Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-06-2012, n. 9698 Rapporto di pubblico impiego

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 9483/1993 il Pretore del lavoro di Roma rigettò il ricorso di L.F. diretto alla declaratoria del suo diritto ad essere assunto dall’Istituto Poligrafico ed al conseguente risarcimento del danno in quanto, sebbene classificatosi vincitore di un pubblico concorso bandito nel 1987, non era risultato idoneo, a seguito di accertamenti sanitari della struttura pubblica, all’assolvimento delle mansioni di destinazione, cioè quelle di macchinista litografo.

A seguito di appello del L. il giudice del lavoro del Tribunale di Roma, con sentenza n. 2 del 12/12/95, dichiarò il diritto dell’appellante ad essere immesso in servizio con la qualifica di cui al bando di concorso, ma rigettò la domanda di condanna dell’Istituto alla sua assunzione in difetto di una norma legittimante un simile ordine e nemmeno accolse la domanda risarcitoria, in quanto generica e non ritualmente proposta nel ricorso introduttivo del giudizio. Tuttavia, l’Istituto Poligrafico provvide autonomamente ad assumerlo a far data dal 4 marzo 1996; in seguito il L. rivendicò, innanzi al giudice del lavoro del Tribunale di Roma, il pagamento della somma di Euro 10.459,29, calcolata sino al 31/12/02 a titolo di differenza fra il trattamento retribuivo percepito dalla sua assunzione e quello che, a suo dire, gli sarebbe spettato in misura più favorevole qualora fosse stato direttamente assunto all’esito del concorso.

Con sentenza n. 4881/05 il giudice adito accolse la domanda, condannò l’Istituto convenuto al pagamento della somma rivendicata ed accertò il diritto del ricorrente a percepire le differenze retributive maturate dal 2003 in poi.

Tale decisione è stata impugnata dall’Istituto Poligrafico e Zecca di Stato innanzi alla Corte d’appello di Roma – sezione lavoro, la quale ha accolto il gravame ed ha rigettato l’originaria domanda proposta dal L..

La Corte capitolina ha ritenuto che si era ormai formato il giudicato sulla domanda risarcitoria posta a base del procedimento conclusosi con la sentenza n. 2/1995 del Tribunale di Roma che ne aveva accertato l’inammissibilità, per cui nessun’altra domanda poteva essere successivamente azionata dal L..

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il L., il quale affida l’impugnazione a quattro motivi di censura.

Resiste con controricorso l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A..

Motivi della decisione

1. Col primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme in relazione all’art. 2909 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), oltre che l’insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) sotto il profilo dei limiti temporali della domanda.

In pratica, si sostiene che la domanda risarcitoria compresa nel giudicato di cui alla sentenza d’appello n. 2/95 del Tribunale di Roma aveva un contenuto diverso da quella attuale, poichè era limitata al conseguimento delle differenze economiche maturate fino alla data della effettiva assunzione in base all’invocata applicazione del miglior trattamento retributivo in essere nel periodo antecedente all’assunzione medesima; invece, la domanda azionata nel presente giudizio afferisce, secondo la tesi qui sostenuta, agli emolumenti maturati dopo la predetta assunzione, cioè dopo il 4/3/96, per cui essendovi diversità di "petitum" sarebbe erronea la decisione impugnata nella parte in cui fa leva, ai fini del rigetto della domanda, sull’esistenza del suddetto giudicato.

Il motivo è infondato.

Occorre, anzitutto, partire dalla considerazione che nella sentenza n. 2/1995 del giudice del lavoro del Tribunale di Roma, emessa in fase di appello il 12 dicembre 1995 e passata in giudicato, fu evidenziato, una volta accertato che il L. aveva diritto ad essere immesso in servizio con la qualifica di cui al bando, che la mancata assunzione dava diritto solo al risarcimento del danno, in quanto la richiesta di condanna all’assunzione in servizio rappresentava una domanda di condanna ad un "tacere" determinato che non poteva essere accolta, dal momento che essa presupponeva l’esistenza di una specifica norma legittimante un simile ordine. Nel contempo, il medesimo giudicante non accolse nemmeno la domanda di condanna dell’Istituto convenuto al risarcimento del danno, da calcolarsi nella misura di tutte le retribuzioni, in quanto generica ed ambigua, oltre che priva di idonee allegazioni e, pertanto, da considerare non ritualmente proposta nel ricorso introduttivo del giudizio. Ne consegue che correttamente è stata rilevata nella sentenza oggi impugnata la preclusione alla riproposizione della summenzionata domanda risarcitoria per il periodo successivo all’assunzione, periodo rispetto al quale il suddetto giudicato continua ad esplicare i suoi effetti. Invero, anche la presente richiesta risarcitoria, così come correttamente intesa dalla Corte territoriale, attiene agli stessi fatti costitutivi della domanda coperta dal precedente giudicato, vale a dire la richiesta di differenze economiche che sarebbero spettate in forza dell’invocata applicazione del miglior trattamento retributivo precedente all’assunzione qualora questa fosse avvenuta all’epoca della conclusione del bando di concorso e non fosse stata ritardata.

2. Oggetto del secondo motivo di censura è la violazione o falsa applicazione di norme in relazione all’art. 2909 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè l’omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) sotto il profilo della diversità del "petitum" e della "causa petendi".

Si sostiene, al riguardo, la diversità delle ragioni poste a base delle due domande di cui al punto precedente, in quanto nel primo giudizio coperto da giudicato era stato chiesto solo il risarcimento del danno per il periodo antecedente l’assunzione, mentre in quello odierno è chiesto anche l’adempimento delle obbligazioni di natura contrattuale, ovvero il pagamento nella misura corretta delle retribuzioni maturate dopo l’effettiva assunzione.

Anche tale motivo è infondato.

In realtà la "causa petendi" è in entrambi i casi di natura risarcitoria, atteso che la finalità di entrambe le domande di cui trattasi è rappresentata, così come emerge dalle due sentenze oggetto di raffronto e a prescindere dai rispettivi periodi di riferimento, dal conseguimento delle differenze economiche richieste a titolo di risarcimento del danno per effetto della comparazione fra il trattamento percepito e quello più remunerativo che sarebbe spettato se l’assunzione fosse avvenuta all’epoca della conclusione del bando di concorso, anzichè essere attuata in un momento successivo. Ne consegue che, non essendovi diversità rispetto all’elemento costitutivo di entrambe le domande, bene ha fatto il giudice d’appello a rilevare l’efficacia preclusiva del giudicato, rappresentato dalla citata sentenza emessa il 12/12/1995 in sede di gravame dal Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro.

3. Coi terzo motivo si denunzia la violazione o falsa applicazione di norme in relazione all’art. 2909 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3 e art. 360 c.p.c., n. 4), nonchè l’insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) sotto il profilo della inesistenza del giudicato sulla "inammissibilità".

Deduce il ricorrente che nella motivazione della sentenza coperta da giudicato si era spiegato che la domanda di risarcimento del danno non poteva esser accolta in quanto mai ritualmente introdotta nel giudizio, ma una tale statuizione non era stata riportata nel dispositivo, per cui la stessa era da considerare inesistente e, come tale, non suscettibile di valutazione ai fini dell’accertamento del giudicato.

Il motivo è infondato: – Invero, è agevole osservare che non era affatto necessario che le ragioni che indussero il giudice a rilevare l’inammissibilità della sola domanda risarcitoria, vale a dire la genericità ed ambiguità della stessa, oltre che la mancanza di idonee allegazioni integranti una sua non rituale proposizione nel ricorso introduttivo del giudizio, venissero riprodotte nel dispositivo, essendo sufficiente che dallo stesso emergesse la volontà del giudicante di non accogliere la domanda risarcitoria, come di fatto avvenuto, per cui non hanno pregio i dubbi manifestati al riguardo dal ricorrente.

Nè può ritenersi fondato il rilievo per il quale la Corte territoriale sarebbe incorsa in errore nel ritenere che era coperta da giudicato una domanda non esaminata nel merito: in realtà, la pronunzia coperta da giudicato conteneva diverse statuizioni di carattere sostanziale, quali l’accertamento del diritto del ricorrente ad essere immesso in servizio in posto con qualifica di cui al bando, il rigetto della domanda di condanna dell’Istituto all’assunzione in servizio ed il mancato accoglimento di quella diretta al risarcimento del danno per genericità ed ambiguità della stessa, oltre che per la mancanza di idonee allegazioni che la facevano ritenere non ritualmente proposta col ricorso introduttivo del giudizio.

4. Col quarto motivo ci si lamenta della violazione o falsa applicazione di norme in relazione all’art. 329 c.p.c., all’art. 346 c.p.c. e all’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3 e art. 360 c.p.c., n. 4), nonchè della contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) sotto il profilo di intervenuto giudicato interno.

In concreto, si deduce che la sentenza di primo grado n. 4881/05, riformata dalla sentenza d’appello oggetto della presente impugnazione, contiene un accertamento definitivo sulla portata del suddetto giudicato esterno, avendo escluso che questo potesse esplicare efficacia nel presente giudizio avente ad oggetto la diversa pretesa rappresentata dalle differenze maturate sulla retribuzione corrisposta dal 1996 in poi per effetto dell’applicazione del ccnl del 1987, con la conseguenza che, non essendo stata mai proposta impugnazione su tale capo della sentenza, sullo stesso deve ritenersi formato il giudicato interno.

Il motivo è infondato.

Invero, dalla lettura dei motivi d’appello trascritti nel controricorso emerge, così come eccepito dalla difesa dell’istituto intimato, che fu espressamente dedotta nel giudizio di secondo grado la limitazione della responsabilità contrattuale da inadempimento dell’istituto a quella risarcitoria per la ritardata assunzione del L., quale vincitore di bando di concorso indetto per il reclutamento di personale in regime privatistico, solo a seguito di intervento giudiziario. Pertanto, l’esame della Corte di merito non poteva prescindere dalla soluzione di siffatta questione, con la conseguenza che correttamente l’indagine fu allargata ai presupposti della vicenda, fino alla scoperta della preclusione nascente dal precedente giudicato che aveva riguardato gli stessi elementi costitutivi della fattispecie in quel momento da risolvere.

D’altra parte, il rilievo d’ufficio del giudicato esterno era senz’altro consentito alla Corte di merito, una volta che il tema di indagine introdotto con l’appello ne implicava la disamina ai fini della verifica degli elementi costitutivi della fattispecie. Non va, infatti, dimenticato che si è già avuto modo di affermare (Cass., sez. lav., 23-01-2002, n. 735) che, vigendo nel nostro ordinamento il principio della rilevabilità d’ufficio delle eccezioni, in quanto la necessità dell’istanza di parte può derivare solo da una eventuale specifica previsione normativa, l’eccezione di giudicato esterno, è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio e il giudice è tenuto a pronunciare sulla stessa, anche in sede di legittimità, qualora emerga da atti prodotti nel corso del giudizio di merito.

In sostanza, secondo tale orientamento, che è stato di seguito confermato (v. Cass. sez. 3 n. 1099/06 e da ultimo S.U. n. 27664 del 28/11/07), il giudice di legittimità accerta l’esistenza e la portata del giudicato con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice del merito.

In definitiva, la circostanza per la quale il primo giudice aveva escluso che la sentenza n. 2/1995 del Tribunale di Roma potesse esplicare efficacia nel presente giudizio non impediva alla Corte d’appello, che era stata investita della problematica della sussistenza della responsabilità dell’ente nei limiti della sola responsabilità risarcitoria, di andare di opposto avviso, rilevando d’ufficio la preclusione del suddetto giudicato ai fini della disamina degli elementi costitutivi della domanda risarcitoria oggetto di causa.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza de ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 4000,00 per onorario ed Euro 70,00 per esborsi, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali ai sensi di legge.

Così deciso in Roma, il 28 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2012

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