Cass. civ. Sez. II, Sent., 15-06-2012, n. 9869 Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La controversia concerne la vendita di tre appartamenti in Via (OMISSIS), promessi, con preliminare sottoscritto nel marzo 1998, dal defunto T.L. all’odierno ricorrente A.D.M.G..

T. vendeva gli appartamenti, dopo la stipula di tre preliminari trascritti, ai resistenti Pe. – P., uno dei quali era conduttore dell’immobile,- verso corrispettivo "esorbitante e comunque sicuramente" (ricorso pag. 15) superiore a quello del primo contratto.

D.M.A. nell’aprile 1998 agiva contro il promittente venditore ai sensi dell’art. 2932 c.c..

T. resisteva, eccependo l’avvenuta trascrizione dei preliminari.

A. proponeva altra azione, chiedendo la declaratoria di invalidità dei tre atti per avere le parti agito al solo fine di danneggiare la sua posizione di acquirente.

Riuniti i giudizi, previo intervento nel primo dei signori Pe. – P., il tribunale di Roma con sentenza del 2002 rigettava la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare e le contrapposte domande risarcitorie proposte da A. contro i tre acquirenti e da costoro contro di lui per la trascrizione della domanda giudiziale.

Dichiarava inammissibile l’azione revocatoria proposta da A.;

dichiarava risolto per inadempimento di T. il preliminare del marzo 1998 e condannava il convenuto a restituire quanto percepito e a versare all’attore A.D.M. la somma di circa 147.000 Euro a titolo di risarcimento del danno.

A. proponeva appello, che veniva respinto con sentenza 6 novembre 2007 dalla Corte di Roma, tranne che per la parte relativa alla quantificazione delle spese di lite, poste a carico del soccombente.

A.D.M.G. ha proposto ricorso per cassazione, con due motivi.

T.M. (erede di L.) e i sigg. Pe. – P. hanno resistito con controricorso.

Tutte le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

L’art. 1345 c.c. (Motivo illecito) reca: il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe.

Parte ricorrente ha agito sulla base di detta norma e dell’art. 1418 c.c., comma 2 ("Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall’art. 1325, l’illiceità della causa, l’illiceità dei motivi nel caso indicato dall’art. 1345 e la mancanza nell’oggetto dei requisiti stabiliti dall’art. 1346").

La Corte di appello ha osservato che gli acquirenti erano edotti del fallimento delle trattative tra i precedenti promissari e il venditore, ma non conoscevano nè il perchè fossero naufragate, nè ogni aspetto del preliminare.

Ha ritenuto che i Pe. – P. non abbiano agito per danneggiare l’ A., avendo pagato un prezzo superiore a quello del primo preliminare, a dimostrazione della volontà di acquistare effettivamente, volontà tale da escludere che "l’eventuale motivo illecito" fosse "determinante ed esclusivo" (sentenza pag. 8).

La consapevolezza dei dissidi sorti tra i primi contraenti in ogni caso, secondo al Corte di appello, non comportava che i promissari acquirenti fossero in grado di valutare la complessità della situazione negoziale preesistente; inoltre non avendo essi alcun contatto con l’ A. non avevano nè volontà di danneggiarlo, nè piena consapevolezza di farlo.

La Corte di appello, valorizzando questi ragionamenti è significativamente giunta a rigettare nei confronti dei Pe. – P. anche il profilo di domanda proposto ex art. 2043 c.c., evidenziando come la stipula da parte loro del preliminare, con la relativa trascrizione non costituisse atto illecito e come l’ A. dovesse rimproverare alla propria inerzia (per la mancata trascrizione del primo preliminare o di domanda giudiziale ex art. 2932 c.c.) il prevalere della posizione dei resistenti.

Parte ricorrente censura questa decisione denunciando omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa la sussistenza del "motivo illecito comune al defunto professor T.L. e ai resistenti signori P. – Pe. di stipulare i contratti preliminari di cui alle premesse, al fine di eludere il diritto del ricorrente arch. A.D.M. alla stipulazione del contratto definitivo avente ad oggetto gli stessi beni (tre appartamenti siti in (OMISSIS))".

Sostiene che la Corte non avrebbe valorizzato le deposizioni, testimoniali e in particolare quella di T.M., il quale avrebbe riferito che l’avvocato Carnevali aveva informato Pe.

dell’avvenuta trascrizione del contratto con A. e che il preliminare Pe. venne "firmato in fretta e trascritto in quanto vi era la possibilità che anche quello con A. venisse trascritto".

Il ricorso evidenzia inoltre che l’avvocato Carnevali aveva riferito che dopo l’esito fallimentare dell’incontro delle parti del primo preliminare presso il notaio Riccio, aveva ricevuto telefonata del Pe., al quale egli aveva fatto presente che era stato stipulato un preliminare di vendita, ma che non era stato concluso il definitivo senza indicare i motivi. " T. aveva assunto impegni obbligatori scritti che però non avevano dato alcun esito quanto al trasferimento di proprietà" Il ricorrente sostiene che da queste deposizioni si desume che i contratti preliminari furono stipulati da parte Pe. in malafede;

che il fatto che i signori Pe. non potessero sapere chi era in torto fra T. e A. non esclude che essi fossero a conoscenza della stipula del preliminare, considerato che le trattative naufragate erano quelle che riguardavano il definitivo e non il preliminare. Inoltre, deduce, le parti Pe. sapevano dell’esistenza di un contenzioso in cui i primi contraenti si accusavano reciprocamente di inadempimento.

Afferma inoltre che alle prove testimoniali sopra riportate si aggiungono altre circostanze, che assumerebbero valore probante, relative alla fulminea trascrizione dei tre preliminari e alle modalità di pagamento.

La censura è priva di fondamento.

Premesso che delle circostanze da ultimo riferite non vi è traccia in sentenza e non si può tener conto, giacchè il ricorso non indica da quali risultanze processuali ritualmente acquisite emergerebbero (Cass 15952/07), va osservato che le argomentazioni svolte non sono idonee a scalfire il nucleo della motivazione resa dalla Corte d’appello, che verte sulla assoluta mancanza di prova dell’esistenza di un motivo illecito, che, per essere rilevante, deve essere comune ad entrambe le parti, esclusivo e determinante, con assenza di alcun altro motivo lecito (Cass. 11777/02).

La Corte di appello si è infatti allineata al tradizionale insegnamento delle Sezioni Unite secondo il quale: "il motivo illecito – che, se comune ad entrambe le parti e determinante per la stipulazione, determina la nullità del contratto – si identifica con una finalità vietata dall’ordinamento, poichè contraria a norma imperativa o ai principi dell’ordine pubblico o del buon costume, ovvero poichè diretta ad eludere, mediante detta stipulazione, una norma imperativa; pertanto, l’intento delle parti di recare pregiudizio ad altri, ove non sia riconducibile ad una di tali fattispecie, non è illecito, non rinvenendosi nell’ordinamento una norma che sancisca in via generale, come per il contratto in frode alla legge, l’invalidità del contratto in frode dei terzi, ai quali, invece,, l’ordinamento accorda rimedi specifici, correlati alle varie ipotesi di pregiudizio che essi possano risentire dall’altrui attività negoziale" Cass., sez. un., 25-10-1993, n. 10603.

Questa lettura della disposizione di cui all’art. 1345 c.c., non risulta censurata, rendendo superfluo, in questa sede, lo scrutinio della portata di quella dottrina che ha ipotizzato un’accresciuta rilevanza del motivo quando vi sia negoziazione da parte di un contraente della cui antigiuridicità (come nell’ipotesi di alienazione di cosa già promessa a terzi) l’altro contraente sia consapevole.

Le critiche alla lettura delle deposizioni testimoniali nulla adducono circa la natura del motivo della compravendita, la motivazione della quale non era – esclusivamente – quella illecita di nuocere al primo promissario, ma – quanto meno con riguardo ai Pe. – P., quella di assicurarsi, anche a costo di pagare un prezzo esorbitante, la proprietà dei beni immobili posti in vendita dal T..

Le deposizioni invocate evidenziano infatti solo la conoscenza di una precedente contrattazione, peraltro naufragata, ma non certo l’esclusivo intento dei nuovi promissari di aiutare il promittente venditore a liberarsi del bene per sfuggire al primo vincolo contrattuale. Non emerge da esse, come ha posto in evidenza la Corte d’appello, neppure una condotta lesiva rilevante ex art. 2043 c.c., profilo, anche questo, non investito da censura in sede di legittimità.

L’ultimo inciso del motivo propone infatti una diversa lettura della circostanza che sia stato pagato alto prezzo per l’acquisto, circostanza già congruamente spiegata, come poc’anzi si è detto, e che non può certo far desumere l’intento, esclusivo o comunque determinante, di eludere una possibile iniziativa giudiziaria del precedente promissario, ancorata alla trattativa naufragata.

Il motivo di ricorso non evidenzia quindi un vizio motivazionale decisivo per ribaltare la valutazione del fatto, come sarebbe stato indispensabile per inficiare la sentenza impugnata.

Quest’ultima ha congruamente motivato in ordine alla palese sussistenza di un concreto autonomo interesse degli acquirenti di assicurarsi il bene, tale da escludere la configurabilità del motivo illecito avente le caratteristiche normalmente ascritte all’istituto di cui all’art. 1345 c.c., ispirate, si dice, all’esigenza di restringere le ipotesi di nullità contrattuali per ragioni dipendenti dal motivo, questione su cui la Corte non è qui chiamata a pronunciarsi.

Infondato è anche il secondo motivo di ricorso che lamenta "nullità della sentenza impugnata per omissione di pronuncia sulla domanda revocatoria proposta dall’attore".

In realtà la doglianza non si riferisce a una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.) contesta implicitamente violazione delle norme codicistiche in tema di inammissibilità della domanda nuova oltre il limite delle preclusioni.

Mira infatti ad affermare, come si desume dal quesito proposto, che la domanda svolta ex art. 2901 c.c., non costituirebbe mutatio libelli rispetto alla domanda di nullità del contratto ex art. 1345 c.c..

La differenza tra actio nullitatis e azione revocatoria, ben evidenziata dalla Corte di appello e dalle difese dei resistenti, è innegabile, giacchè la prima mira alla caducazione del contratto, mentre l’accoglimento dell’azione revocatoria, ai sensi degli artt. 2901 e 2902 cod. civ., non comporta l’invalidità dell’atto di disposizione sui beni e il rientro di questi nel patrimonio del debitore alienante, bensì l’inefficacia dell’atto soltanto nei confronti del creditore che agisce per ottenerla (Cass. 3676/11), per la limitata finalità di garantirgli il risarcimento del danno patito in conseguenza dell’inadempimento del promittente venditore (Cass. 25016/08; 2426/11).

La novità della domanda ne precludeva pertanto la formulazione dopo il serrarsi della saracinesca in ordine alla formazione del thema decidendum.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo in relazione al valore della lite.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 5.000 per onorari, Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 1 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *