Cass. civ. Sez. II, Sent., 15-06-2012, n. 9872

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 86/2004 il Tribunale di Udine adito dalla s.r.l.

P.D.R. nei confronti di C.M., con domanda di divisione di immobili in (OMISSIS), di cui le parti erano comproprietarie, rispettivamente, per le quote di 2/5 e di 3/5 – sciolse la comunione, assegnando all’attrice uno dei lotti (contrassegnato con il n. 1) predisposti dal consulente tecnico di ufficio e alla convenuta l’altro (contrassegnato con il n. 2), con condanna di quest’ultima al pagamento di un conguaglio di 9.296,22 Euro.

Impugnata dalla s.r.l. P.D.R., la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Trieste, che con sentenza n. 73/2008 ha rigettato il gravame, ritenendo:

– che tra le parti, nel corso del giudizio di primo grado, non era intercorso alcun contratto, nè di transazione, nè di divisione, poichè la disponibilità manifestata da C.M. ad accettare il lotto n. 1 costituiva più una manifestazione di intenti che una dichiarazione negoziale;

– che le doglianze dell’appellante circa l’operato del consulente tecnico di ufficio erano inficiate da genericità;

– che le critiche relative alle stime indicate nell’elaborato peritale non erano suffragate da elementi concreti;

– che il dedotto stato di fatiscenza di entrambi i fabbricati rispettivamente assegnati alle parti non aveva valenza per discriminare le due situazioni;

– che dell’estensione dell’area il consulente tecnico di ufficio aveva tenuto conto, attribuendo al cespite del lotto n. 1 un valore diverso che all’altro.

La s.r.l. P.D.R. ha proposto ricorso per cassazione, in base a tre motivi.

C.M. si è costituita con controricorso.

Sono state presentate memorie dall’una parte e dall’altra.

Motivi della decisione

Con i primi due motivi di ricorso la s.r.l. P.D.R. si duole del disconoscimento – a suo dire ingiustificato in fatto ed erroneo in diritto – dell’avvenuta accettazione, da parte di C.M., della proposta di divisione bonaria che le era stata rivolta:

accettazione che era stata compiuta sia da lei stessa sia dal suo procuratore, abilitato anche a conciliare e transigere, nell’udienza del 26 settembre 2002, nonchè ribadita dall’interessata nella successiva udienza del 9 gennaio 2003.

La censura va disattesa, poichè il giudizio sull’avventata conclusione o meno di un contratto, implicando un mero accertamento di fatto, rientra nel potere esclusivo del giudice di merito e pertanto si sottrae al sindacato di legittimità, qualora risulti sorretto da congrua motivazione ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. 27 settembre 2006 n. 21019).

La Corte d’appello ha dato adeguatamente conto, in maniera esauriente e logicamente coerente, delle ragioni della decisione sul punto, osservando che la dichiarazione resa personalmente da M. C. nella prima delle suddette udienze – di essere disponibile ad accettare uno dei lotti predisposti dalla consulenza di parte approntata dalla s.r.l. P.D.R., con il relativo conguaglio in favore di quest’ultima – appariva più una dichiarazione di intenti, che una vera dichiarazione negoziale, qual è l’accettazione di una proposta contrattuale, nell’ambito del procedimento di conclusione di conclusione dei contratti (art. 1362 c.c.). A questa valutazione, che risulta pienamente coerente con il tenore testuale della dichiarazione in questione, la ricorrente ne ha opposto una propria contraria, affermandone la maggiore plausibilità; il che non può costituire idonea ragione di cassazione della sentenza impugnata, stanti i limiti propri del giudizio di legittimità, che non consentono a questa Corte di compiere gli apprezzamenti eminentemente di merito, che in sostanza la ricorrente pretende di demandarle.

Che poi un contratto di transazione o di divisione, in quella stessa udienza, sia stato concluso dalle parti mediante la richiesta del procuratore alla lite della convenuta – di attribuzione a costei dell’assegno denominato "assegno 1" di cui alla perizia di parte attrice – è un assunto che la Corte d’appello effettivamente non ha preso in esame, ma che la s.r.l. P.D.R. non ha dedotto, come era suo onere, di aver prospettato nel giudizio a quo, sicchè non può avere ingresso in questa sede, stante la sua "novità". D’altra parte, si tratta comunque di un elemento privo di decisività, poichè la contemporanea presenza del procuratore e della rappresentata imponeva di dare prevalenza all’affermazione della seconda, la quale non costituiva, come motivatamente ha ritenuto la Corte d’appello, una manifestazione di attuale e concreta volontà negoziale.

Per analoga ragione non si può aderire alla tesi della ricorrente, secondo cui la stessa C.M., nell’udienza successiva, aveva riconosciuto di aver aderito, sia pure per errore, alla proposta dell’altra parte: tesi anch’essa "nuova" e in ogni caso non decisiva, in quanto il valore oggettivo della dichiarazione resa il 26 settembre 2002 non poteva essere modificato dalla interpretazione autentica che a dire della s.r.l. P.D.R. ne era stata poi data dall’interessata.

Quanto alla violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg., denunciata con il secondo motivo di impugnazione, va rilevato che anche sotto questo profilo la ricorrente, in realtà, contesta gli accertamenti di fatto e gli apprezzamenti di merito compiuti dal giudice a quo, ripetendo pedissequamente i medesimi argomenti che con il primo motivo aveva addotto a sostegno della lamentata motivazione contraddittoria ed insufficiente ed illogica circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: nessuna delle critiche rivolte alla sentenza impugnata è riconducibile alle disposizioni in materia di ermeneutica negoziale, genericamente richiamate nel ricorso senza alcuna particolare specificazione su quali e in che modo possano essere state violate o falsamente applicate.

Con il terzo motivo di ricorso la s.r.l. P.D.R., dolendosi di violazione o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. e dell’art. 184 c.p.c. (nel testo previgente), sostiene che il proprio gravame avverso la sentenza del Tribunale, nella parte in cui contestava la congruità del progetto di divisione elaborato dal consulente tecnico di ufficio, non era affatto privo – contrariamente a quanto ha ritenuto la Corte d’appello – del requisito della specificità, il quale avrebbe dovuto essere valutato in relazione alla estrema sinteticità presentata nella specie dalla sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale si era limitato ad aderire acriticamente alle conclusioni della relazione peritale.

La censura è inconferente, poichè in realtà il giudice di secondo grado, nonostante l’affermata mancanza di specificità del motivo di appello in questione, ha esaminato nel merito e ha motivatamente disatteso ognuna delle doglianze che l’appellante aveva prospettato, in ordine sia alle stime compiute dal consulente tecnico di ufficio, sia allo stato di fatiscenza dei due fabbricati oggetto della domanda di divisione, sia all’estensione dell’area su cui essi sorgono. Il ricorso viene pertanto rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione sostenute dalla resistente, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 3.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 3.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2012

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