Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-10-2011) 28-11-2011, n. 44042

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 30 novembre 2009 la Corte di Appello di Firenze rigettava la richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione subita da D.A., la quale dopo essere stata sottoposta a misura cautelare carceraria, era stato assolta dal G.i.p. del Tribunale di Firenze con sentenza in data 15.03.2007, dall’accusa di detenzione e vendita di sostanza stupefacente in concorso con altri.

2. Avverso la richiamata ordinanza della Corte di Appello di Firenze ha proposto ricorso per cassazione D.A., a mezzo del difensore, deducendo con unico motivo, il vizio motivazionale in relazione agli artt. 314 e 315 c.p.p..

L’esponente rileva che la condotta serbata dalla richiedente, benchè sussumibile nella categoria della connivenza, non integra i presupposti indicati dalla Suprema Corte di Cassazione come tassativi al fine di ravvisare la colpa grave ostativa al riconoscimento dell’indennizzo conseguente alla ingiusta detenzione, rispetto al soggetto connivente. Rileva la parte che non ogni forma di connivenza assurge ad elemento ostativo per la riparazione e che per l’esclusione del diritto ad ottenere l’indennizzo occorre che la stessa connivenza rivesta determinate caratteristiche. Rileva che nel caso non risulta violato alcun dovere di solidarietà e che, pure ammettendosi che D. fosse a conoscenza della illecita attività posta in essere dallo Z., l’istante non aveva alcun dovere di interrompere lo svolgimento dell’azione criminosa. Sotto altro aspetto, la parte rileva che D. non rivestiva alcuna posizione di garanzia; e che doveva escludersi che la donna avesse rafforzato la volontà criminosa dell’autore del reato.

La ricorrente assume che la Corte territoriale abbia omesso di considerare i richiamati profili e che apoditticamente si sia limitata ad osservare che l’istante aveva tenuto un atteggiamento di connivenza particolarmente qualificata.

3. Il Procuratore Generale con requisitoria scritta, ha rilevato che la Corte di Appello ha individuato, nella condotta della richiedente, elementi che hanno dato causa alla emissione della misura cautelare, configuranti colpa grave a norma dell’art. 314, c.p.p.; ha chiesto pertanto che la Suprema Corte rigetti il ricorso.

Motivi della decisione

4. Il ricorso è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte.

4.1 Si osserva, primieramente, che nel caso di specie non risulta osservato il termine di quindici giorni ex art. 585 c.p.p., comma 1, lett. a, previsto per l’impugnazione dei provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio, termine decorrente dalla notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito del provvedimento (ex art. 585 c.p.p., comma 2, lett. a); l’avviso di deposito dell’ordinanza della Corte di Appello di Firenze è stato notificato alla parte ed al difensore in data 14.10.2010, mentre il ricorso risulta depositato il 12.11.2010. 4.2 Il ricorso, inoltre, risulta manifestamente infondato e perciò inammissibile.

Come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità.

Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di "causa ad effetto" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del 26/06/2002, dep. 15/10/2002, Rv. 222263).

Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione.

4.3 Ebbene, l’ordinanza impugnata si colloca nell’alveo della giurisprudenza ora richiamata.

La Corte di Appello ha rilevato che dagli atti di indagine emergeva che la richiedente il 13.09.2006 – giorno in cui la prevenuta era stata tratta in arresto – aveva accompagnato Z.A. nel corso di un giro di consegne di sostanza stupefacente del tipo eroina, a diversi clienti, in Firenze. La ragazza era arrivata, infatti, presso il luogo convenuto con il cessionario della droga, a bordo di un motoveicolo, unitamente a Z. ed aveva atteso che Z. effettuasse materialmente la consegna droga; e dopo tale primo episodio, i due si erano trasferiti nuovamente insieme in altro luogo della città, al fine di effettuare una ulteriore cessione di sostanza stupefacente con le medesime modalità.

Il Collegio ha considerato che le descritte modalità dell’azione inducevano a ritenere che la D. fosse comunque venuta a conoscenza della condotta illecita posta in essere da Z..

La Corte di Appello ha rilevato, inoltre, che la richiedente intratteneva una stretta frequentazione con lo Z., tanto che presso la abitazione locata dalla donna erano stati rinvenuti effetti personali dello Z. e numerosi involucri contenenti sostanza stupefacente.

Il Collegio ha ritenuto, pertanto, che la D. si fosse colpevolmente posta nella condizione di apparire associata allo Z. nell’attività di spaccio; ed ha qualificato la condotta posta in essere dalla donna come atteggiamento ostativo, rispetto alla richiesta di indennizzo che occupa.

Trattasi di valutazione che pure trova rispondenza nei principi di diritto ripetutamente affermati dalla giurisprudenza di legittimità, in ordine alla valenza ostativa che può assumere il comportamento passivo del connivente, rispetto al diritto alla equa riparazione (vedi Cass. Sezione 4^, Sentenza n. 40297 del 10.06.2008, dep. 29.10.2008, Rv. 241325).

5. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00, in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00, in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *