Cass. civ. Sez. I, Sent., 15-06-2012, n. 9853 Amministratori

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente impugna la sentenza 2.2.2006, n. 568 della Corte d’Appello di Roma che, respingendo il proprio appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 9.5.2001, confermò l’intervenuto accoglimento, da parte del primo giudice, della domanda della curatela del Fallimento Generale di gestione e servizi s.r.l. diretta all’affermazione della responsabilità L. Fall., ex art. 146, di R.M. e con condanna alle spese del grado. L’attuale ricorrente era stato convenuto in giudizio, a titolo di mala gestio riferita alla fallita società ed al periodo 1985-1992, riportando una condanna risarcitoria a L. 7 miliardi, riconducibile dal tribunale, nell’ambito di un contesto di violazioni contabili ed amministrative, al depauperamento del patrimonio sociale connesso a due significative operazioni di sviamento dell’utilizzo delle risorse della s.r.l. La responsabilità venne invero acclarata per la devoluzione integrale di un mutuo fondiario, contratto dalla fallita, a favore di una società collegata, a sua volta poi fallita, senza garanzie e corrispettivi, nè iniziative recuperatorie e per la prestazione alla medesima società terza di fidejussioni per circa L. 4 miliardi, senza valutazione del rischio nè accantonamenti, a fronte di un consistente successivo sbilancio fallimentare, tra attivo (realizzato per L. 2.350 mila circa) e passivo (accertato per L. 8.970 mila circa).

Il tribunale respinse l’eccezione di prescrizione dell’azione, svalutando l’invocata esimente dell’attribuzione a R. solo di poteri di amministrazione ordinaria e delle approvazioni assembleari del suo operato.

Con l’appello, per quanto qui di interesse, R. contestò:

a) ogni rapporto di causalità fra l’inadempimento della società mutuataria e la rimproverata omessa fissazione di un termine a restituire le somme erogate;

b) l’inesattezza del dies a quo del termine della prescrizione dell’azione, indicando la preesistenza al fallimento dell’insufficienza patrimoniale societaria;

c) il collegamento delle omesse iniziative recuperatorie alla sua precedente cessazione dalla carica;

d) la censurabilità delle omissioni della curatela quanto alla produzione di elementi d’indagine raccolti, anche a comprova di altra eziologia del dissesto, con riferimento ad un terzo;

e) infine, in comparsa conclusionale, la sopravvenuta preclusione normativa all’azione di responsabilità promuovibile dalla curatela di società a responsabilità limitata o quanto meno per quelle spettanti ai creditori ex art. 2394 cod. civ..

La corte d’appello rigettò tale ultima eccezione, prospettando un’interpretazione della L. Fall., art. 146 con richiamo in senso sostanziale e non formale alla disciplina civilistica, dunque di per sè idoneo a sopravvivere, anche quanto all’azione sociale, al mancato rimando – quanto alle s.r.l. e nell’art. 2476 cod. civ. – del regime riassunto dall’art. 2394-bis cod. civ. che, dopo la riforma societaria del D.Lgs. n. 5 del 2003, conferisce all’organo concorsuale le azioni di responsabilità regolate, per le s.p.a., dagli articoli a quello anteriori.

In ogni caso, si escluse ogni influenza della novella sulle azioni già intraprese e relative a fatti generatori di responsabilità realizzatisi nel periodo di vigenza del pregresso regime. La corte, condividendo l’autonomia delle due azioni confluite nella L. Fall., art. 146, ne dichiarò, rispettivamente, l’avvenuta prescrizione, quanto a quella spettante alla società, ex art. 2393 cod. civ., per intervenuta scadenza del quinquennio dell’amministratore R. dalla carica ed invece il tempestivo incardinamento di quella spettante ai creditori ex art. 2394 cod. civ., difettando specifici elementi diversi, da rinvenire nella sentenza dichiarativa di fallimento, che ricostruissero l’insufficienza del patrimonio sociale da epoca diversa da quella della pronuncia stessa, secondo un onere a carico dell’eccipiente convenuto. Tale onere non risultò assolto stante sia l’inconferenza dei fattori recati a tale prova (tra cui l’esiguità del capitale sociale rispetto all’acquisto immobiliare) sia la positiva prova del contrario (essendo emerse solo dalle indagini in sede fallimentare attività amministrative e del R. di occultamento ai terzi delle operazioni pregiudizievoli alla società).

La corte ribadì il nesso eziologico tra il mancato recupero delle somme date a mutuo, senza adeguata costituzione di garanzie, alla società Sarteur s.p.a. e l’assenza di iniziative efficaci di rientro. La determinazione da parte di R. stesso dell’incauta posizione di rischio rendeva non rilevante il richiamo alla successione nella carica di terzi quale fonte di esimente o interruzione del descritto nesso di causalità rispetto al danno patrimoniale, aggravato anzi dalla concessione immotivata di garanzie verso terzi.

Ulteriore addebito confermato riguardò la consapevole omissione, in capo a R., dei suoi doveri di amministratore unico, essendosi egli prestato ai voleri altrui (domini o amministratori di fatto), al solo scopo di conseguire il compenso promessogli. Parimenti infondata fu ritenuta la censura afferente all’incompletezza di utilizzo della documentazione acquisita in sede concorsuale, in realtà riversata tutta agli atti, nè contestata per i punti specificatamente oggetto di asserita trascuratezza.

Il ricorso è affidato a quattro motivi e resistito con controricorso;

parte contro ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

Con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 2393, 2394, 2394- bis cod. civ., art. 146, contestandosi la legittimazione da parte del curatore, anche dopo la riforma societaria, all’azione di responsabilità dei creditori sociali, dovendosi invero inquadrare la stessa mancata previsione di un’azione in capo ai creditori sociali come una conseguenza coerente del riformulato complesso normativo delle s.r.l., rivisto all’insegna di un’opzione marcatamente contrattualistica ed a vantaggio di situazioni piuttosto valorizzanti la posizione del socio. Tale ricostruzione avrebbe poi trovato nella riforma fallimentare di cui al D.Lgs. n. 5 del 2006 una conferma, per il generico rinvio del novellato L. Fall., art. 146 alle azioni di responsabilità contro gli amministratori, dunque al descritto assetto duale del codice civile.

Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 2393, 2394, 2394-bis cod. civ., art. 81 cod. proc. civ. e L. Fall., art. 146 sul punto relativo alla immediata applicabilità della nuova disciplina delle azioni di responsabilità degli amministratori di s.r.l., contestandosi la irretroattività della nuova disciplina societaria, ove intesa – come ipotizzato dalla sentenza impugnata – con effetto abrogativo dell’azione dei creditori sociali, stante la natura straordinaria e sintetica dell’azione di responsabilità esperibile dal curatore.

La modifica delle disposizioni civilistiche avrebbe così sottratto base normativa alla norma fallimentare, implicando un sopravvenuto difetto di legittimazione del curatore, incidendo la riforma sulle condizioni dell’azione e pertanto producendo, anche sui giudizi in corso, la improcedibilità degli stessi. Ulteriore conseguenza sarebbe altresì l’avvenuta prescrizione dell’azione del curatore, che residuerebbe solo per i profili dell’azione sociale.

Con il terzo motivo si deduce omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa la conoscibilità da parte dei terzi dell’insufficienza del patrimonio sociale della fallita, deducendo la avvenuta prescrizione dell’azione, al momento della domanda, in quanto già dai bilanci – in particolare da quello approvato il 30.6.1994, pubblicato il 20.7.1994 e riferito all’esercizio 2003 – i creditori sociali si sarebbero potuti accorgere della reale situazione societaria e dunque ben prima della dichiarazione di fallimento.

Con il quarto motivo si deduce omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa la prova dell’inosservanza da parte del ricorrente degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale e la prova del rapporto causale tra concessione del prestito e insufficienza patrimoniale della fallita. Nega il ricorrente che le mancate iniziative recuperatorie, per un biennio dall’erogazione del finanziamento e fino alla cessazione dalla carica (nel 1992), integrino ragione di responsabilità: su quel credito, pur non incassato, maturavano interessi, l’aggravamento della situazione della debitrice Sarteur s.p.a. emerse solo dopo il passaggio ad altri dell’amministrazione, comunque si trattava di finanziamento infragruppo con vantaggi compensativi non considerati dalla sentenza impugnata, la delibera era stata assunta all’unanimità dai soci e con l’avallo dei sindaci, l’insolvenza della fallita aveva altre cause, risalenti ad atti successivi alla gestione di R. e non coincidenti con il detto mutuo.

La controricorrente avversa la domanda respingendo, perchè infondati, tutti i motivi.

1. Il primo ed il secondo motivo, da trattarsi congiuntamente per evidente connessione, sono infondati. Va premesso che l’azione del curatore è stata esercitata nell’originaria vigenza degli artt. 2393- 2394 cod. civ., anteriori alla modifica di cui al D.Lgs. n. 3 del 2003 ed altresì della L. Fall., art. 146, anteriore alle modifiche del D.Lgs. n. 3 del 2006 e che al ricorso si applica la disciplina delle impugnazioni avanti alla Corte di cassazione valevoli per il regime delle pronunce anteriori al 2.3.2006.

Osserva il Collegio che, dal coordinamento della L. Fall., art. 146, nel testo applicabile ratione temporis e della L. Fall., art. 240 (immutato anche dopo la riforma del D.Lgs. n. 5 del 2006), nelle sedi civile e penale, il curatore risultava legittimato in via esclusiva all’esercizio delle azioni per il risarcimento dei danni arrecati alla società e per quelli subiti dai creditori sociali, riferendosi in particolare la prima disposizione all’intero novero delle azioni esperibili da società e creditori sociali, data la sua matrice storica coeva al varo del codice civile e dunque il riferimento, da intendersi come rinvio sostanziale, allo spettro delle azioni civilistiche ivi dettate (Cass. 17121/10).

I limiti della presente fattispecie – azione di responsabilità promossa prima delle due citate riforme – circoscrivono conseguentemente i richiami alle novelle – societaria e fallimentare – nel senso che nessuna di esse vale ad escludere, alla stregua di elementi normativi sopravvenienti e sulla base di un’assorbente considerazione di diritto intertemporale, la menzionata estensione tipologica dell’iniziativa del curatore, cioè riferita all’azione sociale ed a quella dei creditori sociali, da un lato ed a quella anche delle società a responsabilità limitata, dall’altro.

La precedente considerazione, in punto di specialità conferita alla norma fallimentare, rende superato e non accoglibile il motivo già ove esso insista nel predicare un’influenza assorbente della sopravvenuta disciplina societaria – e ciò indipendentemente dalla sua portata, qui non in esame – al fine di giustificare la venuta meno della condizione dell’azione di responsabilità del curatore, in corso di causa, ad essa aggiungendosi la circostanza che comunque tale azione continuerebbe a restare regolata dalla disciplina vigente al momento del suo esercizio, pacificamente anteriore ai citati mutamenti normativi, dato il suo riferirsi a rapporti giuridici esauriti. Sul versante societario, parimenti, la novella concorsuale del D.Lgs. n. 5 del 2006 non sembra aver operato in alcun senso abrogativo del modello organizzativo e della responsabilità, anche verso i creditori sociali, delle compagini per le quali, nella vigenza del precedente assetto normativo, i fatti di responsabilità si fossero già verificati.

Sul finire della illustrazione del secondo motivo, il ricorrente ha proposto una richiesta di declaratoria di prescrizione dell’azione sociale di responsabilità che, in quanto in realtà esplicitamente pronunciata dalla sentenza impugnata, rende tale ragione di censura non comprensibile oltre che priva di pertinenza, per difetto di interesse al ricorso, anche per questa considerazione privo di fondamento.

2. Il terzo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

La sentenza impugnata ha invero correttamente e logicamente motivato sul punto della conoscibilità da parte dei terzi dell’insufficienza del patrimonio sociale della debitrice fallita: ben individuato tale momento per il computo del dies a quo della prescrizione quinquennale dell’azione di responsabilità dei creditori sociali, esso è stato collocato in epoca non anteriore alla sentenza di fallimento, escludendosi che il predetto squilibrio compromettente i fini satisfattivi fosse pianamente percepibile dalle scritture contabili, l’andamento dei conti correnti e la corrispondenza interna degli organi, flussi informativi tutti gravemente dissimulanti l’esposizione finanziaria verso la società collegata Sarteur s.p.a.

Detta azione, come ripetuto nel formante interpretativo di legittimità, "proposta dai creditori sociali ovvero, in caso di fallimento della società, dal curatore del fallimento, nei confronti degli amministratori e dei sindaci di una società di capitali è soggetta al termine di prescrizione quinquennale, che inizia a decorrere dal momento in cui il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti e può anche essere anteriore alla data dell’apertura della procedura concorsuale;

l’onere di provare che l’insufficienza del patrimonio sociale si è manifestata ed è divenuta conoscibile prima della dichiarazione di fallimento grava sull’amministratore o sul sindaco che eccepisce la prescrizione e non può essere assolto mediante la generica deduzione, non confortata da utili elementi di fatto, secondo cui l’insufficienza patrimoniale si sarebbe manifestata già al momento della messa in liquidazione della società, in quanto questo procedimento non è necessariamente determinato dalla eccedenza delle passività sulle attività patrimoniali, mentre la perdita integrale del capitale sociale neppure implica la consequenziale perdita di ogni valore attivo del patrimonio sociale." (Cass. 241/05, ripresa da Cass. 17121/10). Va invero ricordato che l’azione di responsabilità esercitata dal curatore del fallimento, pur avendo natura contrattuale e carattere unitario ed inscindibile, risulta pur sempre dalla "confluenza in un unico rimedio delle due diverse azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c." (Cass. 17121/10; 25977/08), per cui ciascuna di esse conserva autonomi profili di esperibilità: assodato il quinquennio quale comune regime di prescrizione, quello relativo all’azione sociale decorre, ai sensi dell’art. 2949 c.c., comma 1, dal prodursi del danno a carico della stessa società, operandovi – come riconosciuto, nel caso, dai giudici d’appello – la causa di sospensione inerente agli amministratori in carica, ex art. 2941 c.c., n. 7 e dunque con iniziale computo dalla relativa cessazione;

per l’azione dei creditori sociali, il termine, ai sensi dell’art. 2949 c.c., comma 2, decorre dal momento in cui il patrimonio sociale si manifesti insufficiente al soddisfacimento dei creditori sociali, secondo un regime di plausibile percezione, altrimenti espresso come "aggettiva conoscibilità della situazione patrimoniale in cui versa la società" (Cass. 19051/11; 9619/09) ovvero anche sussistenza di "fatti sintomatici di assoluta evidenza" (Cass. 8516/09).

La decisione impugnata ha rilevato che nessun elemento di retrodatazione di tale insufficienza fenomenica emergeva dalla sentenza di fallimento, nè l’appellante era andato oltre una allegazione del bilancio quale fonte di apprezzamento della negatività della situazione patrimoniale in capo ai creditori, così non superando l’onere della prova su di lui incombente.

Ed invero il giudice del merito ha condivisibilmente motivato l’assenza di pregio dell’ulteriore elemento allegato dal ricorrente e consistente nel richiamo alla subvalenza del capitale sociale rispetto al valore di acquisto di un immobile, trattandosi di circostanza in sè priva di concludenza.

Per parte sua, nel ricorso, R. non ha meglio identificato – se non indicando genericamente "la sede di conclusionale" – ove egli avrebbe censurato le risultanze delle indagini svolte in sede fallimentare, mediante consulenze contabili e riversate agli atti del giudizio civile di responsabilità, ma senza individuarle o riportarle, così infrangendo il principio di autosufficienza del ricorso, per questa parte inammissibile, non possedendo le critiche mosse alle risultanze contabili ed alle consulenze acquisite in sentenza un grado di specificità tale da consentire alla Corte di legittimità di apprezzarne la decisività direttamente in base al ricorso (Cass. 13845/07; 17369/04).

3. Il quarto motivo è inammissibile. Al di là della novità della questione dei vantaggi compensativi, allegata in ricorso e senza alcuna indicazione della sua avvenuta rituale introduzione nel giudizio di merito, parte ricorrente ha invocato una generale riconsiderazione, a sè favorevole, degli elementi assunti dalla sentenza impugnata come fondativi sia della violazione dei doveri statutari e legali di conservazione del patrimonio sociale, sia del nesso di causalità che ha legato l’indebitamento verso una collegata (poi fallita) e la erogazione ad essa del ricavo di un mutuo assunto in proprio e senza alcuna indicazione di corrispettività o anche solo utilità per la società concedente.

In tal modo l’affermata mala gestio risulta solo avversata verbalmente ma non contrastata per la ricostruzione motivazionale che ne ha dato la decisione oggetto di ricorso. La parte ha così fatto valere, inammissibilmente, "la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al proprio diverso convincimento soggettivo e, in particolare, prospettando un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni ali1 ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata (Cass. 7394/10), ben apparendo invero logica, oltre tutto, l’attribuzione di responsabilità a chi eroga un prestito, su provvista acquisita con impegno di risorse proprie (da mutuo ipotecario) senza alcuna istruttoria e poi non lo riscuote per lungo tempo, senza iniziative verso il debitore, cosi come irrilevante – ai fini di esonero dalla responsabilità – l’approvazione assembleare delle scelte amministrative, inopponibile al fallimento attore, stante l’esercizio da parte del curatore di un’azione spettante alla massa concorsuale (Cass. 17033/08; 17021/10).

4. Il ricorso va dunque respinto. Quanto al regolamento delle spese, se ne dispone la liquidazione, nella misura indicata in dispositivo, secondo le regole della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso ai sensi di cui in motivazione; condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione in favore della controricorrente, che si liquidano in Euro 20.200,00, di cui 20.000,00 per onorari e 200,00 per spese, oltre a spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2012

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