Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-09-2011) 28-11-2011, n. 44015

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Il Tribunale di Catania, in funzione di giudice del riesame, con ordinanza 28 marzo 2011 annullava l’ordinanza del GIP presso il medesimo tribunale, emessa il 9 marzo 2011 nei confronti di S. M.K., limitatamente al reato di cui all’art. 1099 c.n., confermando nel resto il provvedimento e, in particolare, l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per gli altri reati ascritti all’indagato.

Riteneva il tribunale del riesame sussistente il grave quadro indiziario in relazione ai delitti di cui:

A) – all’art. 416 c.p.. per essersi associato con i coindagati ed altri soggetti non identificati al fine di commettere più delitti previsti dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12;

B)- all’art. 110 c.p. e D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12, comma 1 e comma 3, lett. a) e d), art. 3 bis e art. 3 ter, lett. b), per avere compiuto, a fini di lucro ed in concorso, attività dirette a procurare l’ingresso in Italia di 64 clandestini di nazionalità egiziana e di sesso maschile;

commessi in territorio egiziano e di (OMISSIS);

C)- all’art. 110 c.n. per avere opposto resistenza e violenza contro una nave da guerra;

commesso il (OMISSIS) in acque territoriali italiane a 0,4 miglia x 118^ da (OMISSIS) nel territorio di (OMISSIS).

Rilevava in proposito, previo richiamo al contenuto dell’impugnata ordinanza e di quella primigenia del GIP del Tribunale di Modica il quale, confermato il fermo dell’indagato ed applicata la misura cautelare si era dichiarato incompetente ex art. 27 c.p.p., che dalle dichiarazioni di tre cittadini extracomunitari sbarcati a (OMISSIS) la notte tra il (OMISSIS) e dagli ulteriori atti di indagine emergeva:

– che il viaggio, intrapreso da località vicino a (OMISSIS) assieme ad altri soggetti che intendevano raggiungere l’Europa, era stato pagato corrispondendo la somma di Euro 2000,00 ciascuno ad un soggetto di nazionalità egiziana;

– che il peschereccio che li trasportava giunto in prossimità delle coste italiane, mentre l’equipaggio era in procinto di calare in mare una scialuppa per il trasporto a terra dei clandestini, era stato intercettato da alcune unità navali della Guardia di Finanza che lo avevano bloccato dopo aver esploso alcuni colpi di arma da fuoco;

– che il coindagato K.N.A., riconosciuto fotograficamente ed indicato con il nome di S. dal teste S. K.A., aveva rappresentato a quest’ultimo di avere rapporti con cittadini extracomunitari in Sicilia disponibili a collaborare sia per una sistemazione in loco dei nuovi giunti, sia per il loro trasferimento in altre località. Tutti e tre i clandestini riconoscevano, nel corso delle S1T, l’indagato S.M. K., così come i coindagati K.N.A. e A.A., come membri dell’equipaggio. Le loro dichiarazioni erano confermate, secondo l’assunto del tribunale, dalla circostanza che all’interno della cabina di comando del peschereccio la PG aveva rinvenuto i documenti di identità di S. M.K. e K.N.A. i quali, plausibilmente, avevano accesso alla plancia invece interdetta ai semplici trasportati e dovevano fare rientro in Egitto dopo lo sbarco dei clandestini. Quanto al reato associativo la sua sussistenza era logicamente desumibile, nei termini probabilistici confacenti alla natura cautelare del giudizio, dalle modalità organizzative dispiegate per l’operazione e dalle condotte partecipative emerse a carico dell’indagato. Riguardo al delitto previsto dall’art. 1100 c.n. risultava, secondo il tribunale, che il tentativo di fuga posto in essere dall’imbarcazione con a bordo i clandestini sia stato attuato con modalità (tentativi di speronamelo lancio di cime in mare per danneggiare i motori delle unità navali della Guardia di Finanza) da impedire o comunque ostacolare l’esercizio delle funzioni di polizia marittima che i militari svolgevano nella specifica circostanza. Nel reato, proprio e tipico del comandante o dell’ufficiale della nave, è ipotizzato, dall’art. 1100 c.n., comma 2, che possa concorrere anche soggetto che detta qualifica non riveste in particolare, come nel caso di specie, il componente dell’equipaggio.

Riguardo alle esigenze cautelari rileva il tribunale esse sono presunte in base al disposto del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12, comma 4 bis, e non vi sono allegazioni difensive idonee a superare la presunzione legale iuris tantum che impone l’applicazione della custodia cautelare in carcere, piuttosto, al contrario, le modalità esecutive della condotta criminosa e la spregiudicatezza dimostrata dagli indagati, collegata alla loro intraneità ad organizzazione criminale di particolare spessore, inducono ad un giudizio prognostico di sussistente pericolo di reiterazione criminosa.

2.- Avverso l’ordinanza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione l’avvocato Salvatore Citrella, difensore di S.M.K., per i seguenti motivi:

1) Violazione dell’art. 191 c.p.p. in relazione all’art. 63 c.p.p., comma 2 per avere i giudici posto a fondamento dell’ordinanza gravata atti probatori acquisiti in violazione di precise norme di legge e quindi inutilizzabili.

Sostiene il ricorrente difensore che è del tutto certo ed evidente, sulla base degli atti acquisiti che i testi E.H., M. D. e S.K.A., sentiti a sommarie informazioni dalla PG, sin dal primo momento della loro audizione erano attinti da non equivoci indizi circa la commissione da parte loro del reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10 bis per avere fatto ingresso in Italia in violazione delle disposizioni dello stesso D.Lgs..

Che i testi fossero indagabili derivava, poi, dalle univoche attestazioni contenute negli atti di PG, per cui gli operanti non potevano ignorare la circostanza; ne consegue che le loro dichiarazioni in ossequio al disposto dell’art. 63 c.p.p., comma 2, non potevano essere utilizzate.

Si trattava infatti di indagati di reato connesso con quelli di cui all’art. 416 c.p. e D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12, comma 3, contestati a A.A., che furono posti in essere proprio al fine di consentire l’ingresso illegale nel territorio dello stato, punito a norma dell’art. 10 bis citato, dei cittadini extracomunitari sentiti a sommarie informazioni.

L’inosservanza delle norme processuali di cui all’art. 191 c.p.p., e art. 63 c.p.p., comma 2, anche in relazione a quanto previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12, comma 1, lett. c) e art. 371, comma 2, lett. b) costituisce motivo di annullamento dell’ordinanza.

2) Manifesta illogicità della motivazione riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il delitto di cui all’art. 416 c.p., comma 6, ed erronea applicazione della legge penale sul punto.

11 tribunale, secondo l’assunto difensivo sovrappone del tutto l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 110 c.p. e D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12 contestata al capo 2), alla fattispecie associativa ascritta al capo 1), facendo discendere la prova del delitto associativo dalla sola constatazione dell’avvenuta commissione del reato di cui all’art. 12 citato.

In sostanza i giudici del riesame ricavano l’esistenza dell’associazione a delinquere dall’unico delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina contestato in concorso agli indagati formulando una mera congettura, sfornita di qualsivoglia riscontro in atti, anche in relazione al giudizio di verosimiglianza espresso in relazione alla asserita indeterminatezza del programma criminoso della presunta associazione. L’erronea applicazione dell’art. 416 c.p. consiste nell’avere ravvisato la sussistenza della fattispecie associativa sulla base di un unico, ipotizzato, reato "line" contestato agli indagati nella forma del concorso di persone nel reato così facendo venir meno la distinzione tra reato associativo e la compartecipazione criminosa a titolo di concorso. 3) Vizio di motivazione per mancanza e manifesta illogicità con riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12.

Il giudizio espresso dal tribunale in proposito si fonda sull’acritico richiamo alle sommarie informazioni rese alla PG da E.H., M.D. e S.K.A., che a prescindere dai rilievi circa la loro utilizzabilità, è comunque logicamente insufficiente a sostenere la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Le loro dichiarazioni, infatti, differiscono quanto al ruolo assunto dai tre indagati, dello specifico ruolo dell’indagato parla solo S.K.A., mentre gli altri nulla dicono pur mostrando di conoscerlo.

Il mero richiamo al passaggio di cibo ed acqua ai clandestini è poi elemento neutro rispetto all’ipotesi di reato contestata e il giudizio circa la riconducibilità di una delle carte di identità trovate nell’imbarcazione (quella intestata a A.M.A. A.E., nato il (OMISSIS)) all’indagato è apodittico .

Infine le dichiarazioni degli indagati non sono state in alcun modo valutate dal tribunale a cagione dei mancati approfondimenti investigativi da parte della PO. Tutti e tre gli indagati; infatti nonostante i tre cittadini extracomunitari sentiti avessero parlato di un equipaggio composto di più di tre persone e gli indagati avessero rivolto dichiarazioni accusatorie nei confronti del soggetto rinvenuto ferito nei pressi della plancia di pilotaggio, le investigazioni circa la sua identità ed il suo ruolo nel corso della traversata , sono del tutto assenti in atti.

3.- Il Procuratore Generale Dott. Enrico Delehaye ha chiesto che il ricorso sia rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

1.- In primo luogo sono del tutto prive di rilevanza giuridica le censure mosse dal ricorrente con il primo motivo di ricorso.

In proposito basti la considerazione che i tre cittadini extracomunitari E.H.M.D. e S.K. A., sulle cui dichiarazioni rese alla PG è fondato in molta parte, anche se non solo, il grave quadro indiziario valutato dai giudici di merito, non potevano e non possono essere considerati imputabili del reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10 bis, come introdotto dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 1, comma 16 lett. a).

Infatti il loro ingresso nel territorio dello stato non si è realizzato in violazione delle disposizioni del testo unico sull’immigrazione ma è avvenuto nell’ambito delle attività di polizia giudiziaria e polizia marittima condotte la notte tra il (OMISSIS) nelle acque antistanti (OMISSIS), a seguito delle quali, non senza difficoltà e anche facendo uso delle armi, era stato prima inseguito, poi abbordato e fermato un motopesca di nazionalità non italiana a bordo del quale si trovavano diversi stranieri, tra cui i tre testimoni. Il peschereccio era stato, quindi, scortato con le persone trovate a bordo, sino al porto di (OMISSIS) per gli accertamenti e l’espletamento delle altre attività resesi necessarie, tra le quali anche l’assunzione a sommarie informazioni testimoniali dei soggetti informati sui fatti perchè presenti a bordo del natante. Se anche i tre stranieri sentiti a sommarie informazioni dalla polizia giudiziaria erano chiaramente intenzionati – ed in tal senso avevano posto in essere le attività necessarie ed univocamente orientate a raggiungere lo scopo – a fare ingresso, e forse anche a trattenersi, nel territorio dello stato italiano senza l’osservanza delle disposizioni del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, la loro condotta sino all’intervento delle unità navali della guardia di finanza – dopo il quale l’ingresso nel territorio italiano non è stato volontario ma coatto – non ha raggiunto la soglia della imputabilità in relazione all’ipotesi di reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10 bis per il quale, in quanto fattispecie contravvenzionale, non è prevista la punibilità del irtentativo.

E’ quindi destituita di fondamento la censura attinente la asserita violazione del disposto dell’art. 63 c.p.p., comma 2, e la conseguente inutilizzabilità, anche ai sensi dell’art. 191 c.p.p., delle dichiarazioni rese da E.H., M.D. e S. K.A..

2.- Ugualmente infondate sono le doglianze esposte nel secondo motivo di ricorso. Invero il ragionamento argomentativo del tribunale non è, come allegato dal ricorrente, manifestamente illogico, nè l’affermata sussistenza di gravi ed univoci indizi della sussistenza della fattispecie associativa è desunta dalla sola commissione del reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12.

Attraverso un procedimento di deduzione logica, del tutto legittimo ed ancorato alle risultanze probatorie acquisite ed esaminate, il tribunale nelle modalità organizzative dispiegate per l’operazione – come i mezzi di trasporto (camion muniti di cassoni con copertura, piccoli natanti per il trasporto sull’imbarcazione principale, essa stessa adatta per la traversata dalle coste africane alla Sicilia), le strutture logistiche (quali le basi di ricovero approntate in Egitto per il soggiorno dei clandestini in attesa della partenza, dotate per il loro sostentamento anche prolungato nel tempo), il numero di persone che a vario titolo e con ruoli differenti avevano contribuito prestando la loro opera- ha ravvisato, con una prognosi di probabilità adeguata alla fase cautelare, gli indicatori specifici della non occasionalità dell’evento e dell’esistenza di un vincolo associativo, tendenzialmente stabile, tra diversi soggetti per il compimento di una serie indeterminata di delitti servendosi delle strutture organizzative, materiali ed umane, a ciò predisposte, sicuramente sovrabbondanti ed antieconomiche se finalizzate ad una isolata ed unica attività di trasporto di migranti clandestini.

La condotta partecipativa dell’indagato è stata correttamente collegata dai giudici del riesame ai ruoli dallo stesso svolti che, alla stregua di quanto riferito dai testi già citati, erano stati quelli di indicare ai clandestini il posto da occupare sottocoperta, di distribuire i viveri ai passeggeri nel corso della traversata inoltre, secondo quanto riferito in particolare da S.K. A., veniva chiamato con l’appellativo di rais dagli altri componenti dell’equipaggio e aveva guidato la lancia con i due motori fuori bordo poi abbandonata dopo l’intervento della Guardia di Finanza.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, invero, la condotta partecipativa nel reato associativo si concretizza nella prestazione, da parte del soggetto intraneo, di un effettivo contributo, che può essere anche minimo e di qualsiasi forma e contenuto, purchè destinato a fornire efficacia al mantenimento in vita della struttura o al perseguimento degli scopi di essa (Cass. Sez. 1, sent. 24.6.1992, n. 8064, Rv. 191309; Cass. Sez. 2, sent.

15.10.2004, n.49691, Rv. 233070), condotta partecipativa che ben può essere integrata, come nel caso di specie, con il fornire il proprio contributo nella sistemazione a bordo e nel controllo dei clandestini trasportati, nella distribuzione dei generi di prime necessità, quali il cibo, dei quali essi necessitavano durante il trasporto in nave, nel condurre i natanti necessari per trasportare i clandestini dalla barca madre alla terra ferma.

3.- Infine anche il terzo motivo di ricorso, concernente la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12, è, al pari dei precedenti, infondato. A prescindere dalle considerazioni già svolte riguardo alle altre doglianze, che ben possono essere utilizzate anche con riferimento all’ultima censura del ricorrente, è sufficiente evidenziare come la asserita non sovrapponibilità delle dichiarazioni rese dai tre testi già citati, i quali peraltro non danno versioni contraddittorie ma semplicemente quantitativamente diverse quanto a portata accusatoria nei confronti dell’indagato, non sminuisce la rilevanza indiziaria ed individualizzante di quelle da ciascuno rese, che confluiscono in un compendio di elementi sicuramente solido e comprensivo delle attività di controllo dei passeggeri, di distribuzione del cibo e di conduzione dei natanti adoperati per il trasferimento dei clandestini dalla nave madre alla terra ferma. Su questo quadro di consistente rilevanza indiziaria ben si inserisce l’ulteriore dato costituito dalla carta di identità rinvenuta nella plancia di comando del peschereccio, che il tribunale ritiene riconducibile all’indagato e che la difesa invece, con considerazioni del tutto generiche ed aspecifiche, contesta.

Altrettanto generiche e prive di rilevanza sono le considerazioni finali relative alle dichiarazioni accusatone rese dall’indagato, e degli altri due indagati con lui arrestati per le stesse imputazioni, nei confronti di altro soggetto presente sull’imbarcazione e rimasto ferito nel corso delle operazioni di fermo del natante da parte della guardia di finanza.

Il ruolo eventualmente svolto da tale soggetto non incide, per quel che è dato rilevare anche alla stregua delle fumose allegazioni difensive, in questa fase incidentale e prodromica su quelli che sono gli elementi indizianti, numerosi e solidi, evidenziati a carico di S.M.K..

4.- Conclusivamente, per le ragioni sopraesposte, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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