Cass. civ. Sez. I, Sent., 15-06-2012, n. 9843 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso del 15.05.2008, D.N.V. adiva la Corte di appello di Bari chiedendo che il Ministero dell’Economia e delle Finanze, che non si costituiva in giudizio, fosse condannato a corrisponderle l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001, per la violazione dell’art. 6, sul "Diritto ad un processo equo", della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848.

Con decreto del 30.09-21.10.2008, l’adita Corte di appello, dichiarava inammissibile la domanda per inosservanza del termine decadenziale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, ritenendo:

– che la D.N. aveva chiesto l’equa riparazione del danno subito per effetto dell’irragionevole durata del processo iniziato dal suo dante causa, D.M., e protrattosi dinanzi alla Corte dei Conti (sezione giurisdizionale della Regione Puglia) dal 21.04.1995 al 5.11.2004, data della decisione favorevole, depositata il 19.11.2004, processo volto all’esecuzione di una precedente pronuncia della medesima Corte in materia pensionistica ed alla corresponsione degli interessi legali;

– che la sentenza conclusiva del 19.11.2004 era passata in giudicato il 4.01.2006, stante anche l’assenza di appello e la natura straordinaria della pur consentita impugnazione per revocazione.

Contro questo decreto la D.N. ha proposto ricorso per Cassazione, affidato ad un unico motivo, illustrato da memoria e notificato il 19.10.2009 al Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha resistito con controricorso notificato il 27.11.2009.

Motivi della decisione

A sostegno del ricorso la D.N. denunzia "Violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 89 del 2001, art. 4, con il R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 68, lett. a) e del R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, art. 137, e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3".

La ricorrente si duole che la Corte del merito l’abbia erroneamente dichiarata decaduta dalla domanda di equa riparazione, siccome proposta con ricorso del 15.05.2008 oltre il termine semestrale decorrente dalla data del 4.01.2006, di passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, che aveva definito il processo presupposto e che, a suo parere, non avrebbe potuto reputarsi definitiva dal momento che, alla stregua del quadro normativo in rubrica, era ancora possibile esperire contro di essa il rimedio della revocazione ordinaria per errore di fatto. Conclusivamente formula il seguente quesito di diritto "Se nei giudizi in materia pensionistica innanzi alla Corte dei Conti il mezzo di impugnazione della revocazione previsto dal R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 68 lett. a), si configuri quale revocazione ordinaria la cui esperibilità impedisce alla sentenza di acquistare stabilità di cosa giudicata e, per l’effetto, la decadenza del termine semestrale di cui all’art. 4 della L. n. 89 del 2001, debba decorrere da tale passaggio in giudicato in luogo di quello annuale".

Il ricorso non merita favorevole apprezzamento.

Legittima la statuizione impugnata l’esegesi della speciale disciplina contenuta nel T.U. delle leggi sulla Corte dei Conti di cui al R.D. n. 1214 del 1934, art. 68 e nel regolamento di procedura di cui al R.D. n. 1038 del 1933, art. 110, condotta ed integrata alla luce delle disposizioni in materia di revocazione, contenute nel codice di rito, cui rinvia il R.D. n. 1038 del 1933, art. 26.

In linea con i condivisi principi già affermati da questa Corte nelle sentenze n. 14987/2006 e n. 15778/2010 ed in coerenza col sistema processuale ordinario, devono, infatti, ritenersi impugnabili per revocazione solo le sentenze emesse in grado d’appello o in unico grado e non, quindi, la sentenza conclusiva del giudizio presupposto nella specie assunto a base della domanda di equa riparazione, resa in primo grado dalla sezione regionale della Corte dei Conti, che non è stata appellata nei termini e che è, pertanto, divenuta definitiva L. n. 89 del 2001, ex art. 4.

Ai sensi del D.L. n. 453 del 1993, art. 1, comma 5, avverso le sentenze pronunciate dalle sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti, salvo quanto disposto in attuazione dell’art. 23 dello statuto della Regione Sicilia, è consentito l’appello alle sezioni giurisdizionali centrali solo per motivi di diritto, che, secondo consolidata esegesi, può essere equiparato al ricorso per Cassazione del rito civile, sì che le Sezioni centrali della Corte provvedono in veste di giudici della legittimità (Cass. 14987/06).

Trattasi di impugnazione di natura ordinaria, seppur a critica vincolata, che ha retto al vaglio di legittimità del giudice delle leggi (Cost. n. 84/203), con la conseguenza che, laddove tale rimedio non venga esperito nel termine breve dalla notifica della decisione ovvero in quello c.d. lungo decorrente dalla sua pubblicazione, si forma il giudicato ai sensi dell’art. 324 c.p.c., nel senso che quella pronuncia diviene inoppugnabile, non potendo proporsi nei suoi confronti ulteriori impugnazioni ordinarie e segnatamente revocazione ordinaria, sicchè è a tale momento che va riferito il dies a quo del termine semestrale di decadenza previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4.

La linearità di questa sistematica non può ritenersi alterata dal possibile esperimento del rimedio della revocazione previsto dal R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 68, secondo cui "le decisioni della Corte dei Conti possono essere impugnate per revocazione, tanto dalle parti quanto dal Pubblico Ministero, nel termine di tre anni quando, a) vi sia stato errore di fatto o di calcolo; b) per l’esame di altri conti o per altro modo si sia riconosciuta omissione o doppio impiego; c) si siano rinvenuti nuovi documenti dopo pronunciata la decisione, d) il giudizio sia stato pronunciato sopra documenti falsi. Negli ultimi tre casi decorsi i tre anni il ricorso per revocazione dovrà presentarsi nel termine di giorni trenta dal riconoscimento della omissione o doppio impiego, dalla scoperta di nuovi documenti dalla notizia venuta al ricorrente della dichiarazione di falsità dei documenti, salvi tuttavia gli effetti della prescrizione trentennale". Questa disposizione, il cui dettato, ridotto ad una mera elencazione dei casi di revocazione, è sfornito di ulteriori indicazioni di carattere procedimentale, va necessariamente letta in coerenza col dettato dell’art. 395 c.p.c., che disciplina in generale il rimedio revocatorio in discorso e di cui recepisce per logico corollario la distinzione tra i casi di revocazione straordinaria, di cui alle lettere b) c) e d), in cui non vigono limiti temporali salvo quello stabilito a decorrere dalla conoscenza del fatto, e quello di revocazione ordinaria nell’altro caso contemplato sub a), in relazione al quale il termine triennale assume carattere di specialità rispetto a quello annuale previsto dal codice di rito, decorso il quale la decisione diviene definitiva, termine che logicamente si riferisce alle pronunce emesse in unico grado o in secondo grado, sì che alla scadenza di quel termine triennale va riferito il termine semestrale previsto dalla L. n. 9 del 2001, art. 4, di cui si discute. Diversamente, nell’ipotesi, che ricorre nella specie secondo quanto emerge dalla narrativa della vicenda risultante dagli atti, in cui il giudizio pensionistico si sia concluso con sentenza pronunciata in primo grado e contro questa decisione non sia stato proposto l’appello innanzi alla sezione centrale della Corte dei Conti, il rimedio della revocazione va applicato a lume del disposto dell’art. 396 c.p.c., che prevede che le sentenze per le quali è scaduto il termine per l’appello possono essere impugnate per revocazione "straordinaria" nei casi dei nn. 1, 2, 3 e 6 del precedente art. 395 c.p.c. (1.-dolo di una delle parti in danno dell’altra. 2.- dichiarazione di falsità delle prove. 3.- scoperta di documenti decisivi. 6.- dolo del giudice, corrispondenti alle ipotesi di cui alle lett. b-c- e d- del citato art. 68), se tali fatti vengono accertati dopo la scadenza del termine per l’appello.

Negli altri due casi di revocazione "ordinaria" previsti dal medesimo art. 395 c.p.c., in cui il dies a quo per la revocazione decorre dalla notificazione della sentenza o in mancanza dalla sua pubblicazione, laddove, per quel che rileva, l’errore di fatto risulti mentre è ancora pendente il termine per l’appello, quel motivo si converte in motivo di nullità della sentenza e in logica necessaria consecuzione in motivo d’appello. Scaduto il termine per proporre l’appello, la sentenza pronunciata dalla sezione regionale della Corte dei Conti, al pari della sentenza del giudice ordinario, acquista autorità di cosa giudicata formale ai sensi dell’art. 324 c.p.c., nel senso che non sono più esperibili contro di essa gli ordinari mezzi d’impugnazione, sì che a quella data va collocato il dies a quo del termine semestrale previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4.

Il ricorso, pertanto, deve essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente, soccombente, al pagamento, in favore dell’Amministrazione controricorrente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Respinge il ricorso e condanna la D.N. al pagamento in favore del Ministero delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 8 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2012

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