Cass. civ. Sez. II, Sent., 15-06-2012, n. 9870 Risoluzione del contratto per inadempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

F. e S.R., promittenti venditori, giusta contratto preliminare del 26.11.1990, di una casa colonica con annessa aia e terreno, ubicati in comune di (OMISSIS), convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Prato, Lo.Fr. e L.F., promissari acquirenti, affinchè, in tesi, fosse dichiarata la nullità del contratto per indeterminabilità della porzione di terreno promessa, e in ipotesi ne fosse dichiarata la risoluzione per inadempimento dei convenuti.

Nel resistere in giudizio questi ultimi domandavano in via riconvenzionale (dapprima l’emissione di sentenza ex art. 2932 c.c., poi solo) la risoluzione del contratto per inadempimento dei promittenti.

Il Tribunale accoglieva la domanda di nullità del contratto preliminare, per indeterminabilità del suo oggetto.

Tale decisione, gravata da L.F. e da Lo.Al., in proprio e quale procuratore di Lo.Sa., eredi l’uno e l’altra di Lo.Fr., era riformata dalla Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 20.10.2009, che dichiarava l’inadempimento dei promissari acquirenti e il diritto dei promittenti venditori a trattenere la caparra.

Riteneva la Corte territoriale, all’esito degli accertamenti tecnici svolti, che l’oggetto del preliminare fosse, quanto al terreno, non indeterminabile, ma solo indeterminato e che gli elementi descrittivi, catastali e di superficie contenuti nel contratto fossero idonei a identificarne estensione ed esatta localizzazione.

Ciò posto, la Corte fiorentina riteneva ad ogni modo fondata la domanda di risoluzione proposta dagli S., in quanto dall’istruzione probatoria era emerso che l’apposito frazionamento effettuato in vista della stipula del definitivo era stato redatto, su indicazione scritta del Lo. e successiva generica adesione telefonica fatta "dagli S. o da uno di loro", in maniera tale da rappresentare un terreno diverso, per superficie e ubicazione, da quello promesso, così come accertato invece sulla base della disposta consulenza tecnica, sicchè il rifiuto degli S. di addivenire alla conclusione del contratto doveva ritenersi giustificato per la (parziale) diversità del bene rispetto a quanto convenuto nella promessa di vendita. Aggiungeva, al riguardo, che mentre tale difformità di oggetto era stata pacificamente voluta dai promissari acquirenti, altrettanto non poteva dirsi per i promittenti venditori, sia perchè dalla deposizione del tecnico incaricato del frazionamento non era emerso che entrambi gli S. avessero prestato il loro consenso, sia in quanto ad ogni modo questo avrebbe dovuto essere manifestato per iscritto. Infine, quanto al danno, non essendone risultato uno ulteriore, la Corte territoriale riteneva che gli S. avessero diritto soltanto a trattenere la caparra ricevuta.

Per la cassazione di detta sentenza ricorrono i Lo. – L., formulando cinque motivi d’impugnazione.

Resistono con controricorso gli S., che hanno altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. – Col primo motivo si deduce l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. La Corte territoriale, sostiene parte ricorrente, non ha qualificato il contratto preliminare in questione, cui va riconosciuta la natura giuridica di vendita di genere limitato, in quanto l’individuazione del terreno era stata demandata dalle parti ad un successivo frazionamento, sul quale non vi era necessità di forma scritta, trattandosi di atto non negoziale col quale il debitore deve limitarsi ad osservare quanto stabilito dall’art. 1178 c.c., fornendo una res di qualità non inferiore alla media. Richiama, fra altre, Cass. n. 7279/06.

2. – Col secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1350, 1349 e 1378 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Pur avendo considerato come determinabile l’oggetto del contratto, la Corte fiorentina ha però osservato che sarebbe stato necessario l’accordo scritto delle parti a conforto del frazionamento operato dal geom. Ru., avendo lo stesso carattere di novità rispetto al preliminare. In realtà, sostiene parte ricorrente, nella vendita di genere, laddove la determinazione è rimessa ad atti meramente tecnici, non occorre la forma scritta per individuare all’interno del genere limitato l’immobile da trasferire.

3. – Il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa e contraddittoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, non avendo la Corte territoriale considerato che il geom. Ru. era tecnico dei promittenti venditori, avendo egli predisposto la deruralizzazione dell’edificio promesso in vendita. L’operato di lui, pertanto, sarebbe stato esecutivo della volontà degli S., quali suoi mandanti, con la conseguenza che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che non vi sarebbe stato accordo fra le parti, perchè questo sarebbe stato concluso fra i promissari acquirenti e il tecnico mandatario dei promittenti venditori.

4. – Con il quarto motivo si deduce la violazione degli artt. 1453 e 1455, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Sostiene parte ricorrente che anche ad aderire alla soluzione accolta dalla Corte d’appello, secondo cui vi sarebbero stati elementi di novità nel frazionamento, risulta comunque violato l’art. 1455 c.c., laddove è stato ritenuto che la mancata corrispondenza costituisse inadempimento grave, tale da giustificare la risoluzione del contratto.

Per contro, proseguono i ricorrenti, non può dirsi grave l’inadempimento relativo ad una parte dei beni promessi in vendita che corrisponda, come nella specie, a meno di un terzo dell’oggetto del preliminare.

5. – Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 1385 c.c., e art. 1453 c.c., e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Sostiene parte ricorrente che anche a voler ritenere che vi sia stato inadempimento, e grave, dei promissari acquirenti, la sentenza impugnata è viziata perchè ha applicato in maniera distorta gli istituti della risoluzione del contratto e del recesso, nonchè le conseguenti statuizioni accessorie di risarcimento dei danni e di ritenzione della caparra confirmatoria. La decisione della Corte territoriale, pur ritenendo risolto il contratto per inadempimento dei promissari acquirenti, ha stabilito il diritto degli S. a trattenere la caparra ricevuta, operando in tal modo un’errata (rectius, falsa: n.d.r.) applicazione dell’art. 1385 c.c., comma 2 e addirittura escludendo il maggior danno. Con tale affermazione i giudici d’appello mostrano di aver aderito a quell’indirizzo giurisprudenziale che considerala) la caparra come minimum liquidabile nel caso di domanda di risarcimento del danno accessoria rispetto a quella di risoluzione, indirizzo che risulta essere stato abbandonato da Cass. S.U. n,553/09, la quale ha affermato che recesso e caparra, da un lato, e risoluzione e risarcimento, dall’altro, si pongono in termini d’incompatibilità strutturale e funzionale.

6. – Il primo motivo è inammissibile.

La qualificazione giuridica di un contratto non è ex se un fatto, o meglio un punto di fatto (al ricorso in esame è applicabile ratione temporis il testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, anteriore alla modifica apportatavi dal D.Lgs. n. 40 del 2006) in relazione al quale possa configurarsi il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

E’ noto e fermo orientamento di questa Corte, infatti, che il vizio di motivazione, denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche, giacchè – ove il giudice del merito abbia correttamente deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame, sia pure senza fornire alcuna motivazione o fornendo una motivazione inadeguata, illogica o contraddittoria – la Corte di Cassazione, nell’esercizio del potere correttivo attribuitole dall’art. 384 c.p.c., comma 2, deve limitarsi a sostituire, integrare o emendare la motivazione della sentenza impugnata (v. ex pluribus, Cass. S.U. n. 28054/08, n. 16640/05 e n. 21712/04).

7. – Il secondo motivo è infondato, e ciò per due ragioni.

7.1. – La prima è che la vendita di genere limitato rientra nella disciplina dell’art. 1178 c.c., la cui applicazione riguarda il momento esecutivo del rapporto obbligatorio (come del resto evidenziato dalla collocazione dell’articolo nel capo relativo all’adempimento delle obbligazioni), e può essere invocata dal debitore, al quale soltanto compete scegliere quale cosa, comunque rientrante nel genere limitato, prestare, o dal creditore, che lamenti che la res prestata non sia (almeno) mediae aestimationis.

L’art. 1178 c.c., non può essere richiamato, invece, per stabilire l’oggetto dovuto, il quale può essere desunto soltanto dalla fonte dell’obbigazione, con la conseguenza che l’individuazione della res oggetto della prestazione generica compete al solo debitore e non richiede, dunque, un ulteriore accordo fra le parti (conclusione cui la stessa parte ricorrente dovrebbe aderire, stando a quanto dedotto a sostegno del primo motivo).

7.1.1. – Nella specie, il punto non è che non sarebbe stato necessario un accordo scritto fra le parti. In tal senso la censura non coglie esattamente la ratio decidendi, che riscontrata la diversità del frazionamento del geom. Ru. rispetto a quanto desumibile dal preliminare, si è limitata a trarre da ciò la legittimità del rifiuto degli S. di concludere il definitivo su di un oggetto diverso dal promesso. Rilevante ed esaustiva, invece, è l’osservazione per cui proprio la vendita di genere limitato esclude, per le ragioni anzi dette, che l’estrazione della species dal genus limitatum debba essere partecipata dal creditore.

7.2. – La seconda ragione consiste in ciò, che la vendita immobiliare di genere limitato, proprio secondo Cass. n. 7279/06, richiamata da parte ricorrente (peraltro in modo incompleto) nel primo motivo, si configura solo quando nel contratto siano contenuti elementi prestabiliti dalle parti, che possono consistere anche nel riferimento a dati di fatto esistenti e sicuramente accertabili, i quali siano idonei alla identificazione del terreno da trasferire mediante un procedimento tecnico di mera attuazione che ne individui la dislocazione nell’ambito del fondo maggiore, per cui la consegna di una parte piuttosto che di un’altra risulti di per sè irrilevante, essendo i diversi tratti di terreno del tutto equivalenti.

7.2.1. – Al contrario, nella specie la sentenza impugnata ha accertato, con motivazione in parte qua non oggetto di censura, che è da escludersi una localizzazione del terreno diversa da quella individuata dal c.t.u. in base alle previsioni contrattuali, il che confuta la tesi dei ricorrenti secondo cui il contratto in questione debba qualificarsi come vendita di genere limitato, non essendone verificata la caratteristica essenziale, vale a dire la possibilità di uno ius variandi a favore del debitore nell’individuare l’una, piuttosto che l’altra soluzione esecutiva, entrambe allo stesso modo possibili e satisfattive secondo la fonte negoziale.

8. – La reiezione del secondo motivo implica il rigetto anche del terzo. Escluso, infatti, sia che il contratto in questione possa ricondursi alla fattispecie ipotetica della vendita di genere limitato, sia che in tale figura l’estrazione della species dal genus dipenda da un accordo ulteriore delle parti, è irrilevante stabilire per conto di chi abbia agito il tecnico che effettuò il frazionamento su cui i contraenti alla fine dissentirono, proprio perchè su di esso le parti non avevano da raggiungere alcun accordo, essendo il preliminare l’unica fonte dei rispettivi obblighi. Ed è intrinsecamente contraddittorio sostenere, da un lato, che la vendita dovesse essere qualificata come di genere limitato, e dall’altro, che il geom. Ru. fosse mandatario degli S. per desumere da ciò che "l’accordo in ogni caso fu raggiunto fra prominenti acquirenti e tecnico secondo le istruzioni ricevute dai venditori" (così, a pag. 16 del ricorso).

9. – Il quarto motivo non ha pregio, anche in tal caso per due ragioni.

9.1. – La Corte d’appello ha giudicato fondata la domanda di risoluzione proposta dagli S., in quanto ha ritenuto giustificato il rifiuto di costoro di stipulare il contratto definitivo alle diverse condizioni pretese dai promissari acquirenti.

Orbene, correlare la gravità dell’inadempimento di questi ultimi all’incidenza della porzione di terreno controversa rispetto all’intero compendio immobiliare promesso in vendita, equivale a confondere le obbligazioni delle parti, riferendo anche ai promissari acquirenti l’obbligo, gravante sui soli promittenti venditori, di individuare la porzione di terreno da trasferire.

9.2. – In secondo luogo, va osservato che sebbene il giudizio di gravità, ai fini di cui all’art. 1455 c.c., possa concernere anche obbligazioni accessorie, qualora l’inadempimento sia totale e riguardi una delle obbligazioni primarie ed essenziali scaturenti dal contratto non è necessaria alcuna valutazione specifica della gravità dell’inadempimento medesimo, essendo questa implicita nella circostanza stessa del mancato adempimento (v. Cass. nn. 887/75, 2921/72, 1893/70 e 1827/69).

9.2.1. – Nella specie, l’inadempimento dei L. – Lo. che la Corte territoriale ha posto a base della decisione impugnata, ha avuto ad oggetto l’obbligazione principale di prestare il consenso per la stipula del contratto definitivo, e dunque non richiedeva alcun espresso apprezzamento in termini di gravità.

10. – Il quinto motivo è fondato.

10.1. – Le S.U. di questa S.C. hanno affermato, risolvendo il pregresso contrasto sorto tra le sezioni semplici, che in tema di contratti cui acceda la consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione (giudiziale o di diritto) ed il risarcimento del danno, costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la declaratoria dell’intervenuto recesso con ritenzione della caparra (o pagamento del doppio), avuto riguardo – oltre che alla disomogeneità esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso ed all’irrinunciabilità dell’effetto conseguente alla risoluzione di diritto – all’incompatibilità strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento: la funzione della caparra, consistendo in una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso, risulterebbe infatti frustrata se alla parte che abbia preferito affrontare gli oneri connessi all’azione risarcitoria per ottenere un ristoro patrimoniale più cospicuo fosse consentito – in contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, che vieta qualsiasi forma di abuso processuale – di modificare la propria strategia difensiva, quando i risultati non corrispondano alle sue aspettative (Cass. S.U. n. 553/09).

La ritenuta incompatibilità strutturale e funzionale tra ritenzione della caparra e risarcimento del danno, comporta, di riflesso, l’impossibilità di derivare la disciplina del rapporto concreto dall’uno o dall’altro tipo di domanda secondo l’esito dell’istruzione probatoria e sulla base di un ragionamento inclusivo del meno (la ritenzione della caparra o la restituzione del doppio di essa) nel più (il risarcimento del danno maggiore). Pertanto, non è possibile dichiarare la risoluzione del contratto per inadempimento e regolare giudizialmente il risarcimento del danno mediante la tecnica di liquidazione convenzionale di cui all’art. 1385 c.c., consentita per la sola domanda di recesso.

10.2. – Nel caso in esame non è esatto, innanzi tutto, ciò che parte controricorrente sostiene nella propria memoria ex art. 378 c.p.c., ossia che la Corte territoriale non avrebbe dichiarato risolto il contratto, ma solo dichiarato che per l’inadempimento dei L.- Lo. i promittenti venditori potevano trattenere quanto ricevuto a titolo di caparra, e che tale affermazione, in definitiva, significhi "dichiarare legittimo il recesso (mancato adempimento) dei promittenti venditori" (v. pag. 4 memoria).

Nella sentenza impugnata è ben specificato sia che la Corte territoriale ha ritenuto infondata la domanda di risoluzione per inadempimento proposta dai L. – Lo., e al contrario fondata quella subordinata degli appellati S. (v. pag. 4, righi 1-3, dov’è evidente, fra l’altro, un errore materiale lì dove invece di "promittenti acquirenti" è scritto "promittenti venditori"); sia che questi ultimi hanno diritto a trattenere la caparra ricevuta e che "non risulta ulteriore danno" (ibidem, rigo 34).

Dall’esame degli atti, cui questa Corte ha accesso trattandosi di accertare un fatto processuale, emerge che sia in primo che in secondo grado gli S. hanno così concluso in via subordinata (la domanda di tesi, non accolta, era quella di nullità del contratto preliminare): "… in ipotesi, accertata e dichiarata l’inadempienza dei Sigg.ri L.F. e Lo.Fr. al contratto preliminare stipulato in data 26.11.1990 con gli attori, dichiarare il contratto stesso risolto per fatto e colpa dei convenuti e ciò con ogni ulteriore conseguente pronuncia in ordine al risarcimento dei danni ed al regime della caparra confirmatoria".

Dunque, è certo che l’odierna parte controricorrente ebbe a proporre soltanto una domanda (subordinata) di risoluzione e non di recesso, e che l’erronea commistione tra i relativi effetti riportata nella domanda stessa non muta la qualificazione giuridica dell’azione così come operata espressamente da detta parte.

Come pure deve ritenersi che la Corte territoriale non abbia riqualificato l’azione in termini di recesso, atteso che l’esercizio del relativo potere d’ufficio (al di là della questione circa la sua ammissibilità in appello: per la negativa, v. Cass. nn. 24339/10, 20730/08 e 15859/02; per l’affermativa, sia pure nei limiti posti dal divieto di mutare il petitum e la causa petendi della domanda, v. nn. 19090/07, 4008/06, 1939/03 e 27285/06) deve avvenire in maniera chiara ed esplicita, di guisa che, in difetto, è necessario concludere che il giudice si sia attenuto alla qualificazione proposta dalla parte. Ed è quanto è avvenuto nella specie.

Dunque, la sentenza impugnata, nella parte in cui, sul presupposto dell’accoglimento della domanda di risoluzione per inadempimento avanzata dai promittenti venditori, ha dichiarato il diritto di questi ultimi di trattenere la caparra ricevuta, ha operato una falsa applicazione dell’art. 1385 c.c..

11.- Pertanto, sulla base delle considerazioni svolte, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, e decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, seconda ipotesi, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto (non risultano proposte altre domande di restituzione, che dunque potranno trovare ingresso in un separato giudizio), deve essere rigettata la domanda di risoluzione proposta da F. e S.R..

12. – L’esito complessivo della lite, che registra la soccombenza reciproca delle parti, legittima la compensazione integrale delle spese dei due gradi di merito e del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo del ricorso, rigettati i primi quattro, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito rigetta la domanda di risoluzione proposta da F. e S.R., e dichiara interamente compensate le spese dei gradi di merito e del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2012

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