Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 20-10-2011) 29-11-2011, n. 44125

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

C.S. ricorre avverso la sentenza 25.10.10 della Corte di appello di Firenze con la quale, in riforma di quella assolutoria in data 20.10.08 del Tribunale di Livorno-sezione distaccata di Portoferraio, è stato condannato, per il reato di furto aggravato, riconosciute attenuanti generiche equivalenti e con la concessione dei doppi benefici di legge, alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 300,00 di multa.

Deduce il ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnata sentenza, violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per non avere la Corte territoriale considerato che, come riferito dai testi N. e M., la stanza dell’albergo da cui era stato sottratto il telefono cellulare era ubicata al piano terra e la finestra della stessa era ad altezza da terra talmente minima da consentire a chiunque di accedervi dal davanzale e senza l’ausilio di alcun sostegno o appoggio e quindi del vaso su cui il C. – ex carabiniere incensurato – sarebbe stato notato dal N. poche ore dopo il furto in questione, oltre alla inverosimiglianza della immediata reiterazione del furto di altri oggetti il 29.4.04 entro la medesima camera di albergo e ai danni della stessa vittima, all’evidenza allertata in seguito al precedente furto subito.

Appariva invece logico – secondo la difesa – ritenere che il C. si trovasse intento a telefonare alla propria fidanzata, nel cortile dell’albergo dove si era portato per ottenere una migliore ricezione per il proprio cellulare, acquistato in precedenza da persona di cui l’imputato, pur non ricordando le generalità, aveva fornito le caratteristiche antropometriche indicandolo quale cameriere che prestava attività lavorativa presso il medesimo albergo, dovendosi infine osservare – conclude la difesa – che l’utilizzo del telefono rubato era avvenuto ad opera del C., con SIM legittimamente acquistate ed immediatamente riconoscibili, a distanza di diversi giorni dal furto e successivamente al primo utilizzo anonimo del medesimo apparecchio telefonico, avvenuto a mezzo di una SIM inspiegabilmente non intestata ad alcun soggetto, sicchè era manifestamente illogico ritenere che l’autore del furto potesse essere stato il C., come invece affermato dai giudici di appello.

Osserva la Corte che con il presente ricorso la difesa introduce considerazioni tendenti ad una diversa ricostruzione dei fatti, non consentita in sede di legittimità, a fronte di una valutazione del materiale probatorio, operata dai giudici di appello, che non si appalesa nè illogica nè contraddittoria, come invece sostenuto dal ricorrente.

La Corte fiorentina, premesso che l’imputato ha offerto, nel corso del suo interrogatorio – acquisito ai sensi dell’art. 513 c.p.p. – solo vaghi elementi in merito all’acquisto del telefono risultato di provenienza furtiva, non specificando nè il luogo, nè il periodo ("quasi al termine del rapporto lavorativo"), nè l’asserito collega che glielo avrebbe venduto, ha evidenziato di contro come sia risultato che il C. aveva avuto l’uso esclusivo e continuo di tale apparecchio (dal 22.5.04 al 13.1.05) che aveva utilizzato con la propria scheda (SIM card Wind) per effettuare telefonate verso la propria città di origine (Palermo), laddove le altre schede erano risultate semplicemente inserite nell’apparecchio ed utilizzate per un contatto con il servizio 4916 della TIM, quella in uso a Co.Mi. essendo risultata anche in contatto, una volta attraverso il cellulare rubato, con altra scheda del C., tanto che il teste S. – hanno rimarcato i giudici di appello – aveva osservato che il Co., "del 54", ben poteva identificarsi nel "padre della fidanzata" del C. alla quale quest’ultimo aveva infine regalato apparecchio e scheda.

Sulla base di tale coacervo probatorio, non certo contraddittoriamente ovvero illogicamente la Corte fiorentina è pervenuta alla affermazione di responsabilità del C., le cui censure alla impugnata sentenza non valgono a ritenere la decisione dei giudici di appello viziata ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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