Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 15-06-2012, n. 9868 Assegni di accompagnamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 11.10/7.11.2006 la Corte di appello di Cagliari, in parziale riforma della decisione di primo grado, determinava le spese del giudizio promosso da A.L. nei confronti dell’INPS e del Ministero dell’Economia per il riconoscimento del diritto all’indennità di accompagnamento in complessivi Euro 1.226,73, di cui Euro 640,43 per diritti ed Euro 450,00 per onorari.

Osservava la Corte territoriale che, ai fini della determinazione del valore della causa, doveva trovare applicazione dell’art. 13 c.p.c., comma 1, trattandosi di prestazioni che partecipano della natura delle prestazioni alimentari, e, riguardo alle singole voci, che dovevano escludersi la voce "disamine produzioni avverse", non avendo l’INPS prodotto alcun documento, e la voce "disamina conclusioni", non essendo la controparte comparsa all’udienza di discussione.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso A.L. con tre motivi.

L’INPS resiste con controricorso; il Ministero dell’Economia non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 12 e 13 c.p.c., dell’art. 12 preleggi, nonchè vizio di motivazione ed, al riguardo, rileva che erroneamente la Corte sarda aveva ritenuto applicabile la previsione dell’art. 13, comma 1, nonostante che l’indennità di accompagnamento si concreti in una somma di denaro da corrispondersi periodicamente ed è perciò del tutto assimilabile ad una rendita vitalizia, con la conseguenza che, nel caso sia contestato il diritto a percepire la prestazione economica, e non solo alcune annualità, il valore della causa non può che essere pari a dieci annualità, per come previsto dall’art. 13 c.p.c., comma 2.

Con il secondo motivo, prospettando violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 414 c.p.c., n. 3 e L. n. 326 del 2003, art. 42, comma 1), il ricorrente si duole che non erano state poste a carico dell’INPS le spese sostenute per la chiamata in causa del Ministero, pur essendo lo stesso litisconsorte necessario.

Con l’ultimo motivo, infine, il ricorrente, prospettando ancora violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1 tabella B n. 39 delle tariffe professionali approvate con D.M. n. 585 del 1999 e all’art. 429 c.p.c.), osservale conclusioni della controparte, siano state precisate nella memoria di costituzione o in udienza, devono essere sempre esaminate e valutate dal difensore, sicchè deve ritenersi del tutto irrilevante che la controparte non sia mai comparsa in udienza.

2. Il primo motivo è infondato, previa correzione della motivazione della decisione impugnata.

Ha ritenuto la corte territoriale, con riferimento allo scaglione tariffario applicabile, che il valore delle controversie aventi ad oggetto le prestazioni assistenziali debba effettuarsi in base al disposto dell’art. 13 c.p.c., comma 1, trattandosi di prestazioni che partecipano della natura delle prestazioni alimentari.

Deve, tuttavia, ribadirsi che il criterio per determinare il valore della causa ai fini in questione è quello del cumulo delle annualità della rendita nella misura spettante fino ad un massimo di dieci, secondo come previsto dall’art. 13 c.p.c., comma 2.

Costituisce, infatti, giurisprudenza costante di questa Suprema Corte che la determinazione del valore della causa in materia di prestazioni assistenziali (pensione di invalidità e inabilità, rendite per malattie professionali e infortuni sul lavoro ecc.), deve essere effettuata, ai fini dell’individuazione dello scaglione degli onorari e dei diritti di procuratore spettanti al difensore dell’assicurato, secondo il criterio stabilito dalla norma indicata, in quanto anche l’indennità di accompagnamento, pur partecipando della natura delle prestazioni alimentari, si concreta in una somma di denaro da corrispondere periodicamente ed è, perciò, del tutto assimilabile ad una rendita vitalizia, sicchè il valore della causa deve essere determinato cumulando le annualità domandate sino ad un massimo di dieci (v. ad es. da ultimo Cass. n. 2148/2011; Cass. n. 4258/2007; Cass. n. 21841/2007).

Ne segue che le annualità da prendere in considerazione non sono solo quelle controverse, non essendo nel caso in contestazione il diritto ad una somma determinata, ma l’accertamento del diritto stesso alla prestazione, ed, al tempo stesso, che il cumulo delle dieci annualità rappresenta il limite massimo, ma non anche la misura fissa delle annualità da prendere in considerazione ai fini della determinazione del valore della lite, per come risulta dal tenore letterale della disposizione, e dalla distinzione, nella stessa reperibile, fra le controversie relative a rendite perpetue, per le quali si fa riferimento al cumulo di "venti annualità", e alle cause relative a rendite temporanee o vitalizie, per le quali il riferimento è alle "annualità domandate fino ad un massimo di dieci" (cfr. Cass. n. 2148/2011).

Non può, pertanto, trovare accoglimento la tesi del ricorrente, il quale assume che, in tale ultima ipotesi, il valore della causa va determinato non già cumulando le annualità domandate (pari ciascuna ad Euro 5.325,96) "fino ad un massimo di dieci", ma senz’altro, fino a dieci.

Ciò chiarito, ritiene il Collegio che il motivo, previa correzione della motivazione della sentenza impugnata, debba essere rigettato, non potendo, comunque, il valore della causa determinarsi con riferimento allo scaglione (di Euro 53.259,60) richiesto, avuto riguardo alla modesta difficoltà delle questioni controverse (cfr.

anche Cass. n. 2148/2011 cit.).

3. Infondato è pure il secondo motivo.

Ed, in realtà, la decisione adottata dai giudici di appello trova essenziale giustificazione nell’autonomia del rapporto processuale instaurato con il Ministero, fosse lo stesso litisconsorte necessario o parte in senso sostanziale del processo, e nella conseguente irriferibilità del carico delle spese ad un ambito esterno a tale rapporto, non senza evidenziare, comunque, per come ha correttamente posto in risalto la Corte territoriale, che le difese svolte dal Ministero investivano il merito del processo, essendo intese a far affermare la propria carenza di legittimazione processuale, e, quindi, la propria estraneità al giudizio.

4. Non meritevole di accoglimento è , infine, il terzo motivo.

Osserva il ricorrente, a fronte di quanto si è accertato in sentenza (e precisamente, "che nessuna controparte è mai comparsa in alcuna udienza di discussione, sicchè nessuna precisazione di conclusioni è avvenuta"), che le conclusioni, siano state precisate nella memoria di costituzione o in udienza, devono essere sempre esaminate e valutate dal difensore, sicchè è da ritenersi del tutto irrilevante che la controparte non sia mai comparsa in udienza.

Deve, al riguardo, ribadirsi che, nel rito del lavoro, per il giudizio di appello non è previsto che le parti debbano precisare le conclusioni, e che per tal fine neppure è utilizzabile il richiamo alla previsione del l’art. 429 c.p.c., comma 1, in quanto l’art. 437 c.p.c., u.c., fa rinvio esclusivamente ai commi 2 e 3 del primo testo. In presenza di tale dato normativo, quindi, se non può escludersi la facoltà per le parti di presentare in appello conclusioni scritte e di esaminare quelle che eventualmente formuli la parte avversa, deve, nondimeno, ritenersi che la parte interessata ha l’onere di dimostrare che questa attività sia stata effettivamente svolta. Diversamente si potrebbe verificare una duplicazione della medesima voce, nella ipotesi di mancanza di una specifica ulteriore attività, una volta che siano stati attribuiti i diritti di procuratore per l’esame degli scritti difensivi della controparte e per ogni scritto difensivo (nel caso la memoria di costituzione in appello) (cfr. Cass. n. 21841/2007).

5. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Nulla per le spese, essendo in atti la dichiarazione sostitutiva prevista dal l’art. 152 disp. att. c.p.c..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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