Cass. civ. Sez. I, Sent., 18-06-2012, n. 9954 Intermediazione finanziaria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il 24 luglio 2003 il sig. T.A. citò in giudizio la Banca Agricola Mantovana s.p.a. davanti al Tribunale di Parma.

L’attore riferì di aver stipulato il 31 gennaio 2002 con detta banca un contratto, denominato "4 You", che contemplava un finanziamento dell’importo di Euro 8.529,75, da rimborsare nell’arco di quindici anni, vincolato all’acquisto di obbligazioni con uguale scadenza, emesse da un diverso istituto bancario appartenente al medesimo gruppo, e di quote di fondi comuni d’investimento azionario, istituiti da altre società collegate, costituite in pegno a garanzia della restituzione del finanziamento, e con l’aggiunta di una polizza assicurativa volta a consentire il completamento del piano finanziario anche in caso di morte o sopravvenuta grave invalidità del sovvenzionato.

Il sig. T. chiese al tribunale di dichiarare tale contratto nullo, per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto e per violazione delle disposizioni dettate dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e dalla normativa secondaria di attuazione, nonchè per contrasto con gli allora vigenti artt. 1469 bis, ter e quater c.c., ovvero di annullarlo per vizio del volere o per conflitto d’interessi, conseguentemente condannando la banca convenuta alla restituzione della somma ricevuta. In subordine propose anche domanda di risarcimento dei danni.

Nessuna di tali domande fu accolta dal tribunale ed il gravame proposto dal sig. T. fu rigettato dalla Corte d’appello di Bologna con sentenza depositata l’8 febbraio 2010.

La corte bolognese rilevò, anzitutto, l’inammissibilità di un primo motivo d’impugnazione nel quale l’appellante si era limitato a trascrivere le argomentazioni svolte nel precedente grado aggiungendo solo due documenti privi di rilevanza (il parere di un esperto circa la struttura generale del prodotto finanziario in discorso e la copia di un provvedimento sanzionatorio, emesso dalla competente autorità nei confronti di un diverso istituto bancario), senza però rivolgere specifiche censure alla sentenza del tribunale.

Per il resto, il giudice d’appello osservò che l’eventuale violazione, da parte dell’intermediario, dei propri obblighi informativi verso l’investitore o delle disposizioni concernenti situazioni di conflitto d’interesse non avrebbe comunque potuto determinare la nullità del contratto stipulato tra le parti; che tale contratto non appare nè indeterminato nè indeterminabile nel suo oggetto, risultando ben comprensibili i diversi elementi che lo compongono e gli obblighi reciproci che ne derivano, nè potendosi riscontrare in esso un significativo squilibrio a carico del consumatore; che la possibilità per l’intermediario di erogare finanziamenti in vista di operazioni su strumenti finanziari è espressamente prevista dalla normativa di settore; che non poteva esser predicata la vessatorietà del contratto nel suo insieme, nè di singole sue clausole, a cominciare da quella sugli obblighi dell’investitore in caso di recesso anticipato, sufficientemente chiara nella sua formulazione e non riconducibile alla fattispecie della clausola penale perchè invece compresa nell’alveo dell’art. 1373 c.c.; che non vi erano elementi di prova dell’asserito vizio del consenso da cui sarebbe stata inficiata la stipulazione del contratto, nè in particolare del fatto che il sig. T. potesse non aver compreso che l’acquisto di titoli da parte sua, senza alcun immediato esborso di denaro, implicava l’erogazione di un mutuo in suo favore ad opera della banca; che la sussistenza del conflitto d’interessi in cui versava la banca era ben evidenziata da, apposite clausole del contratto, specificamente sottoscritte dall’investitore;

che, per le sue caratteristiche, il prodotto finanziario in discussione non poteva dirsi inadeguato, rispetto al profilo personale del cliente; che, pertanto, neppure la domanda di risarcimento del danno era accoglibile.

Per la cassazione di tale sentenza il sig. T. ha proposto ricorso, articolato in due motivi, illustrati poi anche con memoria, al quale la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. (che ha incorporato la Banca Agricola Mantovana) ha replicato con controricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso in esame è in tutto simile ad un precedente ricorso, proposto da altra persona ma col ministero dello stesso difensore avverso una sentenza della Corte d’appello di Bologna che ha deciso una causa del medesimo tenore in cui pure era parte la Banca Agricola Mantovana.

Quel precedente ricorso è stato dichiarato inammissibile da questa corte con sentenza n. 8314 del 2012.

Non v’è alcuna ragione per addivenire ad una differente conclusione nella presente fattispecie.

Anche in questo caso, infatti, col primo motivo il ricorrente insiste nel denunciare la nullità del contratto a suo tempo stipulato con la controparte, richiamandosi agli artt. 1322, 1343, 1346 e 1418 c.c., oltre che agli artt. 1469 bis, ter e quater c.c., ora abrogati e sostituiti dall’art. 33 e segg. del codice del consumo; ed il secondo motivo attiene alla domanda di risarcimento del danno, a sostegno della quale il ricorrente continua ad invocare l’art. 21 del testo unico della finanza (D.Lgs. n. 58 del 1998) e le disposizioni regolamentari conseguentemente emanate dalla Consob.

Entrambi i motivi appaiono inammissibili. Nel primo di essi il ricorrente, dopo aver premesso di volersi soffermare sulle caratteristiche del contratto di cui si tratta prima di "ogni considerazione in merito ai macroscopici errori della corte d’appello", procede a descrivere i contratti denominati "4 You" e "My Way", che definisce come prodotti strutturati e sintetici, e svolge quindi una serie di considerazioni in ordine all’asserita contrarietà di tali contratti ad una molteplicità di disposizioni di legge imperative poste a tutela del pubblico risparmio, richiamando a sostegno di tale conclusione sia un’opinione di dottrina sia alcuni precedenti giurisprudenziali di merito.

Non una parola viene però spesa per individuare specificamente "i macroscopici errori della corte d’appello" cui il motivo inizialmente aveva alluso.

Ora si è già ricordato nella precedente parte narrativa di questa sentenza come la corte d’appello avesse espressamente dichiarato inammissibile, per difetto di specificità, un motivo di gravame col quale l’appellante, rifacendosi alla medesima opinione dottrinale anche in questa sede richiamata, aveva svolto considerazioni di ordine generale senza muovere censure puntuali alla pronuncia del tribunale. Il motivo di ricorso qui in esame non si duole di tale declaratoria d’inammissibilità, nè in alcun modo si pone l’obiettivo di dimostrare che il motivo d’appello a suo tempo formulato era invece ammissibile, ma sostanzialmente ne ripropone il contenuto, con l’aggiunta di alcuni argomenti già esposti nelle successive difese di secondo grado, ma omettendo sempre del tutto di confrontarsi con le ragioni per le quali quegli argomenti non sono stati considerati fondati dalla corte d’appello. Da ciò l’inammissibilità del primo motivo di ricorso.

Non diversamente è a dirsi per il secondo motivo, che ugualmente sviluppa argomenti corrispondenti a quelli già esposti nelle difese del giudizio di merito (ivi compreso il richiamo al provvedimento sanzionatorio del Ministero delle Finanze, cui già si era riferito il primo motivo d’appello dichiarato inammissibile dalla corte bolognese), senza mai menzionare, neppure di sfuggita, la sentenza di secondo grado che quegli argomenti ha ritenuto insufficienti ai fini dell’accoglimento del gravame. Eppure, come si è indicato sopra, la corte d’appello aveva analiticamente esaminato i punti controversi della causa e, per ciascuno di essi, aveva esposto una ben argomentata motivazione.

Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso fa seguito la condanna del ricorrente al pagamento, in favore della controparte, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per onorari e 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2012

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