Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 15-06-2012, n. 9865

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 7.2/5.4.2006 la Corte di appello di Milano confermava la sentenza di primo grado nella parte in cui rigettava la domanda proposta da A.G. nei confronti del Ministero della Salute ai fini del risarcimento del danno materiale, biologico e morale sofferto in quanto contagiato da virus HCV a seguito di molteplici trasfusioni subite nel (OMISSIS), in conseguenza di una grave emorragia digestiva, presso l’Ospedale (OMISSIS).

Osservava in sintesi la Corte territoriale che, presupponendo il diritto al risarcimento del danno, invocato dal ricorrente, un fatto illecito, ascrivibile a colpa dell’agente, in conformità alle regole della responsabilità civile, doveva nel caso osservarsi che nei laboratori di ricerca solo nel (OMISSIS) erano stati utilizzati dei test di prima generazione, che avevano consentito di formulare una diagnosi di presenza degli anticorpi anti HCV con una discreta percentuale di affidabilità e che solo a partire dalla fine di quello stesso anno si era raggiunta una relativa certezza nel campo della diagnosi di infezione da HCV (tanto che il Ministero della salute aveva reso obbligatoria, con D.M. 21 luglio 1990, la ricerca degli anticorpi HCV su ogni singola unità di sangue e di plasma donato). Ragion per cui, per le infezioni contratte in precedenza, doveva ritenersi assente il prescritto nesso causale tra la condotta omissiva del Ministero e l’evento lesivo.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso A. G. con quattro motivi, illustrati con memoria.

Resiste con controricorso il Ministero della Salute.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 40 c.p., osservando che la Corte territoriale aveva trascurato di considerare che, già nel 1976, vi erano precisi segnali di allarme, nella comunità scientifica, circa il rischio che le trasfusioni di sangue trasmettessero il virus dell’epatite C (all’epoca denominata, "non A, non B") e che, comunque, il Ministero della Salute era tenuto, in relazione alle sue finalità istituzionali, ad adottare tute le misure che, secondo prudenza e diligenza e secondo le conoscenze mediche e l’esperienza, consentissero di prevenire e ridurre il rischio dell’infezione; omissione non giustificabile asserendo la mancanza, all’epoca, dello specifico test diagnostico dell’epatite C. Con il secondo motivo, prospettando ancora violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1225, 2043 e 2056 c.c.), il ricorrente rileva che, accertata la colpa dell’Amministrazione nella causazione dell’evento, la stessa era tenuta a risarcire ogni ragione di danno, compresi i danni imprevedibili.

Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente evidenzia insufficiente e contraddittoria motivazione con riferimento alle violazioni di cui al primo motivo di gravame, ed, in particolare, circa la asserita mancanza, già nel (OMISSIS), di controlli ed interventi di vigilanza idonei a ridurre il rischio di contagio.

Con l’ultimo motivo, infine, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 2050 c.c., nonchè vizio di motivazione osservando che i giudici di appello avevano, del tutto immotivatamente, escluso che la responsabilità del Ministero potesse configurarsi come responsabilità presunta ai sensi dell’art. 2050 c.c..

2. Il primo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in ragione della loro connessione ed interdipendenza sul piano logico e giuridico, e sono da ritenersi fondati.

Ha ritenuto la Corte lombarda di non potere condividere la tesi secondo cui l’adozione di adeguati strumenti precauzionali avrebbe impedito anche la trasmissione dell’epatite C, dal momento che, potendo la responsabilità da omissione sorgere, secondo l’ordinario criterio della colpa, ogni volta che il danno può essere prevenuto ed evitato, con giudizio ex ante fondato sulla prevedibilità dello stesso, doveva, nella fattispecie, constatarsi che le tre infezioni da virus tipo A, B e C costituiscono tre differenti eventi lesivi, per cui la responsabilità civile va accertata, sia relativamente al nesso causale che alla colpevolezza, con riferimento ad ognuno dei tre virus, e quindi alla prevedibilità degli stessi, con la conseguenza che, essendo stati conosciuti i virus H1V e HCV solo successivamente alla data del contagio, doveva escludersi il nesso causale fra la condotta omissiva del Ministero e l’evento lesivo.

La Corte lombarda, nell’operare tale valutazione, ha tenuto conto di quanto statuito da questa Corte di legittimità nella sentenza n. 11609 del 2005, a proposito della responsabilità del Ministero della sanità per la raccolta e distribuzione di sangue infetto, la quale ha osservato che, fino a quando non erano conosciuti dalla scienza medica mondiale i virus dell’HBV (1978), HIV (1985), ed HCV (1988), proprio perchè l’evento infettivo da detti virus era già astrattamente inverosimile, in quanto addirittura sconosciuto, mancava il nesso causale tra la condotta omissiva del Ministero e l’evento lesivo, in quanto all’interno delle serie causali non poteva darsi rilievo che a quelle soltanto che, nel momento in cui si produsse l’omissione causante e non successivamente, non apparivano del tutto inverosimili, tenuto conto della norma comportamentale o giuridica che imponeva l’attività omessa.

Hanno ritenuto, tuttavia, successivamente le SU (s. n. 576/2008), innanzi tutto, che, anche prima dell’entrata in vigore della L. n. 107 del 1990, contenente la disciplina per le attività trasfusionali e la produzione di emoderivati, doveva riconoscersi che sussistesse in materia, sulla base della legislazione vigente, un obbligo di controllo, di direttiva e di vigilanza sull’utilizzazione del sangue umano per uso terapeutico da parte del Ministero della Sanità, del tutto strumentale alla funzione di programmazione e coordinamento in materia sanitaria allo stesso assegnata dalla legge, e che, pertanto, l’omissione da parte del Ministero di attività funzionali a tale scopo è idonea a far sorgere la responsabilità extracontrattuale del medesimo, ove dalla violazione del dovere di vigilanza nell’interesse pubblico siano derivate violazioni dei diritti soggettivi dei terzi.

Aderendo, quindi, ai rilievi svolti da una parte della giurisprudenza di merito e della dottrina, si è affermato che, nel caso, non sussistono, in realtà, tre eventi lesivi, come se si trattasse di tre serie causali autonome ed indipendenti, ma di un unico evento lesivo, cioè la lesione dell’integrità fisica, per cui unico è il nesso causale: trasfusione (o, il che è lo stesso, contatto) con il sangue infetto- contagio infettivo- lesione dell’integrità.

Ne deriva (ha soggiunto la Corte) che, già a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B (la cui individuazione, costituendo un accertamento fattuale, rientra nella esclusiva competenza del giudice di merito) sussiste la responsabilità anche per il contagio degli altri due virus , che non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazione patogene dello stesso evento lesivo dell’integrità fisica da virus veicolati da sangue infetto.

3. Alla luce di tali principi va, pertanto, riesaminato il caso in esame e tenendo, altresì, conto di come la valutazione del nesso causale in sede civile, pur ispirandosi ai criteri di cui agli artt. 40 e 41 c.p., secondo i quali un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonchè al criterio della c.d. causalità adeguata, sulla base della quale, all’interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiono, ad una valutazione ex ante, del tutto inverosimili, presenta, tuttavia, notevoli differenze in relazione al regime probatorio applicabile, vigendo nel processo civile la regola della preponderanza dell’evidenza, o del "più probabile che non", nel processo penale la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio" (cfr. SU n. 576/2008 cit.; Cass. n. 10741/2009; Cass. n. 16123/2010; Cass. n. 8430/2011 ed altre).

Sulla base di tali criteri, il giudice di merito dovrà, quindi, accertare se, tenendo conto delle migliori conoscenze del momento, l’omissione di cautele doverose in relazione alla funzione di controllo, direttiva e vigilanza spettante al Ministero della sanità, al fine di consentire l’utilizzazione di sangue non infetto e proveniente da donatori compatibili con gli standards di esclusione dei rischi, possa ritenersi, in assenza di altri fattori alternativi, causa dell’evento lesivo e se, per converso, la condotta doverosa, ove fosse stata tenuta, avrebbe impedito il verificarsi dell’evento stesso.

4. Restano assorbiti gli ulteriori motivi.

5. La sentenza impugnata va, dunque, cassata con riferimento alle censure accolte e la causa rinviata ad altro giudice di pari grado, il quale provvederà a nuovo esame alla luce dei criteri di interpretazione sopra indicati, regolando anche le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il terzo motivo del ricorso, dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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