Cass. civ. Sez. V, Sent., 15-06-2012, n. 9899

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 119/36//06 depositata il 19.7.2006, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio confermava la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva respinto il ricorso proposto dalla società New Look Pubblicità s.r.l. avverso numerosi avvisi di accertamento, emessi dal Comune di Roma, relativi all’imposta sulla pubblicità, per il periodo d’imposta 2000.

Rilevava al riguardo la Commissione Tributaria Regionale, confermando la sentenza dei primi giudici, la non applicabilità, ratione temporis, allorchè la pubblicità venga effettuata per affissioni dirette su impianti di proprietà e la durata dell’affissione non sia superiore a tre mesi, della tariffa agevolata prevista dal D.P.R. 507 del 1993, art. 12, comma 2, ritenendo anche la mancanza di prova, al fine della esclusione dall’imposta di pubblicità, della funzione di mero sostegno della cornice quale "superfice tecnica". Proponeva ricorso per cassazione la società New Look Pubblicità s.r.l.

deducendo i seguenti motivi:

a) violazione dell’art. 10 D.Lgs. ed errata motivazione in ordine alla eccepita decadenza biennale del Comune dall’accertamento;

b) difetto di motivazione e violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10 violazione di norme regolamentari e segnatamente della Delib., n. 245 del 1995, art. 13 del Comune di Roma per violazione dei principi di collaborazione e buona fede, avendo la ricorrente aderito alla sanatoria prevista della citata delibera, con conseguente inapplicabilità delle sanzioni.

c) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12, comma 2 e 3, ritenendo che tale normativa, fin dalla prima stesura, vada interpretata nel senso della riconoscimento della facoltà del pagamento dell’imposta in misura ridotta in tutti i casi in cui l’esposizione pubblicitaria non abbia superato i tre mesi, previo assolvimento delle incombenze del caso.

d) violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 e omessa insufficiente motivazione in ordine alla dedotta nullità degli avvisi di accertamento per motivazione carente ed erronea con riferimento al calcolo della superficie espositiva di ciascun cartello pubblicitario;

e) violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 e omessa insufficiente motivazione in ordine alla dedotta nullità degli avvisi di accertamento per motivazione carente ed erronea in ordine ai motivi dell’accertamento;

f) errata motivazione e violazione di norme regolamentari con riferimento alla natura retroattiva della Legge Finanziaria n. 388 del 2000 che aveva modificato il comma 3 del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12 stabilendo che anche per le affissioni dirette possibile il pagamento dichiarazione oltre che all’anno solare;

g) violazione e falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 145, comma 56, e della Delib. giunta comunale n. 176 del 2002 con riferimento alla asserita irretroattività della nuova normativa citata.

Il Comune di Roma resisteva con controricorso, lamentando, in via principale,l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 166 bis c.p.c. per la insufficiente enunciazione del quesito di diritto. Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 10.5.2012, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Motivi della decisione

1. Deve essere, in via preliminare, rilevata la inammissibilità del ricorso per la inesatta formulazione dei quesiti di fatto e di diritto con riferimento a tutti i motivi del ricorso. L’onere della formulazione del "quesito di diritto" a conclusione di ciascun motivo del ricorso per cassazione con il quale si denuncino i vizi di violazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1-4), nonchè l’analogo onere di formulazione del "momento di sintesi" a conclusione del motivo di ricorso con il quale si denunciano vizi motivazionali della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) ("chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione"), sono prescritti a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c., norma che è stata introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e che trova applicazione ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2.3.2006 data di entrata in vigore dello stesso decreto e fino al 4.7.2009, data dalla quale opera la successiva abrogazione disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d).

Già questa Corte a Sezioni Unite ha affermato che, in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Sez. U, Sentenza n. 20603 del 01/10/2007).

E’, pertanto, inammissibile il motivo di ricorso con cui si riduce il difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) non essendo stato formulato il relativo quesito mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la "ratio" che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24255 del 18/11/2011). Sono, anche, inammissibili, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ.,tutti gli altri quesiti di diritto formulati astrattamente e genericamente senza alcun riferimento alla fattispecie concreta e senza neanche specificare in cosa consista la dedotta violazione di legge, essendo stati tutti formulati in base alla seguente schema: "accerti la corte se vi è stata violazione dell’articolo…. ed enunci il relativo principio di diritto" formula assolutamente insufficiente a lamentare l’errore commesso dal giudice di merito.

Anche il primo quesito soggiace al presente vizio in quanto, a seguito della denunciata violazione di legge del D.Lgs. 507 del 1993, art. 10 con riferimento al termine biennali di decadenza ai fini dell’accertamento dell’ufficio, non specifica i termini della questione indicando il dies a quo di decorrenza del termine di decadenza.

2. Peraltro tutti i motivi sono infondati.

La decadenza del Comune dall’esercizio del potere impositivo – la quale può essere rilevata solo dal contribuente, su cui grava l’onere della relativa prova – si verifica, ai sensi del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 10 dopo il decorso di due anni "dalla data in cui la dichiarazione è stata o avrebbe dovuto essere presentata". In caso, pertanto, di omessa dichiarazione, il "dies a quo" del termine biennale di decadenza va identificato nel momento del sorgere dell’obbligo della dichiarazione, il quale nasce, ai sensi del citato D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8 appena "prima di iniziare la pubblicità", senza che possa essere invocato il disposto del comma quarto del medesimo art. 8;

– secondo il quale, in ipotesi di omessa dichiarazione, la pubblicità si presume effettuata in ogni caso "con decorrenza dal primo gennaio dell’anno in cui è stata accertata", – atteso che la decorrenza cui detta norma si riferisce attiene unicamente alla misura del tributo che l’omittente è tenuto a versare. Ne deriva che un utile rilievo della decadenza implica per il contribuente la dimostrazione che la pubblicità sia stata intrapresa, in assenza di dichiarazione, oltre due anni prima della notifica dell’accertamento di ufficio. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15449 del 30/06/2010; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 5486 del 29/02/2008).

Nel caso di specie il contribuente, su cui ricadeva l’onere della prova, non ha specificato per quale avviso di accertamento risultassero omessi ovvero parzialmente eseguiti i relativi pagamenti tributari.

Inoltre nella fattispecie poichè la contestazione aveva ad oggetto anche l’inesatta determinazione della superficie del messaggio pubblicitario cui applicare la maggiorazione d’imposta ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1992, art. 12, u.c. l’esercizio, da parte del Comune, del potere di contestazione dei criteri adottati dal contribuente in sede di autoliquidazione dell’imposta, è assoggettato all’ordinario termine di prescrizione e non al termine biennale di decadenza di cui al D.Lgs. n. 507 del 1992, art. 8 posto che quest’ultima è una norma di stretta osservanza insuscettibile d’interpretazione analogica, applicabile esclusivamente con riferimento all’esercizio del potere d’accertamento e di rettifica dell’amministrazione (Sez. 5, Sentenza n. 16214 del 09/07/2010).

2. Il secondo motivo manca di autosufficienza non avendo la ricorrente nè allegato nè riprodotto le istanze di autodenuncia al fine di valutare la dedotta esenzione dalle sanzioni.

Per altro il Comune risulta avere applicato la sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 2 richiamata dalla Delib.

giunta comunale n. 2799 del 1998, norma di legge di rango primario e successiva rispetto alla delibera invocata dalla ricorrente, con conseguenze insussistenza della fattispecie di sospensione delle sanzioni.

3. Anche il terzo, sesto e settimo motivo, esaminati congiuntamente per connessione logica, sono infondati. Il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12 prevede due fattispecie di presupposto impositivi distinti:

1) la pubblicità ordinaria, effettuate mediante insegne, cartelli simili (disciplinata dai commi uno e due), 2) la pubblicità effettuata mediante affissioni dirette, anche per conto altrui di manifesti simili su apposite strutture adibite all’esposizione di tali mezzi.

L’art. 12, vigente, ratione temporis, prevedeva che "1. per la pubblicità effettuata mediante insegne, cartelli, locandine, targhe, stendardi o qualsiasi altro mezzo non previsto dai successivi articoli, la tariffa dell’imposta per ogni metro quadrato di superficie e per anno solare e1 la seguente….2. Per le fattispecie pubblicitarie di cui al comma 1 che abbiano durata non superiore a tre mesi si applica per ogni mese o frazione una tariffa pariad un decimo di quella ivi prevista. 3. Per la pubblicità effettuata mediante affissioni dirette, anche percento altrui, di manifesti e simili su apposite strutture adibite alla esposizione di tali mezzi si applica l’imposta in base alla superficie complessiva degli impianti nella misura e con le modalità previste dal comma 1. Il comma 3 ha effettuato un espresso rinvio quanto alla "misura e modalità" della imposta, al solo comma 1 e non al comma 2, non trovando, quindi applicazione, la successiva modifica normativa, in vigore dal 1 gennaio 2001 che ha modificato il comma 3 inserendo anche il comma 2 tra le modalità di pagamento dell’imposta.

In base a tale precedente normativa, applicabile alla fattispecie, viene individuata una durata prestabilita di commisurazione dell’imposta, connaturale al tipo di impianti in questioni, indipendentemente dallo sfruttamento dell’impianto e dell’invio di messaggi pubblicitari, dovendosi , all’epoca, valutare l’idoneità astratta dell’impianto a ricevere messaggi ai fini dell’imposta, al di là delle scelte concrete dell’operatore durante il periodo di durata della concessione, prevedendo un periodo di imposta fisso e non inferiore all’anno.

Con riferimento al caso di pubblicità per affissione diretta effettuata da società su impianti di proprietà e per conto di terzi, la modifica al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 12, comma 3, introdotta dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 145, comma 56, ha portata innovativa e, quindi, è priva di efficacia retroattiva (così come la Delib. 27 gennaio 2001, n. 42 con cui il consiglio comunale di Roma dava pronta attuazione – ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 3 – alla suddetta disposizione innovativa), per cui alle fattispecie impositive di data anteriore non può essere applicata la tariffa commisurata alla durata non superiore a tre mesi del messaggio pubblicitario, ma il precedente sistema di calcolo dell’imposta in questione, riferito all’anno solare (Cassazione civile, sezione 5, n. 1915 del 30 gennaio 2007 e n. 2826 del 7 febbraio 2008).

Pertanto, nel caso di impianti di cui al terzo comma, con riferimento all’anno d’imposta 1995, non è consentito tener conto della durata delle singole esposizioni nel corso dell’anno solare ma della disponibilità degli impianti per tutto il periodo indicato nel titolo rilasciato.

4. Anche il quarto motivo di ricorso va disatteso sia per mancanza di autosufficienza che per mancanza di prova.

Non specifica infatti la ricorrente quale sia la corretta superficie espositiva, per ciascuno avviso di accertamento, su cui commisurare l’imposta dei relativi impianti pubblicitari oggetto del provvedimento.

Invece l’asserito esonero della cornice dal computo tributario è stata correttamente disattesa dalla commissione regionale sia con corrette motivazioni di ordine giuridico, sia per mancanza di prova dell’eventuale esonero.

L’imposta va commisurata, ai sensi del terzo comma del citato art. 12, alla "superficie complessiva degli impianti" e non già alla sola superficie espositiva; pertanto la superficie degli impianti è da intendersi quella comunque disponibile ed utilizzabile dal contribuente perchè i termini impianto, mezzo pubblicitario, superficie complessiva usati nelle varie disposizioni va riferito a tutta la installazione pubblicitaria, composta anche dalla struttura che lo contiene, comprensiva delle cornici (salvo che servano da mero sostegno).

Il principio di imponibilità omnicomprensiva di tutta la superficie "esposta" trova deroga solo nel caso in cui venga fornita dimostrazione da parte del contribuente che le strutture, destinate a veicolare messaggi pubblicitari (piedi, pali, grappe, supporti, cornici), hanno una funzione di mero sostegno quali "superfici tecniche", espressamente esenti dall’imposta D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 7 e dunque non comprese nel calcolo della superficie soggetta a tassazione in quanto strutturali al mezzo e privi di finalità pubblicitaria. (Cass. 552/07). Di tale specifica funzione non è stata fornita prova alcuna dalla società ricorrente che si è limitata ad una mera affermazione.

3) Il quinto motivo e inammissibile anche per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione; infatti non vengono riprodotte testualmente quelle parti degli avvisi di accertamento, documenti ai quali questa Corte non può accedere direttamente e la cui conoscenza è necessaria per valutare la fondatezza della censura difetto di motivazione dell’atto proposta in questa sede.

Va, quindi, rigettato il ricorso.

Le spese processuali del grado di giudizio vanno poste a carico della ricorrente, in base al principio di soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna New Look Pubblicità s.r.l. alla rifusione delle spese del grado di giudizio che liquida in Euro 4.600,00 per onorari, oltre Euro 100,00 per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 10 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2012

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