Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 18-06-2012, n. 9972 Licenziamento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 29/05/2008 il Tribunale di Palermo dichiarò illegittimo il licenziamento intimato dalla SOMAT S.p.a., con nota del 10/08/2006, nei confronti del proprio dipendente C. G., Direttore di Macchina, perchè "in data 3 Agosto 2006, durante il turno di lavoro sul rimorchiatore Paul impegnato nella manovra di disormeggio della Barge Crawler, alle ripetute richieste del Sig. L.B., Comandante del rimorchiatore, di andare a presidiare la sala macchine durante il periodo di manovra, per la sicurezza ed il buon andamento della stessa, anzichè aggirarsi in coperta senza alcuna mansione da svolgere, si rifiutava categoricamente di eseguire l’ordine del Comandante, rivolgendosi allo stesso in maniera oltraggiosa …, il tutto alla presenza dei Sig.ri C. e M.".

Ordinò quindi, alla società convenuta in giudizio, di reintegrarlo nel posto di lavoro e di risarcirgli il danno, versandogli una indennità commisura alla retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento a quella dell’effettiva reintegrazione, nonchè a regolarizzarne la posizione previdenziale ed al rimborso delle spese di lite.

Contro tale pronuncia ha proposto appello la SOMAT S.p.a, lamentandone l’erroneità. Resisteva al gravame il C..

Espletata attività istruttoria, con sentenza depositata il 19 maggio 2010 la Corte d’appello di Palermo accoglieva il gravame e respingeva la domanda proposta in primo grado dal C.. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso quest’ultimo, affidato a tre motivi.

Resiste la SOMAT s.p.a. con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 7, commi 3 e 4 del c.c.n.l. "per il personale imbarcato sulle unità adibite al servizio di rimorchio delle navi ed al soccorso delle navi" in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., nonchè omessa motivazione circa un fatto controverso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. L’art. 7 in questione stabilisce, al comma 3 che "Il lavoratore, entro cinque giorni da quando ha ricevuto la contestazione di cui sopra, potrà formulare, per iscritto, le sue eventuali giustificazioni. Il lavoratore, se lo richiede in sede di giustificazioni scritte, può essere sentito a sua difesa con l’assistenza di un rappresentante dell’organizzazione sindacale a cui aderisce o conferisce mandato. L’audizione deve avvenire entro due giorni dalla richiesta".

11 comma 4 dispone che "l’Armatore, valutate le giustificazioni del lavoratore, e, comunque, dopo dieci giorni dall’avvenuto ricevimento della lettera di contestazione, potrà irrogare una delle seguenti sanzioni disciplinari, in proporzione alla gravità dei fatti contestati" tra cui licenziamento.

Deduce il C. che il quarto comma del menzionato art. 7, precludeva al datore di lavoro di adottare la sanzione disciplinare prima del decorso di tale termine. Che nella specie la contestazione era stata ricevuta il 7 agosto 2006, il successivo 10 agosto erano pervenute le giustificazioni del lavoratore, e lo stesso 10 agosto 2006 era stato irrogato, a suo avviso illegittimamente, il licenziamento.

Il motivo è infondato.

Ritiene infatti la Corte che la norma contrattuale in questione (art. 7, comma 4), direttamente esaminabile dal giudice di legittimità ai sensi del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, preveda sostanzialmente due ipotesi: quella in cui il lavoratore abbia presentato le sue difese, disponendo che l’armatore, valutate le stesse, possa irrogare la sanzione del caso, e l’ipotesi in cui il lavoratore non abbia fornito alcuna difesa, nel qual caso l’armatore potrà comunque irrogare la sanzione trascorsi (inutilmente) dieci giorni dalla contestazione. E’ del resto innegabile l’analogia col meccanismo previsto al riguardo dalla legge (art. 7, comma 5, L. n. 300 del 1970), pacificamente interpretato da questa Corte nel senso che "il termine di cinque giorni dalla contestazione dell’addebito, prima della cui scadenza è preclusa, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 5, la possibilità di irrogazione della sanzione disciplinare, è funzionale soltanto ad esigenze di tutela dell’incolpato, mentre deve escludersi, in difetto di qualsiasi dato testuale, che la previsione di tale spazio temporale sia stata ispirata anche dall’intento di consentire al datore di lavoro un’effettiva ponderazione in ordine al provvedimento da adottare ed un possibile ripensamento; ne consegue che il provvedimento disciplinare può essere legittimamente irrogato anche prima della scadenza del termine suddetto allorchè il lavoratore abbia esercitato pienamente il proprio diritto di difesa facendo pervenire al datore di lavoro le proprie giustificazioni, senza manifestare alcuna esplicita riserva di ulteriori produzioni documentali o motivazioni difensive (Cass. sez. un. 7 maggio 2003 n. 6900; Cass. 14 febbraio 2004 n. 2873; Cass. 9 febbraio 2012 n. 1884).

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., nonchè dell’art. 32 e art. 41 Cost., comma 2, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 3), nonchè omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Lamenta in particolare che la corte di merito, ritenne, all’esito delle risultanze istruttorie, che il rifiuto di eseguire l’ordine di recarsi in sala macchine (mentre era in corso un’attività di rimorchio) fosse assolutamente immotivato, avendo i testi sostanzialmente riferito che il direttore di macchina era tenuto ad effettuare sopralluoghi in sala macchine, e grave poichè occorso durante la navigazione (pur precisando i testi che al momento del fatto contestato l’imbarcazione era ferma), confondendo così quest’ultima con l’attività di rimorchio, caratterizzata da specifiche e maggiori norme di sicurezza, che sconsigliavano la presenza in sala macchine, come emerso da talune testimonianze e dall’appendice al c.c.n.l. di categoria, ove si evidenziavano i pericoli di collisione ed instabilità del natante nella fase di rimorchio.

Ne conseguiva che il C. si era semplicemente sottratto ad un ordine illegittimo, in quanto in contrasto con le norme di legge invocate, e segnatamente con l’art. 2087 c.c..

Il motivo è inammissibile.

Ed invero esso sottopone alla Corte un riesame delle circostanze di fatto e delle emergenze istruttorie (Cass. 6 marzo 2006 n. 4766;

Cass. 25 maggio 2006 n. 12445; Cass. 8 settembre 2006 n. 19274; Cass. 19 dicembre 2006 n. 27168; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4500; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394), ed inoltre, in contrasto col principio di autosufficienza, non contiene alcuna specificazione circa le dedotte e più restrittive norme di comportamento durante la fase di rimorchio, che secondo lo stesso ricorrente avveniva in zona portuale, avendo peraltro la corte di merito congruamente valutato che le norme di sicurezza in appendice al c.c.n.l. riguardavano essenzialmente la sicurezza dell’equipaggio in plancia.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia l’omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e cioè il carattere ritorsivo del licenziamento del C., conseguente un atteggiamento vessatorio e persecutorio da parte della società armatrice, come emergeva dalla documentata esclusione del ricorrente dalla composizione degli equipaggi del secondo e terzo rimorchiatore, che certamente giustificavano, o quanto meno ridimensionavano i toni avuti dal lavoratore nell’episodio contestato. Il motivo è inammissibile.

Dalla lettura della sentenza impugnata la questione non risulta dedotta in appello, nè il ricorrente, in contrasto col principio di autosufficienza, indica in quale atto ed in quali termini essa sarebbe stata sottoposta alla corte territoriale (Cass. ord. 30 luglio 2010 n. 17915). Peraltro viene denunciato un vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), laddove nella specie ricorrerebbe semmai un error in procedendo (la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, art. 112 c.p.c.), da far valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

4. Il ricorso deve dunque rigettarsi.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 40,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2012

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