Cass. civ. Sez. I, Sent., 15-06-2012, n. 9855 Intermediazione finanziaria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 9 ottobre 2004 l’avv. S.D. citò in giudizio dinanzi al Tribunale di S. Maria Capua Vetere la San Paolo Invest Sim – Società d’Intermediazione Mobiliare s.p.a. (che in prosieguo sarà indicata come San Paolo) e, premesso di avere sottoscritto alcune polizze assicurative c.d. index linked, offertegli dalla società convenuta per il tramite di un proprio promotore finanziario, il sig. G.S., sostenne di aver poi scoperto che tali polizze erano di contenuto diverso da quello che gli era stato prospettato ed imputò al promotore ed alla San Paolo di aver violato le regole di comportamento contemplate dalla normativa in tema di servizi d’intermediazione finanziaria, con particolare riguardo agli obblighi d’informazione cui l’intermediario è tenuto nei confronti del cliente. L’attore chiese perciò che i contratti da lui sottoscritti fossero dichiarati nulli, ovvero annullati, e che la società convenuta fosse condannata a restituire le somme ricevute in esecuzione di detti contratti ed risarcirlo del danno subito.

Instaurato il contraddittorio, nelle forme previste dal D.Lgs. n. 5 del 2003, la società convenuta provvide a chiamare in causa anche il sig. G..

Il tribunale rigettò le domande dell’attore, il quale propose gravame anche a nome e per conto dei figli allora minorenni, A. e Sa., beneficiari delle polizze assicurative di cui si discute.

Con sentenza resa pubblica il 13 maggio 2010 la Corte d’appello di Napoli dichiarò inammissibile l’impugnazione proposta dall’avv. S. in nome dei figli, che non erano stati parte del giudizio di primo grado, e rigettò quella proposta dal medesimo avv. S. in proprio.

Detta corte infatti ritenne che non avessero fondamento le eccezioni sollevate dall’appellante in ordine all’adozione del procedimento speciale previsto dal citato D.Lgs. n. 5 del 2003, in luogo del più appropriato procedimento ordinario, sia in quanto occorreva a tal fine aver riguardo al modo in cui la domanda era stata prospettata, a prescindere dalla corretta qualificazione giuridica, sia in quanto l’appellante non avrebbe potuto dolersi di un vizio processuale al quale egli stesso aveva dato causa, sia in quanto non era stato evidenziato nessuno specifico pregiudizio per il diritto di difesa dell’attore, in conseguenza dell’adozione di quel rito, sia infine perchè l’eventuale nullità della sentenza di primo grado, pronunciata da un giudice collegiale invece che monocratico, avrebbe comunque implicato la necessità per il giudice d’appello di pronunciarsi nel merito della vertenza senza apprezzabili differenze quanto all’esito del giudizio. Del pari infondata fu reputata la doglianza dell’avv. S. concernente la mancata instaurazione di un formale procedimento di verifica dell’autenticità della firma apposta dalla sua defunta moglie in calce ad una delle polizze assicurative dedotte in causa, giacchè la corte territoriale reputò che il difetto di acquisizione di scritture di comparazione o di perizie grafologiche non implicasse l’assenza di un procedimento di verificazione della predetta scrittura, la cui autenticità era stata motivatamente affermata dal tribunale sulla base del confronto con un documento prodotto in causa dall’attore e tenendo anche conto del tenore delle sue stesse difese. Da ultimo, il giudice d’appello osservò che la qualificazione da parte del tribunale come assicurativi, e non finanziari, dei prodotti sottoscritti dall’appellante non era stata oggetto di specifica impugnazione e che, pertanto, non poteva nella specie trovare applicazione l’invocata disciplina del testo unico della finanza (D.Lgs. n. 58 del 1998); ed aggiunse che, comunque, la violazione delle regole di comportamento dell’intermediario contemplate in detto testo unico ed invocate dall’avv. S. non avrebbe potuto di per sè determinare la nullità dei contratti da costui stipulati con la San Paolo e che, quanto al preteso risarcimento, era mancata qualsiasi prova non solo dell’entità ma dell’esistenza stessa di un danno.

Per la cassazione di tale sentenza l’avv. S.D. ed i sigg.ri S.A. e Sa. hanno proposto congiuntamente ricorso per quattro motivi.

La San Paolo ha resistito con controricorso e successiva memoria, mentre nessuna difesa ha svolto in questa sede il sig. G..

Motivi della decisione

1. Col primo motivo i ricorrenti sostengono che sono stati violati gli artt. 102 e 354 c.p.c., giacchè sussisterebbe una situazione di litisconsorzio necessario coinvolgente la posizione dei figli S. A. e Sa., quali beneficiari delle polizze assicurative sottoscritte dal padre, oltre che quali coeredi della defunta madre, anch’essa beneficiarla di una di tali polizze. La corte d’appello, lungi da dichiarare l’inammissibilità del gravame a suo tempo proposto dall’avv. S. a nome dei figli, i quali non erano stati parte del giudizio di primo grado, avrebbe dovuto rilevare, anche d’ufficio, l’originario difetto d’integrità del contraddittorio ed avrebbe dovuto quindi rimettere le parti dinanzi al tribunale.

La doglianza è manifestamente infondata.

Il terzo beneficiario della prestazione pattuita dalle parti del contratto non acquista la posizione, nè formale nè sostanziale, di contraente. Tanto meno, dunque, lo si potrebbe qualificare litisconsorte necessario nella causa promossa dallo stipulante per far dichiarare la nullità del contratto, deducendo un proprio interesse, o per ottenere un risarcimento del danno da lui asseritamente subito in conseguenza del comportamento contrattuale della controparte.

2. Non è meritevole di accoglimento nemmeno il secondo motivo di ricorso, focalizzato sul rilievo secondo cui erroneamente il giudizio di primo grado si è svolto in conformità al cosiddetto rito societario (previsto dalle disposizioni allora vigenti del D.Lgs. n. 5 del 2003), per poi concludersi con una decisione collegiale anzichè monocratica.

E’ in contrario assorbente la considerazione che, come già puntualmente rilevato dalla corte d’appello, dal mutamento di rito nessun concreto pregiudizio risulta essere derivato al diritto di difesa degli odierni ricorrenti, i quali anche in questa sede si sono limitati ad affermazioni del tutto generiche in ordine al fatto che sarebbe stato loro in tal modo precluso di "confrontarsi con l’autorità giudiziaria prima delle pertinenti decisioni sull’ammissione dei mezzi di prova" e che, nel discutere dell’istanza di verificazione di una scrittura privata disconosciuta, sarebbe stato "impedito un diretto confronto col giudice unico".

Affermazioni, queste, palesemente inidonee ad evidenziare una qualsivoglia effettiva e concreta compressione del diritto di difesa della parte, che si sia riflessa sulla decisione assunta dal giudice, poichè da esse non emerge in alcun modo che vi sia stato un impedimento alla formulazione di istanze o difese o che su queste il giudice non si sia pronunciato nel pieno contraddittorio delle parti.

Resta poi fermo – ed è anch’esso decisivo – il rilievo della corte d’appello secondo cui, comunque, i denunciati vizi del procedimento o della sentenza di primo grado, dei quali qui si discute, non avrebbero comunque determinato la rimessione delle parti dinanzi al tribunale, ma avrebbero pur sempre richiesto alla corte d’appello di pronunciare sul merito della domanda, come in realtà è avvenuto.

3. Il terzo motivo di ricorso, col quale si censura l’impugnata sentenza perchè erroneamente avrebbe considerato esperito con esito positivo il procedimento di verificazione della firma apparente della defunta consorte dell’avv. S. in calce ad una polizza assicurativa, è inammissibile (e sarebbe altrimenti improcedibile).

Il ricorso non riporta infatti il contenuto nè di tale polizza, nè degli atti processuali afferenti al disconoscimento ed all’istanza di verificazione su cui la censura si fonda, e neppure – quel che più conta – indica detta polizza e detti atti processuali con la specificità richiesta dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in modo tale cioè da consentirne l’immediata e sicura individuazione nel fascicolo di parte allegato al ricorso (i suaccennati documenti neanche poi risultano depositati nelle forme prescritte dal successivo art. 369, n. 4).

Non è dato pertanto neppure valutare appieno quale sia la reale decisività, nell’economia complessiva del giudizio, della questione sollevata.

4. L’ultimo motivo del ricorso è volto a ribadire la tesi secondo la quale le polizze di cui si discute avrebbero, in realtà, natura non già di prodotti assicurativi bensì di prodotti finanziari. Ne deriverebbe che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte d’appello, sarebbero nella specie applicabili le disposizioni del testo unico della finanza (D.Lgs. n. 58 del 1998), ed in particolare quella dell’art. 23, che pone a carico dell’intermediario finanziario l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta.

Anche questa censura è destituita di fondamento: per l’assorbente considerazione che, contrariamente a quanto mostra di ritenere il ricorrente, la norma appena citata non esenta l’investitore dall’onere, non soltanto di allegare l’inadempimento delle obbligazioni gravanti sull’intermediario nella prestazione dei servizi d’investimento, ma anche di fornire la prova del danno e del nesso di causalità (in tal senso Cass. 17 febbraio 2009, n. 3773).

Prova che la corte d’appello, con una valutazione di merito non sindacabile in questa sede e comunque non idoneamente censurata, ha escluso sia stata fornita nel caso in esame.

5. Al rigetto del ricorso, per le ragioni sopra succintamente esposte, fa seguito la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2012

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