Cass. civ. Sez. V, Sent., 15-06-2012, n. 9897 Tassa occupazione suolo pubblico

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 25/9/06 depositata il 4.4.2006, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio accoglieva l’appello proposto dal Comune di Roma avverso la sentenza della Commissione tributaria Regionale di Roma che aveva annullato due avvisi di accertamento emessi nei confronti della società New Look Pubblicità s.r.l. a titolo di Tosap, per il periodo d’imposta 1998.

Rilevava, in particolare, la Commissione regionale che le agevolazioni previste dalla Delib. comunale n. 86 del 1999, riguardanti l’esonero degli operatori dal versare la Tosap, con decorrenza dall’entrata in vigore della Cosap, non riguardavano l’ipotesi di collocazione di impianti senza autorizzazione.

Proponeva ricorso per cassazione la società New Look Pubblicità s.r.l. deducendo i seguenti motivi:

a) violazione e falsa applicazione della L. n. 27 del 1997, art. 17, comma 63, ritenendo applicabile l’esclusione dalla imposta anche per le occupazioni eseguite in difetto di un titolo autorizzatorio;

b) difetto di motivazione in ordine alla ritenuta abusività degli impianti, essendo stati regolarmente denunciati nell’istanza di riordino presentata dalla società New Look Pubblicità s.r.l., ai sensi della Delib.comunale n. 254 del 1995;

c) difetto di motivazione in ordine alla omessa indicazione dei parametri di calcolo per la determinazione della Tosap;

d) difetto di motivazione per violazione delle norme dello Statuto del contribuente per violazione del principio di collaborazione e buona fede (L. n. 212 del 2000, art. 10), stante la carenza di motivazione dell’avviso di accertamento che conteneva l’indicazione dei dati necessari alla determinazione della base imponibile;

e) violazione delle Delib. G.M. n. 9287 del 1991 e Delib. G.M. n. 1016 nel 1994 costituendo la pretesa impositiva del Comune di Roma una duplicazione della imposta per l’occupazione di suolo pubblico, già inglobata nel canone di concessione per i cartelli pubblicitari;

Il Comune di Roma si è costituito con controricorso.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 10.5.2012, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

1. Con riferimento alla prima doglianza la questione di diritto, consiste nell’accertare se dell’agevolazione prevista dagli atti comunali attuativi della L. 15 maggio 1997, n. 127, art. 17, comma 63, possano beneficiare tutti gli operatori del settore pubblicitario o se ne stano esclusi gli operatori di impianti abusivi non autorizzati.

La L. 15 maggio 1997, n. 127, art. 17, comma 63, dispone che "Il consiglio comunale può determinare le agevolazioni, sino alla completa esenzione dal pagamento della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, per le superfici e gli spazi gravati da canoni concessori non ricognitori". Ciò significa, non solo che i Comuni non possono ridurre la tassa o disporre l’esenzione dalla tassa per quei contribuenti che occupino spazi pubblici gravati da canoni ricognitori (Corte di cassazione 16 dicembre 2003, n. 19254), ma anche che l’agevolazione Tosap può essere attribuita solo per aree gravate da canone concessorio, con la conseguenza che gli operatori, che hanno installato impianti pubblicitari su aree pubbliche senza alcun titolo, non sono destinataci nè della norma agevolativa L. 15 maggio 1997, n. 127, ex art. 17, comma 63, nè, per quel che riguarda l’efficacia retroattiva, della L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31, comma 27 nè dei provvedimenti che siano adottati dai Comuni per la loro attuazione (cfr Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18145 del 07/08/2009; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27000 del 21/12/2007), nè vi è prova documentale della avvenuta autodenuncia da parte di tale società degli impianti di cui ai predetti avvisi di accertamento.

2. In relazione al secondo, terzo e quarto motivo, con cui si denuncia il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione va osservato che in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20603 del 01/10/2007).

Tali motivi sono, dunque, inammissibili non essendo stato formulato il c.d. quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la "ratio" che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24255 del 18/11/2011) Tali motivi, a cui va aggiunto anche il quinto, sono, peraltro, inammissibili anche per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione; infatti il secondo e terzo motivo non riproducono testualmente quelle parti degli avvisi di accertamento, del ricorso introduttivo e dell’atto d’appello e il quarto non riproduce il contenuto delle Delib. G.M. n. 9287 del 1991 e Delib. 1016 nel 1994 asseritamente costituenti una duplicazione della imposta per l’occupazione di suolo pubblico, documenti ai quali questa Corte non può accedere direttamente e la cui conoscenza è necessaria per valutare la fondatezza della censura proposta in questa sede.

Il ricorso va, quindi, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del grado giudizio che liquida in Euro 1.700,00 per onorari, oltre Euro 100,00 per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2012

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