Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-10-2011) 28-11-2011, n. 44039

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 20 ottobre 2010 la Corte di Appello di Messina rigettava la richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione subita da S.V., il quale, dopo essere stato sottoposto complessivamente a misura cautelare dal 25.03.2003 al 26.08.2006, era stato assolto dal Tribunale di Messina con sentenza in data 13.07.2007, dal reato associativo in addebito.

La Corte territoriale rigettava la richiesta, ritenendo che il quadro degli elementi di prova, pur ritenuto inidoneo dal giudice di merito ai fini dell’accertamento della responsabilità penale dello S. per il contestato reato associativo, evidenziasse la sussistenza degli estremi della colpa, qualificata in termini di gravità, casualmente incidenti sulla carcerazione, seppur sinergicamente con altri.

2. Avverso la richiamata ordinanza della Corte di Appello di Messina ha proposto ricorso per cassazione S.V., a mezzo dei difensore, deducendo la violazione dell’art. 314, comma 1, ultimo periodo, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. 3).

L’esponente deduce il vizio motivazionale del provvedimento impugnato; rileva che la Corte di Appello ha fondato il rigetto della richiesta di riparazione sul contenuto delle conversazioni intercettate, valutato sinergicamente con altri elementi.

Ritiene la parte che il Giudice della riparazione non abbia adeguatamente interpretato i principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte, nè con riguardo alla qualificazione dell’elemento della colpa, nè con riguardo alla valutazione del materiale processuale.

Con specifico riferimento alla condotta posta in essere dall’imputato assolto, l’esponente rileva che la Corte territoriale da un lato ha considerato che il contenuto delle conversazioni intercettate deve essere valutato unitamente ad altri elementi, dall’altro ha omesso di spiegare quali siano i diversi elementi da considerare.

Il ricorrente assume che i comportamenti che la Corte di Appello ha considerato quali indici rivelatori di un nesso eziologico rispetto alla privazione della libertà personale non risultino in realtà illegali e ritiene che il Collegio abbia effettuato un inammissibile giudizio di carattere morale.

Osserva, inoltre, la parte che la Corte territoriale ha omesso di dare contezza della sussistenza dell’elemento della colpa grave; e che manca l’individuazione di una condotta posta in essere dall’agente, tesa ad altri risultati, che per macroscopia trascuratezza, costituisca una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria.

L’esponente richiama, quindi, la fattispecie della connivenza, ostativa alla equa riparazione; e rileva che la semplice frequentazione di una o più persone non può certamente denotare colpa grave, neanche in presenza della eventuale consapevolezza da parte del ricorrente di precedenti penali in capo alle persone frequentate.

Osserva che la Corte di Appello ha operato una valutazione ex post del materiale processuale, anzichè ripercorrere le indagini in chiave di impulso indiziario e di prospettiva cautelare ex ante.

Il deducente considera, infine, che la Corte territoriale ha pure disatteso il principio di diritto richiamato nel corpo della ordinanza impugnata, atteso che nel caso di specie non risulta provato che l’imputato assolto avesse conoscenza dell’attività delittuosa altrui.

3. Il Procuratore Generale con requisitoria scritta, ha rilevato che le doglianze del ricorso non possono essere condivise, avendo la Corte di Appello esaminato gli elementi a carico del ricorrente emersi nel giudizio di merito, non ritenuti idonei a giustificare una sentenza di condanna; ed ha chiesto che la Suprema Corte dichiari inammissibile il ricorso.

4. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze si è costituito in giudizio, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile ovvero respinto.

Motivi della decisione

5. Il ricorso è infondato, per le ragioni di seguito esposte.

5.1 Come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità.

Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di "causa ad effetto" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del 26/06/2002, dep. 15/10/2002, Rv. 222263).

Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione.

A tal fine, nei reati contestati in concorso, va apprezzata la condotta che si sia sostanziata nella consapevolezza dell’attività criminale altrui e, nondimeno, nel porre in essere una attività che si presti sul piano logico ad essere contigua a quella criminale (Cass. Sez. 4^, Sentenza n. 4159 del 09/12/2008, dep. 28/01/2009, Rv.

242760).

5.3 L’ordinanza impugnata si colloca coerentemente e puntualmente nella linea del suddetto quadro interpretativo.

Invero, la Corte territoriale, nell’individuare comportamenti posti in essere dal richiedente ostativi alla riparazione, ha richiamato, in particolare, il contenuto di una conversazione telefonica intercettata, dalla quale emergeva che Sparalo era soggetto dedito allo spaccio, anche se non era considerato da B. "un suo uomo".

La Corte territoriale ha richiamato, poi, il contenuto di altre conversazioni oggetto di captazione, ove Sparalo agiva come intermediario tra alcuni soggetti che avevano bisogno di stupefacente ed il B.; ed una ulteriore conversazione ove si faceva riferimento all’occultamento di qualcosa di illecito.

La Corte di Appello ha del tutto legittimamente evidenziato che dette conversazioni erano state considerate dal giudice di merito quali elementi di riscontro rispetto alle dichiarazioni accusatorie rese da O.G. nei confronti dello S.; e ciò, anche se complessivamente il quadro probatorio non era stato ritenuto sufficiente ad affermare la responsabilità del prevenuto in ordine al reato associativo. Il Collegio ha evidenziato che dalla lettura della motivazione della sentenza assolutoria emergeva, inoltre, che Sparalo aveva frequentazioni e contatti con esponenti del sodalizio malavitoso dediti alla commercializzazione dello stupefacente; ed ha rilevato, inoltre, che l’apprezzamento congiunto degli elementi ora richiamati, rispetto alle risultanze delle intercettazioni, dava conto della sussistenza di una condotta colposa, rispetto all’intervento delle forze dell’ordine ed alla applicazione della custodia cautelare.

5.4 La Corte di Appello ha, inoltre, sottolineato che gli esiti della attività di captazione documentano una indubbia attività di spaccio posta in essere da parte dell’istante – ancorchè non ritenuta penalmente rilevante in relazione al reato associativo – attività comprovata da precedenti condanne per violazione della disciplina sugli stupefacenti, risultanti dal certificato penale, per fatti commessi da giugno a settembre 2002.

In conclusione, il Collegio ha rilevato che la condotta posta in essere dallo S. era risultata idonea a trarre in inganno l’autorità giudiziaria ed a porsi come fattore sinergico, sia pure non esclusivo, rispetto alla causazione dell’evento, in chiaro nesso di causalità rispetto alla emissione del provvedimento restrittivo.

La predetta condotta, cioè, ad avviso del Giudice della riparazione – che ha sviluppato un percorso logico-argomentativo immune dalle dedotte censure – aveva legittimato, secondo un giudizio ex ante, il convincimento da parte della autorità giudiziaria, di un apporto dato dal ricorrente alla vicenda associativa.

6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione in favore del Ministero resistente delle spese di questo giudizio di Cassazione, liquidate come a dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione in favore del Ministero resistente delle spese di questo giudizio che liquida in Euro 750,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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