motivo si deduce il difetto di motivazione per omessa ed erronea interpretazione della prova testimoniale del teste M.M., del teste D.S.M. e del teste P.M.: il lavoratore comunque operava con operai già esperti, non eseguiva le mansioni indicate in sentenza dopo il biennio da solo.

Il motivo è infondato in quanto solleva censure di merito che tendono ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie, inconferente in questa sede. La Corte territoriale ha accertato che già nel periodo aprile 1993 e aprile 1995 il D. curava l’installazione di impianti termico-idraulici e il completo rifacimento della tubature degli impianti idrici ed eseguiva il montaggio degli impianti di riscaldamento e di quelli idrici, svolgendo così autonomamente le mansioni di operaio specializzato.

La motivazione appare congrua, logicamente coerente ed offre un richiamo puntuale alle dichiarazioni rese dai testi; le censure come detto sono di merito.

Con il terzo motivo si deduce l’omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso: vi era stato un errore di calcolo del CTU: il numero di giornate lavorative indicate nella CTU era superiore a quelle svolte, posto che il ricorrente lavorava cinque giorni alla settimana.

Anche tale motivo appare infondato in quanto muove censure di mero fatto, inconferenti in questa sede, alla consulenza tecnica di cui non sono riportati i passaggi contestati e le operazioni contabili che si assumono sbagliate, anche in rapporto al motivo di appello eventualmente proposto (che non viene riportato). Peraltro emerge dalla sentenza impugnata che dalla CTU risultano crediti superiori a quelli richiesti in giudizio, per cui non viene offerta neppure la dimostrazione che, una volta eliminato il preteso errore di calcolo, non spetti quanto già attribuito all’intimato.

Pertanto deve rigettarsi il proposto ricorso: le spese del giudizio di legittimità, liquidate come al dispositivo della presente sentenza, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 50,00 per esborsi, nonchè in Euro 3.000,00 oltre IVA, CPA e spese generali per onorari di avvocato da distrarsi in favore dell’avv.to Sandro Maria Carucci, antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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