Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-10-2011) 28-11-2011, n. 44044

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 16 luglio 2010 la Corte di Appello di Potenza rigettava la richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione subita da P.M., sottoposto prima a misura cautelare carceraria dal 26.11.2001 al 5.12.2001, in esecuzione dell’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Potenza emessa in data 21.11.2011 e quindi alla misura degli arresti domiciliari dal 5.12.2001 al 17.04.2002, a seguito di ulteriore ordinanza emessa dal G.i.p. del richiamato Tribunale in data 5.12.2001, nell’ambito del procedimento che vedeva Indagato il richiedente per avere partecipato ad una associazione criminosa finalizzata alla commissione di reati in materia di sostanze stupefacenti.

La Corte territoriale rilevava che il Tribunale di Potenza, con sentenza resa in data 5.5.2004, aveva assolto P. dalle diverse imputazioni ascrittegli, con le formule perchè il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto e perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Il Giudice della riparazione ravvisava, nel caso, l’ostativa ricorrenza del dolo o colpa grave, considerando che a carico di P. erano emersi gravi indizi di colpevolezza per essersi associato con altri soggetti al fine di detenere e trasportare sostanze stupefacenti, avvalendosi dell’uso comune di locali e strumenti necessari alla compiuta predisposizione delle operazioni criminose.

Il Collegio rilevava, inoltre, che dalle indagini espletate non erano emersi a carico del P. elementi probanti di reità, anche perchè in parte il fatto ascritto non era previsto dalla legge come reato, per sopravvenuta abolitio criminis, evenienza ritenuta dimostrativa della correttezza della originaria applicazione delle misure cautelari.

2. Avverso la richiamata ordinanza della Corte di Appello di Potenza ha proposto ricorso per cassazione P.M., a mezzo del difensore, deducendo con unico motivo, l’inosservanza degli artt. 314 e 315 c.p.p. e la manifesta contraddittorietà ed l’illogicità della motivazione del provvedimento impugnato.

L’esponente rileva che la Corte di Appello non ha motivato il rigetto della richiesta di riparazione e non ha considerato il comportamento tenuto dal P. durante tutto l’iter processuale, conclusosi con sentenza assolutoria per tutti i capi di imputazione contestati.

Osserva il ricorrente che la Corte territoriale si limita a ripercorrere il contenuto dei capi di imputazione, senza soffermarsi sul comportamento in concreto posto in essere da P.; e sottolinea che il richiedente, in sede di interrogatorio, aveva dichiarato di essere assuntore di hashish.

L’esponente considera che l’intervenuta assoluzione del P. dal reato di cui al capo n. 13, perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato – circostanza evidenziata dal Giudice della riparazione – non fornisce alcuno spunto utile alle motivazioni sottese al provvedimento di rigetto.

Sottolinea che il dettato di cui all’art. 314 c.p.p., ricomprende, tra le formule assolutorie che consentono l’accesso all’indennizzo, anche quella perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

La parte osserva che P. era stato assolto dal Tribunale di Potenza, con la formula perchè il fatto non è previsto come reato, dal fatto di cui al capo 13, senza alcun riferimento alla abolitio criminis intervenuta in corso di causa.

L’esponente rileva, inoltre, che l’ordinanza applicativa delle misure cautelari era stata adottata non in relazione al singolo episodio di cui al capo 13, ma in relazione alla contestata associazione a delinquere, finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti; e che l’uso personale non avrebbe potuto di per sè determinare l’applicazione di alcuna misura cautelare.

Il ricorrente considera che la Corte di Appello di Potenza ha osservato che dalle indagini espletate non erano emersi elementi a carico del P., affermazione che secondo lo stesso esponente conferma che sin dalla applicazione della misura custodiale gli indizi a carico del prevenuto non avevano evidenziato alcun comportamento illecito.

La parte rileva che dalla data di applicazione della misura cautelare nessuna ulteriore attività investigativa venne espletata dall’organo inquirente; e ritiene, pertanto, che la condotta del P., anche con valutazione ex ante, non abbia integrato alcun elemento idoneo a dare causa alla adozione della misura cautelare, con colpa grave.

L’esponente osserva che il G.i.p. del Tribunale di Potenza, con la seconda ordinanza cautelare, aveva applicato la misura degli arresti domiciliari, in luogo della custodia cautelare originariamente applicata.

3. Il Procuratore Generale con requisitoria scritta, richiamato l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità in materia di dolo o colpa grave ostativi all’accoglimento della domanda di riparazione, ha osservato che la Corte territoriale non ha correttamente applicato i predetti principi, giacchè il Collegio ha omesso di individuare la condotta in concreto ritenuta preclusiva ex art. 314 c.p.p. al riconoscimento dell’equa riparazione.

Rileva la parte che dal provvedimento della Corte territoriale non emerge quale sia stato il comportamento incauto posto in essere dal ricorrente, in relazione ai rapporti intercorsi con gli altri indagati, che abbia avuto incidenza causale sull’evento della carcerazione; ed osserva che il rigetto della richiesta viene motivato unicamente sulla base dell’intervenuta depenalizzazione dell’uso personale, senza l’indicazione di alcun comportamento doloso o colposo posto in essere dal P..

Sulla scorta di tali rilievi il PG ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

4. La parte ha depositato memoria.

Motivi della decisione

5. Il ricorso è fondato, per le ragioni di seguito esposte.

5.1 In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti. Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di "causa ad effetto" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del 26/06/2002, dep. 15/10/2002, Rv. 222263).

Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione.

5.2 L’ordinanza impugnata non si colloca coerentemente e puntualmente nella linea del suddetto quadro interpretativo.

Invero, la Corte territoriale ha del tutto omesso di indicare la condotta posta in essere dal prevenuto, ritenuta ostativa al riconoscimento dell’indennizzo.

Il Collegio si è limitato a richiamare le diverse imputazioni contestate al P., facendo poi riferimento alla intervenuta depenalizzazione dell’uso personale delle sostanze stupefacenti.

Preme, peraltro, evidenziare che le contestazioni riguardano fatti avvenuti negli anni 1999-2000 e che la misura carceraria venne adottata con ordinanza del 5.12.2001, evenienze che portano ad escludere una sopravvenuta abolitio criminis, in relazione all’uso personale degli stupefacenti, posto mente al fatto che la rilevanza penale dell’uso personale è venuta meno per effetto del D.P.R. 5 giugno 1993, n. 171, art. 1, a decorrere dal 6 giugno 1993.

Si osserva, infine, che nella ordinanza impugnata neppure viene chiarito se i comportamenti dolosi o gravemente colposi riguardino, e secondo quali modalità, i rapporti intercorsi tra P. e gli altri coimputati.

6. Viene, quindi, disposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Potenza per nuovo esame della regiudicanda.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Potenza.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *