Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-10-2011) 28-11-2011, n. 44045 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 18 novembre 2010 la Corte di Appello di Reggio Calabria rigettava la richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione subita da V.M., il quale, dopo essere stato sottoposto a misura cautelare carceraria dal 13.11.2003 al 17.02.2004, in relazione ai delitti di associazione mafiosa e favoreggiamento aggravato, con sentenza del G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria veniva prosciolto dal delitto associativo di cui al capo b) per non aver commesso il fatto e per non punibilità ex art. 384 c.p. in relazione al reato di favoreggiamento, di cui al capo c).

La Corte territoriale rigettava la richiesta, ritenendo che il comportamento dell’istante avesse contribuito con colpa grave alla emissione ed al mantenimento della custodia cautelare in carcere.

Il Collegio rilevava, in particolare, che l’ipotesi accusatoria a carico del V. traeva origine dalle indagini svolte in occasione dell’arresto di alcuni latitanti appartenenti alla famiglia mafiosa Barbaro di Platì; e che al V. era stato contestato, oltre al reato associativo, il delitto di favoreggiamento del latitante T.R., aggravato ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7. 2. Avverso la richiamata ordinanza della Corte di Appello di Reggio Calabria ha proposto ricorso per cassazione V.M., a mezzo del difensore, deducendo il vizio motivazionale e la violazione dell’art. 314 c.p.p..

L’esponente rileva che i contatti telefonici richiamati dalla Corte di Appello, intercorsi tra il V. ed il latitante T., non valgono a delineare i contorni della condotta gravemente colposa del richiedente, ostativa alla equa riparazione. La parte rileva che, essendo rimasto ignoto il contenuto delle predette conversazioni, le stesse non offrono argomenti rispetto alla fattispecie associativa contestata; oltre a ciò, il deducente considera che l’esistenza di un rapporto di affinità tra il ricorrente ed il T. imponeva una analisi particolarmente attenta circa la natura di tali contatti, ben potendo essere gli stessi esclusivamente volti a conoscere le condizioni di salute di uno stretto congiunto che viveva in stato di latitanza.

3. Il Procuratore Generale con requisitoria scritta, ha rilevato che l’impugnazione appare infondata e che merita rigetto; ciò in quanto la Corte di Appello ha evidenziato la sussistenza di elementi nella condotta del richiedente che avevano dato causa alla emissione della misura cautelare e configurante la colpa grave di cui all’art. 314 c.p.p..

Motivi della decisione

4. Il ricorso è infondato, per le ragioni di seguito esposte.

4.1 Come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità.

Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di "causa ad effetto" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del 26/06/2002, dep. 15/10/2002, Rv. 222263).

Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione.

A tal fine, nei reati contestati in concorso, va apprezzata la condotta che si sia sostanziata nella consapevolezza dell’attività criminale altrui e, nondimeno, nel porre in essere una attività che si presti sul piano logico ad essere contigua a quella criminale (Cass. Sez. 4^, Sentenza n. 4159 del 09/12/2008, dep. 28/01/2009, Rv.

242760).

5. L’ordinanza impugnata si colloca coerentemente e puntualmente nella linea del suddetto quadro interpretativo.

Invero, la Corte di Appello ha evidenziato che nella sentenza assolutoria il giudice aveva ritenuto l’assenza di prova di colpevolezza del V., in ordine al reato associativo, poichè risultava indimostrata l’ipotesi delittuosa configurante il reato fine, stante l’operatività dell’esimente di cui all’art. 384 c.p., in ragione del rapporto di parentela intercorrente tra l’imputato ed il citato latitante.

Il Collegio ha osservato che, in relazione al reato associativo, il giudice del merito aveva considerato che il predetto delitto era stato contestato sulla scorta della stessa condotta di favoreggiamento che ne costituiva il reato fine; e che il materiale probatorio, al riguardo, era rappresentato dai contatti telefonici rilevati sulla utenza che si era ritenuto essere nella disponibilità del latitante T..

La Corte di Appello, esaminando l’acquisito materiale probatorio, ha rilevato che V. era stato uno dei soggetti impegnati in numerose conversazioni con il latitante; e, segnatamente che T., utilizzando un’utenza intestata al cognato V. M. aveva contattato per nove volte nel periodo ricompresso tra il 14.10.2000 ed il 3.02.2001, una utenza fissa, corrispondente alla abitazione dei genitori del V.; e che V. aveva colloquiato con il cognato in 64 circostanze, tra il 16.10.2000 ed il 21.09.2001, tramite una utenza fissa a lui direttamente intestata.

Sulla scorta di tali rilievi, la Corte di Appello ha evidenziato che la condotta del V. risultava causalmente collegata alla latitanza del cognato; evenienza pure dimostrata dal fatto che in occasione dell’arresto del T., presso l’ovile ove quest’ultimo si rifugiava, era stata rinvenuta una utenza mobile intestata a V..

Il Collegio ha considerato che la non punibilità dell’imputato ex art. 384 c.p. non rilevava ai fini del presente procedimento, giacchè la condotta del prevenuto deve essere valutata "ex ante", al fine di verificare se essa abbia costituito il presupposto che ha ingenerato, pure in presenza di un errore della autorità procedente, la falsa apparenza della sua configuarbilità come illecito penale.

6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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