Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-09-2011) 28-11-2011, n. 44011 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con ordinanza in data 21 luglio 2010 La Corte di assise di appello di Reggio Calabria, in funzione di giudice dell’esecuzione, decidendo sulle istanze proposte da M.C., respingeva:

– la richiesta di applicare l’indulto sulla pena di anni 30 di reclusione, determinata ex art. 78 c.p. e non, come già fatto con ordinanza 15.11.2006 dallo stesso giudice dell’esecuzione, previo scioglimento del cumulo, con applicazione del beneficio sulla pena complessiva inflitta per tutti i reati non ostativi, successiva aggiunta alla pena risultante di quella inflitta per i reati ostativi e rideterminazione, poi, della pena complessiva entro il limite massimo di anni 30;

la richiesta di applicazione della disciplina della continuazione tra il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso giudicato dalla Corte di assise di appello di Reggio Calabria nella procedimento denominato "(OMISSIS)" ed il delitto di tentato omicidio aggravato in danno di G.V., giudicato nel processo denominato "(OMISSIS)";

– la richiesta subordinata di applicazione della disciplina della continuazione ai reati giudicati con le sentenze: – 8.10.1985 della Corte di appello di Genova per ricettazione falsificazione di un modulo di patente B commessi l'(OMISSIS); – 29.3.1989 della Corte di appello di Genova per violazione della legge sugli stupefacenti, detenzione abusiva di armi e ricettazione commessi il (OMISSIS); – 7.1.1990 della Pretura di Genova per evasione commessa il (OMISSIS); – 15.4.1996 della Corte di appello di Genova per violazione della legge sugli stupefacenti consumata dal (OMISSIS); – 11.6.1997 della Corte di appello di Genova per violazione della legge sugli stupefacenti commessa dal (OMISSIS);

– la richiesta di applicazione della disciplina della continuazione anche in relazione alla libertà vigilata determinata nel cumulo in esecuzione in anni nove.

Sulla prima richiesta la Corte territoriale riteneva che il procedimento di cui all’art. 174 c.p. invocato dal M. si debba seguire quando tutte le pene siano omogeneamente condonabili, qualora, invece, talune non rientrino nell’indulto, occorre procedere allo scioglimento del cumulo stesso, applicare il beneficio solo sulle pene condonabili indi procedere ad un nuovo cumulo unificando le pene non condonabili con la parte di quelle condonabili che è residuata ed effettuando, poi, la riduzione di cui all’art. 78 c.p. solo sul nuovo cumulo.

Sulla seconda richiesta riteneva che, così come deciso con quattro precedenti ordinanze, nonostante le nuove deduzioni difensive non vi era dubbio che il tentato omicidio in danno di G.V. aveva costituito la risposta ad un precedente analogo episodio delittuoso commesso in danno al M. a seguito di contrasti per il mancato pagamento di vari quantitativi di droga, dunque non poteva considerarsi avvinto dal vincolo della continuazione con il reato di associazione a delinquere per il quale aveva riportato condanna nel processo cd. "(OMISSIS)".

Quanto alla terza richiesta la Corte osservava che la causale del tentato omicidio escludeva che potesse configurarsi l’unicità del disegno criminoso tra quel delitto e le diverse violazioni della disciplina sugli stupefacenti giudicati dalla Corte di appello di Genova, tutte relative ad episodi di anni prima quando non era, ovviamente, prevedibile il mancato pagamento dello stupefacente con il conseguente attentato in pregiudizio del M. e la successiva azione ritorsiva di risposta in danno del G.. Neppure era ravvisabile l’unicità del disegno criminoso tra il tentato omicidio G. e ed i reati di ricettazione e falsificazione di un modulo di patente e di evasione. Riguardo all’ultima richiesta la corte rilevava che l’istituto della continuazione riguarda le pene e non le misure di sicurezza.

2- Avverso l’ordinanza propone ricorso l’avvocato Antonino Napoli, difensore di M.C., per i seguenti motivi:

a)- Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata rideterminazione della pena ex art. 78 c.p. e art. 174 c.p., comma 2, ad anni 30 da ridurre per applicazione dell’indulto. b)- Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati di cui alla sentenza emessa nel cd. processo "(OMISSIS)" e quelli di cui alla sentenza 5.3.2002 della Corte di assise di appello di Reggio Calabria per il reato di tentato omicidio nell’ambito del processo cd. "(OMISSIS)". Erroneamente la corte ha escluso che il tentato omicidio G. non rientrasse nel programma associativo della consorteria mafiosa per l’appartenenza alla quale il ricorrente era stato condannato con la sentenza n. 6) del provvedimento di cumulo.

Nell’istanza rivolta alla Corte di assise di appello era stato evidenziato come le motivazioni della sentenza di secondo grado dovevano essere lette unitamente a quelle della pronuncia di primo grado, tale integrale lettura, infatti, consente di rilevare che l’interpretazione che vuole il solo movente della vendetta personale del M. per il tentato omicidio di G.V. è riduttiva, e che le motivazioni dei due attentati, il primo contro il M. ed il secondo contro il G., vanno ricercate nel traffico di droga gestito a Genova da soggetti provenienti dalla Calabria, tra i quali si creavano contrasti a cagione del mancato pagamento di rifornimenti di varia entità. In tale ottica riduttiva infatti non si comprendono la confessione carceraria di Z. G. e la conversazione ambientale in cui il 7.6.1991 la sorella del M. legge a F.S. una lettera del fratello che scrive che tali E. e S. sono in carcere al (OMISSIS) e che con il benestare di P. potevano essere eliminati. c)- Violazione di legge e vizio di motivazione per il mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra il reato di tentato omicidio di cui alla sentenza 5.3.2002 della Corte di assise di appello di Reggio Calabria, relativa al processo cd. "(OMISSIS)", e le sentenze riportate ai nn. 1), 2), 3), 4) e 5) del cumulo. In particolare il giudice dell’esecuzione non ha tenuto conto che con ordinanza del 7.8.1999 la Corte di appello di Genova aveva applicato la disciplina della continuazione per i fatti giudicati con le sentenze 29.3.1989 della Corte di appello di Genova, 15.4.1996 della Corte di appello di Genova e 11.6.1997 della Corte di appello di Genova e che proprio in contrasti per il pagamento di forniture di stupefacente era da individuare, come dalla stessa corte territoriale affermato, la causale del tentato omicidio del G..

3.- Il Procuratore Generale presso questa Corte dott. Carmine Stabile, con atto depositato il 21 aprile 2011 chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile con le conseguenti statuizioni.

Motivi della decisione

1.- Il ricorso è manifestamente infondato.

2.- Riguardo al primo motivo di ricorso rileva il Collegio come in materia di applicazione dell’indulto con riferimento a condanne sulle quali sia stato applicato il criterio moderatore di cui agli artt. 78 e 80 c.p., la giurisprudenza di questa Corte ritiene che "nel determinare, ai sensi dell’art. 663 cod. proc. pen., la pena da eseguirsi nel caso di esistenza, a carico del medesimo soggetto, di pene temporanee detentive concorrenti, il giudice dell’esecuzione, a norma degli artt. 78 e 80 cod. pen., deve dapprima scorporare dal cumulo materiale la somma delle pene estinte per indulto, in quanto non più concretamente eseguibili per l’intervento della causa estintiva, e solo successivamente applicare il criterio moderatore del cumulo giuridico, ponendosi tale criterio come temperamento legale del coacervo delle sole pene da eseguirsi effettivamente, senza possibilità di inclusione in esso delle pene già coperte dal condono, le quali, altrimenti, verrebbero a godere di un duplice abbattimento, dapprima fruendo dell’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen. e poi del loro scorporo integrale dal cumulo giuridico" (tra le tante: Cass. Sez. 1, sent.

18.6.2004, n. 31211, ric. Perrasetti, RV 229799; Cass. Sez. 1, sent.

13.11.2007, n. 46279, ric. Patanè, RV 238427; Cass. Sez. 1, sent.

11.2.2010, n. 8115, ric. Di Rocco, RV 246386).

Va quindi ribadito che la regola di cui all’art. 174 c.p., comma 2, secondo la quale "nel concorso di più reati, l’indulto si applica una sola volta, dopo cumulate le pene, secondo le norme concernenti il concorso di reati", opera solo alla condizione che tutte le pene siano condonabili, giacchè nessuna causa di estinzione della pena può incidere su un cumulo che comprenda pene sulle quali la stessa causa non può esplicare i suoi effetti. In questa ipotesi, quindi, devono separarsi le pene condonabili da quelle non condonabili e, poi, procedere unificando le pene non condonabili con la parte di quelle condonabili che è residuata dopo l’applicazione del condono ed effettuando la riduzione prevista dall’art. 78 c.p. solo all’esito di tale operazione.

E’ poi irrilevante la circostanza che la applicazione di tale principio renda di fatto inoperante il riconoscimento dell’indulto, in quanto la pratica inoperatività dell’effetto estintivo dell’indulto deriva dal fatto che la pena, pur ridotta per la corretta applicazione del beneficio indulgenziale, entrando nel cumulo, porta la pena complessivamente determinata con calcolo aritmetico a livelli superiori a quelli previsti dal cumulo giuridico e lascia invariato il limite massimo, anche se il beneficio potrebbe operare giuridicamente ad altri eventuali fini.

Il criterio moderatore del cumulo giuridico si pone infatti come temperamento legale del coacervo delle sole pene da eseguirsi effettivamente, senza possibilità di inclusione in esso delle pene già coperte da condono, le quali, altrimenti, verrebbero a godere di un duplice abbattimento, dapprima fruendo della applicazione del criterio mediatore di cui all’art. 78 c.p. e poi del loro scorporo integrale dal cumulo giuridico (v. Cass. N. 31211 del 2004, rv.

229799 citata; Cass., Sez. 1, sent. 6.3.2008, n. 12709, ric. Di Giovanni, Rv. 239377).

La tesi del ricorrente per cui l’indulto andrebbe applicato sulla pena di anni 30 già determinata ex art. 78 c.p., è priva di fondamento giuridico e comunque errata anche sistematicamente poichè il provvedimento di cumulo deve essere riesaminato e modificato tutte le volte in cui si verifica un qualsiasi fatto nuovo, che può consistere in una nuova condanna o nel riconoscimento della fungibilità o di un periodo di presofferto, ma anche in un provvedimento di clemenza, come nel caso di specie.

3.- Del pari manifestamente infondati sono gli altri due motivi di ricorso concernenti il mancato riconoscimento del vincolo della continuazione, con essi, infatti il ricorrente più che individuare singoli punti dell’ordinanza gravata da sottoporre a censura, si limita ad alcune formulazioni astratte in ordine ai principi che regolano l’istituto della continuazione, per poi diffondersi in una ricostruzione in fatto – con amplissima riproduzione di brani di atti di indagine e di parti di sentenze dei quali invero spesso omette di indicare il preciso filo conduttore e la specifica rilevanza – volta ad accreditare una ricostruzione diversa da quella che la corte territoriale ha evinto – e giustificato con iter argomentativo solido e logicamente consequenziale – dall’esame delle sentenze in relazione alle quali era richiesta l’applicazione dell’istituto della continuazione.

3.2. – Secondo la ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis Cass. Sez. 1, 12.5.2006, n. 35797) la continuazione presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti alla mente del reo, almeno a grandi linee, nella loro specificità, situazione che va tenuta distinta dalla mera inclinazione, da parte del reo medesimo, a reiterare nel tempo reati della stessa specie, anche quando tale propensione alla reiterazione sia dovuta ad una scelta di vita deviante. Tra gli indici rivelatori dell’identità del disegno criminoso devono essere apprezzati la distanza cronologica tra i fatti, le modalità della condotta, la tipologia dei reati, il bene protetto, l’omogeneità delle violazioni, la causale, le circostanze di tempo e di luogo. Qualora sussista anche solo taluno di detti indici il giudice deve accertare se sussista o meno la preordinazione di fondo che cementa le singole violazioni. Ai fini dell’applicazione della disciplina del reato continuato ex art. 671 c.p.p. la cognizione del giudice dell’esecuzione dei dati sostanziali di possibile collegamento tra i vari reati va eseguita sulla base del raffronto del contenuto decisorio delle sentenze di condanna conseguite alle azioni od omissioni che si assumono essere "in continuazione" (Cass. Sez. 1, 16.1.2009, n. 3747, RV 242537).

La decisione del giudice di merito non è sindacabile in sede di legittimità quando la sua motivazione, a mente di quanto dedotto dall’istante, dia atto dell’avvenuto raffronto del contenuto delle sentenze in termini di verifica di tutti quegli indicatori (distanza cronologica tra i fatti, modalità della condotta, tipologia dei reati, bene protetto, omogeneità delle violazioni, causale, circostanze di tempo e di luogo, elemento soggettivo) dai quali possa essere desunta, ovvero esclusa, quella unicità del disegno criminoso presupposto per l’applicazione della disciplina della continuazione.

3.3.- Nel caso di specie il giudice dell’esecuzione, richiamando quattro precedenti decisioni sul medesimo punto, ha escluso con argomentazione congrua, adeguata e ampiamente valutativa del contenuto decisorio delle sentenze di cui trattasi, che potesse essere ravvisato il vincolo della continuazione tra il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso giudicato dalla Corte di assise di appello di Reggio Calabria nella procedimento denominato "(OMISSIS)" ed il delitto di tentato omicidio aggravato in danno di G.V., giudicato nel processo denominato "(OMISSIS)".

Ha, infatti, rilevato, con giudizio di merito non sindacabile in questa sede di legittimità, che anche a volere ritenere, sulla base delle deduzioni nuove dell’istante, che le causali del tentato omicidio fossero anche altri rispetto a quanto affermato nelle precedenti ordinanze, esso costituiva, in ogni caso, per il M. una risposta al precedente episodio delittuoso, verificatosi il (OMISSIS) in pregiudizio del M. medesimo, per dei contrasti relativi al mancato pagamento di diversi quantitativi di droga, per cui, stante tale accertata genesi in ordine al movente, non poteva essere configurata la continuazione con il delitto di associazione a delinquere per il quale il ricorrente era stato condannato alla pena di anni sei di reclusione quale appartenente al gruppo mafioso "Zagari". 3.4.- Considerazioni analoghe valgono anche con riguardo alla doglianza relativa al mancato riconoscimento della continuazione tra il reato di tentato omicidio in danno di G.V. e quelli giudicati con le sentenze: – 8.10.1985 della Corte di appello di Genova per ricettazione falsificazione di un modulo di patente B commessi l'(OMISSIS); 29.3.1989 della Corte di appello di Genova per violazione della legge sugli stupefacenti, detenzione abusiva di armi e ricettazione commessi il (OMISSIS); – 7.1.1990 della Pretura di Genova per evasione commessa il (OMISSIS); – 15.4.1996 della Corte di appello di Genova per violazione della legge sugli stupefacenti consumata dal (OMISSIS); – 11.6.1997 della Corte di appello di Genova per violazione della legge sugli stupefacenti commessa dal (OMISSIS).

In relazione a tali reati infatti la corte territoriale, oltre a ravvisare la disomogeneità tra il tentato omicidio e la ricettazione e falsificazione di un modulo di patente B e l’evasione compiuta nel 1990, evidenzia in particolare come le violazioni della normativa sugli stupefacenti, commesse tra il (OMISSIS), oltre ad essere state compiute diversi anni prima del tentato omicidio, non potevano essere state ideate unitamente allo stesso non potendo essere logicamente concepibile che già da allora fosse prevedibile il mancato pagamento di alcune partite di droga, il conseguente attentato ai danni del M. dal quale scaturì il successivo e consequenziale tentato omicidio posto in essere nei confronti di G.V..

4.- Per le ragioni sopraesposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna al pagamento delle spese della procedura e – non emergendo motivi di esonero – di una somma alla cassa delle ammende, congruamente determinabile in Euro 1.000,00 (mille).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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