Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 27-09-2011) 28-11-2011, n. 44026

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di M.M. A. avverso l’ordinanza in data 15.4.2010, depositata il 28.4.2010, della Corte di Appello di Ancona che rigettava la richiesta della predetta M. volta ad ottenere l’equa riparazione per l’ingiusta detenzione subita agli arresti domiciliari dal 14/5 al 21/5/2003 per i delitti di associazione per delinquere e violazione delle norme sull’immigrazione per i quali era stata disposta l’archiviazione, avendo la richiedente concorso a dare causa alla misura con colpa grave, consistente in una condotta di connivenza non punibile, poichè, la stessa, dipendente con mansioni esecutive presso la struttura alberghiera gestita dagli imputati di maggiore spicco, "ebbe a cooperare, sia pure in senso logistico, nella acquisizione di prenotazioni, da parte di soggetti interessati all’ingresso clandestino in Italia, che erano chiaramente riconoscibili come prenotazioni fittizie", come si esprime l’ordinanza impugnata.

La ricorrente deduce il vizio motivazionale in relazione all’errata valutazione sulla sussistenza della connivenza che, nel caso in questione, non si era concretata in alcun atto che potesse giovare alla consumazione del reato, essendosi la M. limitata ad eseguire gli ordini del suo datore di lavoro e, nella qualità di centralinista e addetta alla ricezione dell’hotel, non aveva alcuna possibilità di influire sulla condotta di chi aveva messo a punto il procedimento per eludere le prescrizioni per l’ingresso in Italia di immigrati extracomunitari.

Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.

Il ricorso è inammissibile essendo stato presentato fuori termine, ossia in data 9.6.2010 e, quindi, oltre il termine perentorio di 15 giorni (art. 127 c.p.p., art. 585 c.p.p., comma 1, lett. a e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) dalla notifica del provvedimento impugnato (in data 10.5.2010) all’interessata e al difensore ed essendo, comunque, fondato su motivi manifestamente infondati.

Infatti, si basa su una errata interpretazione del provvedimento impugnato, nonchè su una inaccettabile commistione di plani motivazionali, tra la decisione di archiviazione nel merito e la riconsiderazione effettuata in sede di esame della domanda di riparazione.

Al riguardo, la Suprema Corte ha ritenuto che "in tema di riparazione per ingiusta detenzione il giudice di merito deve valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di norme o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Il giudice deve fondare la deliberazione conclusiva su fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni, esaminando la condotta del richiedente, sia prima e sia dopo la perdita della libertà personale, indipendentemente dall’eventuale conoscenza che quest’ultimo abbia avuto dell’attività d’Indagine, al fine di stabilire, con valutazione ex ante, non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stato il presupposto che ha ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurazione come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto" (Cass. pen. Sez. Un. 26.6.2002 n. 34559 Rv. 222263).

Inoltre, è stato affermato che la nozione di colpa grave di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1 va individuata in quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica, negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria, che si sostanzi nell’adozione o nel mantenimento di un provvedimento restrittivo della libertà personale (tra le altre, Cass. pen. Sez. 4, 15.2.2007, n. 10987, Rv. 236508).

E’ quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dall’istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della libertà personale il convincimento di un probabile coinvolgimento della istante nell’organizzazione criminale della quale era stata accusata di far parte.

Al riguardo, è stato ritenuto da questa Corte di legittimità che un atteggiamento di connivenza possa, in astratto, integrare la colpa grave purchè, nella situazione in concreto accertata, possa essere ritenuto indice o del venir meno a elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni e alle persone o alle cose ovvero costituisca non un semplice assistere passivamente alla consumazione di un reato ma nel tollerare che questo reato venga consumato, semprechè l’agente sia grado di impedire la consumazione o la prosecuzione l’attività criminosa. Inoltre, è noto che la mera presenza passiva non integra il concorso nel reato a meno che non valga a rafforzare il proposito dell’agente di commettere il reato.

Ma questo rafforzamento del proposito non è sufficiente per ritenere il concorso dello "spettatore passivo" essendo necessario che questi abbia la coscienza e volontà di rafforzare il proposito criminoso.

Orbene, nei casi in cui l’elemento soggettivo in questione non sia provato ben può essere astrattamente configurata gravemente colposa, perchè caratterizzata da grave negligenza, la condotta omissiva del connivente per non aver valutato gli effetti della sua condotta sul comportamento dell’agente la cui volontà criminosa può essere oggettivamente rafforzata anche se il connivente non Intende perseguire questo effetto (cfr. Cass. pen. Sez. 4, n. 16369 del 18.3.2003, Rv. 224773 ed altre). E nel caso di specie vi è stata ben di più di una mera presenza fisica passiva, attesa la diretta esecuzione di ordini da parte dei diretti autori del reato sicchè, come evidenziato dalla Corte territoriale, la ricorrente non poteva non rendersi conto di interagire in una situazione del tutto anomala "rispetto allo schema funzionale usuale di una struttura alberghiera", e, persistendo nel detto ruolo e posizione operativa, ingenerò negli inquirenti il fondato sospetto che il suo coinvolgimento (benchè sul mero piano operativo e logistico) assurgesse a rango di vera e propria partecipazione nel reato.

E questa Corte ha affermato che "il sindacato del giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è limitato alla correttezza del procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l’ottenimento del beneficio indicato. Resta invece nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il suo convincimento, la valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa o sull’esistenza del dolo" (tratto da Cass. pen. Sez. 4, n. 15143 del 19.2.2003, Rv. 224576).

E si deve riconoscere la piena congruità della motivazione logica e giuridica dell’ordinanza impugnata che ha ravvisato la causa ostativa alla riparazione nei comportamenti plurimi della ricorrente apprezzati ex ante, in ossequio alle soprarichiamate indicazioni di questa Corte di legittimità.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare In Euro 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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