Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19-10-2011) 29-11-2011, n. 44118

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

– che P.D. fu tratto a giudizio per rispondere del delitto di omicidio volontario, aggravato ex art. 61 c.p., n. 1, commesso, in concorso con i minori V.L. e P. F. (separatamente giudicati) in persona di Pr.Ni., il cui decesso si era verificato in occasione di una lite, scoppiata all’uscita da una discoteca, nel corso della quale, secondo l’accusa, egli era stato violentemente percosso, in particolare, da esso P.;

– che, all’esito del giudizio di primo grado,la corte d’assise ritenne il P. responsabile del reato di rissa aggravata, così modificata l’originaria imputazione, e lo condannò alla pena ritenuta di giustizia;

– che, proposto appello tanto dalla pubblica accusa quanto dalla difesa dell’imputato, la corte d’assise d’appello, in parziale accoglimento del primo di detti gravami, ritenne il P. responsabile del reato di omicidio preterintenzionale, esclusa peraltro l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1, e lo condannò alla pena di anni dodici di reclusione;

– che, a sostegno di tale decisione, ritenne, nell’essenziale, il giudice di seconde cure, che: – a) non potesse esservi dubbio, alla stregua delle acquisite risultanze probatorie, che, nelle circostanze di tempo e di luogo di cui all’imputazione, il P. avesse in vario modo percosso il Pr.; – b) neppure potesse esservi dubbio in ordine alla sussistenza del nesso causale fra tale condotta e la morte, quasi istantaneamente sopravvenuta, della vittima, dovendosi altrimenti immaginare che solo per fortuita coincidenza si fosse autonomamente prodotta, pur in presenza di una causa scatenante facilmente individuabile nelle percosse ed anche nello stress emotivo determinato dall’aggressione, la massiccia emorragia subaracnoidea che, secondo quanto emerso dagli accertamenti medico-legali, aveva cagionato il decesso;

– che avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell’imputato denunciando:

1) ""violazione e falsa applicazione degli artt. 575, 644 e 584 c.p. con riferimento agli artt. 444 e 448 c.p.p. in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. b) e c). – Travisamento della prova e vizi di motivazione – Motivazione apodittica e/o illogica e/o contraddittoria – Omessa pronuncia"; ciò sull’assunto, in sintesi e nell’essenziale, che: – 1/a) con riguardo alle proposte di patteggiamento avanzate nel corso del procedimento di primo grado, indebitamente la corte territoriale si sarebbe limitata a definire inaccettabile quella basata sulla qualificazione del fatto come omicidio preterintenzionale, non spiegando la mancata applicazione dell’art. 448 c.p.p. e dimenticando che essa era stata revocata, lasciando così rivivere altra precedente proposta con la quale era stata prospettata la qualificazione del fatto come rissa aggravata; – 1/b) contraddizione vi sarebbe tra la ritenuta configurabilità del reato di rissa (concorrente con quello di omicidio preterintenzionale ed in relazione al quale la corte d’assise d’appello ha disposto la trasmissione di copia degli atti alla procura della Repubblica, per le valutazioni di sua competenza – N.d.R.), e l’attribuzione del ruolo di aggressore al solo P., quando vi era la prova – si afferma – che il primo ad usare violenza era stato proprio il Pr., con uno schiaffo al V.; – 1/c) arbitraria e confusa sarebbe la ricostruzione del fatto operata nell’impugnata sentenza, con riguardo, in particolare, ai mezzi con i quali il Pr. sarebbe stato colpito (di volta in volta indicati, in "una sedia", in più "sedie", in pezzi o residui di sedie rotte o in un semplice "pezzo di legno"), nonchè alla identificazione nel P. del soggetto dal quale lo stesso Pr. sarebbe stato colpito, pur risultando dalle attendibili dichiarazioni dell’unico teste veramente oculare, e cioè il D.P.M., che sarebbe stato quest’ultimo ad essere aggredito dal P., mentre il Pr. se la vedeva con il V. (descritto come il "ragazzo alto, magro e vestito di nero") e, nonostante fosse finito a terra (non a causa dei colpi ricevuti ma perchè scivolato sul pavimento viscido per la pioggia), non era affatto impossibilitato a muoversi (come sostenuto in sentenza) tanto che, secondo quanto costantemente sostenuto dallo stesso V. e confermato anche dal D.P., muoveva le gambe e scalciava; – 1/d) male sarebbe stata valutata la deposizione del teste R.N., indicato come "buttafuori" del locale, il quale, essendo uscito, per sua stessa ammissione, "pure per vedere com’era il tempo" (e, quindi – si osserva – senza che fino a quel momento si fosse accorto di nulla), aveva riferito di aver visto " P.D. che andava con una sedia addosso a D.P.M." (e non, quindi, addosso al Pr.) e sarebbe stato da ritenere non credibile quando aveva anche sostenuto di essere stato aggredito dal P., avuto riguardo al fatto che non erano stati acquisiti in atti certificati medici che lo riguardassero, a differenza di quanto avvenuto per lo stesso P., i due minorenni ed il D.P.M.; – 1/e) censurabile sarebbe la mancata considerazione, da parte della corte territoriale, del fatto che, secondo quanto emergente da varie dichiarazioni testimoniali, il cadavere del Pr. sarebbe stato "rimosso più di una volta"; – 1/f) parimenti censurabile, siccome "sintomatico di una ripetitiva distorsione e di un continuo grave travisamento per il superficiale approccio alla disamina degli atti ed alla stesura della motivazione", sarebbe la ripetuta affermazione che il P. si sarebbe trovato in compagnia solo dei due minorenni V. e Pa., quando "dagli atti processuali "(si afferma) emergeva che il P. era giunto in discoteca in compagnia anche di tale B.M.G.; – 1/g) nel sostenere che il Pr. sarebbe stato vittima di una "repentina ed immediata aggressione", la corte territoriale avrebbe indebitamente ignorato il fatto che, stando alle stesse dichiarazioni del D.P.M., era stato proprio il Pr., scendendo dall’autovettura condotta da esso D.P., con la quale si apprestava ad allontanarsi dalla discoteca, ad accettare la sfida proveniente dal gruppo di cui faceva parte il P., per cui sarebbe stato da riconoscere che si era "esattamente nel perimetro delle previsioni dell’art. 588 c.p.: rissa"; – 1/h) nessuna conferma sarebbe stata acquisita dell’utilizzo, nel corso della rissa, di pezzi di legno, o sedie o frammenti di sedie; 1/i) risultando ancora dalla dichiarazioni del D.P. che la colluttazione tra lui ed il P. sarebbe durata non meno di 15-20 minuti, mentre nel contempo si colluttavano il V. ed il Pr., se ne sarebbe dovuto dedurre che il P., prima di volgersi contro il D.P., avrebbe potuto colpire il Pr. solo per pochi secondi; il che avrebbe dovuto ridondare in favore del ricorrente (accusato – si nota – solo di concorso materiale e non morale o anomalo), atteso che nella stessa sentenza impugnata si afferma che il decesso della persona offesa non si sarebbe verificato a seguito dei primi colpi, "ma quale conseguenza del complesso dei colpi accompagnati alla violenza delle percosse inferte con il pezzo di legno"; – 1/l) frutto di travisamento (salvo a pensare ad un "semplice refuso") sarebbe l’affermazione contenuta nell’impugnata sentenza, secondo cui sarebbero state trovate tracce di sangue sugli abiti del P., risultando invece dalle acquisite dichiarazioni del militare che aveva effettuato i rilievi che dette tracce erano del tutto assenti; – 1/m) in ogni caso, vi sarebbe contraddizione tra l’avere la corte territoriale ritenuto che il P. ed i due minorenni si sarebbero "tenuti a distanza dal corpo della vittima senza avvinghiarlo, tenendosi così al riparo, seppure del tutto involontariamente, dalla possibilità che gli abiti restassero intrisi di sangue", e l’asserito "contatto fisico con la vittima", sul quale si fonderebbe l’attribuzione della penale responsabilità del ricorrente; – 1/m) del tutto esulante dall’effettivo contenuto delle dichiarazioni del D.P.M. sarebbe l’affermazione della corte territoriale secondo cui esso D.P. avrebbe riferito di aver visto "il P. assieme ai compagni stare sul corpo del Pr. e picchiare il medesimo con pugni e calci"; – 1/o) la conclusione alla quale è pervenuta la corte territoriale, secondo cui il Pa. ed i due minorenni avrebbero agito "in concorso, seppure nell’ambito della rissa, creando le cause che determinarono il decesso della persona offesa", sarebbe inficiata dalla mancata considerazione del fatto che la rissa si sarebbe, in realtà, divisa in due fasi, soltanto alla prima delle quali, attizzata dallo stesso Pr. con lo schiaffo da lui dato al V., avrebbe partecipato il P., rimasto invece estraneo alla seconda, iniziatasi con l’intervento del D.P., contro il quale si era rivolto esso P.; – 1/p) la riconducibilità, secondo la corte territoriale, della morte del Pr. a non meglio precisate "cause esterne", nella riconosciuta assenza di una volontà omicida da parte del P., avrebbe dovuto comportare l’esclusione dell’elemento materiale del reato a lui addebitato;

2) "violazione e falsa applicazione dell’art. 495 c.p.p. in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. b), c), d) ed e) – mancata assunzione di prova decisiva: mancata ammissione dei due verbali di trascrizione delle intercettazioni telefoniche fra il difensore di V. L. e la madre di questi"; ciò sull’assunto che indebitamente la corte di primo grado, richiamandosi al disposto di cui all’art. 103 c.p.p., comma 5, avrebbe respinto la richiesta difensiva volta ad ottenere l’acquisizione dei suddetti verbali (dai quali sarebbe emersa la prova della "imbeccata" ricevuta dal detto V. alla vigilia del suo terzo interrogatorio, nel quale si riferivano particolari inediti a sostegno del ruolo attivo che il P. avrebbe avuto nelle violenze subite dalla vittima), laddove si sarebbe dovuto considerare che, secondo quanto desumibile da taluni, richiamati arresti giurisprudenziali, detto principio non potrebbe operare quando (come si sostiene essersi verificato nella specie) le conversazioni intercettate abbiano un contenuto esorbitante dalla retta funzione difensiva;

3) "violazione e falsa applicazione degli artt. 62 bis e 133 c.p. in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), – vizio di motivazione sulla determinazione della pena: contraddittorietà ed illogicità";

ciò sull’assunto che, essendosi riconosciuta l’ooeratività di "cause esterne" nella produzione dell’evento morte e, pertanto, il carattere non determinante del solo apporto costituito dalla condotta posta in essere dall’imputato, la pena a quest’ultimo inflitta avrebbe dovuto essere contenuta nel minimo e sarebbero state da riconoscere le attenuanti generiche, negate, invece – si sostiene – sulla base dell’ingiusta e fuorviante critica alla condotta processuale dello stesso imputato, al quale si è addebitato di aver voluto "indirizzare i sospetti su terze persone"; critica, questa, che sarebbe tanto più inaccettabile in quanto riferibile anche al difensore, laddove sarebbe stata semmai da censurare la condotta del difensore del V., quale emergente dalle già ricordate intercettazioni telefoniche;

– che la difesa dell’imputato ha poi fatto pervenire motivi nuovi, con i quali che si chiede che si consideri revocata la costituzione di parte civile da parte dei congiunti della vittima, Pr.

G. (fratello), Po.El. (madre) e P. F.P. (padre, nel frattempo deceduto), avendo gli stessi promosso autonoma azione civile nei confronti dei minori Pa.

A. e V.A. e dei rispettivi esercenti la potestà genitoriale ed essendovi quindi stata chiamata in causa del P. da parte dei convenuti, per cui – si afferma – la causa era stata "interrotta".

Motivi della decisione

– che il ricorso non appare meritevole di accoglimento, per le ragioni che seguono; a)con riguardo alla doglianza riassunta al punto 1/a), la ritenuta inaccettabilità della proposta di patteggiamento basata sulla prospettata qualificazione del fatto come omicidio preterintenzionale, come pure il suo mancato "recupero" ai sensi dell’art. 448 c.p.p., trovano più che adeguata giustificazione nel fatto stesso che la pena ritenuta congrua dalla corte territoriale all’esito del giudizio di secondo grado è di gran lunga superiore a quella (anni quattro, mesi dieci e giorni dieci di reclusione) di cui, con la suddetta proposta, era stata chiesta l’applicazione, mentre, per quanto concerne quella che sarebbe stata la precedente proposta, basata sulla qualificazione del fatto soltanto come rissa aggravata (a parte la estrema opinabilità dell’assunto secondo il quale essa sarebbe tornata in vita a seguito della revoca della successiva), appare sufficiente osservare che il suo mancato accoglimento trova anch’esso giustificazione nella ritenuta qualificabilità del fatto, invece, come omicidio preterintenzionale;

b) con riguardo alle altre doglianze esposte nel primo motivo, va premesso che, con esse (escluso il troppo e il vano), si è voluto, in buona sostanza, sostenere che la morte del Pr. sarebbe stata conseguenza soltanto della rissa originata dall’avere egli accettato la "sfida" proveniente dal gruppo di cui faceva parte il P., passando per primo a vie di fatto nei confronti del V., e che, essendo stato il Pr. colpito pressochè esclusivamente dallo stesso V., nella seconda fase di detta rissa, cui il P., impegnato con il sopravvenuto D. P.M., non aveva partecipato, sarebbe stata per ciò stesso da escludere ogni responsabilità di esso P. nella produzione dell’evento; ciò detto, vale in contrario osservare che: – b/1) il reato di rissa aggravata ex art. 588 c.p., comma 2, ben può concorrere (come opportunamente ricordato nell’impugnata sentenza, ma del tutto ignorato nel ricorso) con quelli (a seconda dei casi) di lesioni volontarie o di omicidio volontario (e, a maggior ragione, di omicidio preterintenzionale) configurabili a carico di quello o di quelli tra i corrissanti cui l’evento sia addebitabile, secondo le regole ordinarie e, quindi, tanto come autore materiale quanto come concorrente, materiale o morale (in tal senso, fra le altre: Cass. 1, 15-23 maggio 2008 n. 20933, Neziri, RV 240307; Cass. 1, 22 gennaio – 7 aprile 2008 n. 14346, Oglialoro, RV 240134; Cass. 1, 7 – 29 luglio 2009 n. 31219, Chapurin ed altro, RV 244304, per non parlare di quelle che ammettono anche la responsabilità a titolo di concorso anomalo, quali, ad esempio, Cass. 1, 19 novembre 2009 – 8 gennaio 2010 n. 283, Hajro ed altro, RV 245205, e Cass. 1, 3 febbraio – 3 maggio 2010 n. 16762, PG in ptroc. Malgeri ed altri, RV 246962); – b/2) alla stregua di tale principio appare, nella specie, incensurabile il giudizio di colpevolezza espresso dalla corte territoriale nei confronti del P., essendo stato egli chiamato a rispondere del reato di omicidio a titolo di concorso (non meglio specificato e, pertanto, comprensivo anche del concorso morale) con i minori V. e Pa., e risultando dalle dichiarazioni di quello che, secondo la stessa difesa, sarebbe l’unico teste attendibile, e cioè il D.P.M. (quali richiamate alle pagg. 5 e 6 dell’impugnata sentenza e riportate anche alla pag. 7 del verbale prodotto in allegato al ricorso), che il Pr. era stato inizialmente aggredito da tutti e tre i componenti del gruppo antagonista, tra i quali, quindi, anche il P.; ragion per cui, anche ad ammettere che quest’ultimo avesse subito dopo rivolto le sue attenzioni al D.P., sopraggiunto per dare man forte al Pr., lasciando che con costui continuasse a vedersela il solo V., e che fossero stati solo i colpi inferti da quest’ultimo a determinare la morte della persona offesa, ciò non potrebbe in alcun modo valere ad escludere la responsabilità del ricorrente, non risultando in alcun modo (al di là di quanto apoditticamente affermato nel ricorso) che si fosse creata un’apprezzabile soluzione di continuo tra l’iniziale aggressione e la sua prosecuzione ad opera di uno soltanto degli originari aggressori, tale da far ragionevolmente ritenere che la condotta di quest’ultimo non fosse in linea con la volontà degli altri e, segnatamente, del P., ma apparendo più che plausibile il contrario, specie considerando che il P. (come già ricordato e come pacificamente ammesso dalla stessa difesa), aveva smesso di partecipare all’aggressione in danno del Pr. non per un riconoscibile impulso di spontanea desistenza, ma solo per fronteggiare la persona intervenuta a sostegno dell’aggredito; c) con riguardo al secondo motivo, vale osservare che: – c/1) nè dalla non contestata sintesi dei motivi d’appello contenuta nell’impugnata sentenza, nè dal testuale tenore del ricorso risulta che il diniego opposto dalla corte di primo grado alla richiesta di acquisizione dei verbali di trascrizione delle due conversazioni intercettate tra la madre del V. ed il difensore di costui avesse dato luogo alla formulazione di specifico motivo di gravame, di tal che sarebbe per ciò solo ravvisabile la causa di inammissibilità prevista dall’art. 606 c.p.p., comma 3, ultima ipotesi; c/2) in ogni caso, non può certo dirsi che risulti dimostrata l’insussistenza delle condizioni che rendono operante il divieto di intercettazione delle comunicazioni tra i difensori e le persone da loro assistite previsto dall’art. 103 c.p.p., comma 5, con il conseguente divieto di utilizzazione dei risultati di tali intercettazioni, assumendosi in modo del tutto apodittico, nel ricorso, che il contenuto delle comunicazioni in questione sarebbe tale da escludere l’operatività del suddetto divieto, e non essendovi spazio, in questa sede, per una verifica nel merito circa il fondamento o meno di tale assunto, a sostegno del quale non può neppure valere il richiamo, operato nel ricorso, ai due precedenti arresti giurisprudenziali costituiti da Cass. 5, 12 febbraio – 5 maggio 2003 n. 20072, Graviano ed altri, RV 224944, e Cass. 6, 16 giugno – 17 settembre 2003 n. 35656, Franchi, RV 226659, atteso che il primo di essi si riferisce all’ipotesi di conversazioni non inerenti all’esercizio del mandato difensivo (condizione, questa, da riguardarsi, nel caso ora in esame, come chiaramente insussistente, posto che la pretesa "imbeccata" del V. da parte del difensore, censurabile o meno che essa fosse, sarebbe stata comunque operata proprio nell’esercizio di detto mandato), mentre il secondo si riferisce all’ipotesi che le conversazioni intercettate costituiscano esse stesse reato (il che, per rilevare in questa sede, presupporrebbe l’avvenuto esercizio dell’azione penale o, quanto meno, l’avvenuta instaurazione di un procedimento penale di cui, invece, non si ha notizia alcuna); – c/3) neppure può dirsi, infine, le conversazioni in questione potessero assumere decisivo rilievo in favore dell’imputato, atteso che ai fini dell’affermazione della penale responsabilità di quest’ultimo sarebbero state comunque sufficienti, secondo quanto argomentato al precedente punto b), anche le sole dichiarazioni del D.P. M.; d) con riguardo al terzo motivo: – d/1) il fatto che il solo apporto causale costituito dalla condotta posta in essere dall’imputato non sarebbe stato sufficiente, secondo quanto sostenuto nel ricorso, a determinare la morte senza l’intervento delle "cause esterne" di cui è cenno nell’impugnata sentenza, non costituiva elemento tale da dover assumere rilevanza ai fini dell’attenuazione della responsabilità del ricorrente e di una mitigazione, quindi, del trattamento sanzionatorio, atteso che con l’espressione "cause esterne" la corte territoriale ha inteso chiaramente riferirsi (sia pure adottando una terminologia forse non del tutto adeguata) a quei fattori imprevisti e imprevedibili la cui presenza è nella natura stessa dell’omicidio preterintenzionale, caratterizzato appunto dalla inesistenza della volontà omicida derivante proprio dall’ignoranza di detti fattori; – d/2) il negativo giudizio espresso nell’impugnata sentenza in ordine alla condotta processuale dell’imputato, in quanto caratterizzata anche dall’intento di indirizzare i sospetti su terze persone, ben poteva, di per sè, assumere rilievo ai fini del diniego delle attenuanti generiche e, d’altra parte, nello stesso atto di ricorso non risulta contestata tanto la fondatezza di detto giudizio quanto la sua estensibilità anche alla difesa dell’imputato, in presenza di condotte asseritamele più censurabili, quali desumibili dalle già ricordate intercettazioni telefoniche; argomentazioni, queste, che, all’evidenza, non possono in alcun modo valere a rendere censurabile, in questa sede, la valutazione operata dalla corte territoriale; – d/3) in ogni caso, non risultano poi segnalate, nel ricorso, specifiche ragioni (al di fuori di quella precedentemente esaminata al punto d/1) per le quali il ricorrente sarebbe stato da considerare meritevole delle attenuanti generiche, la cui applicazione, come già affermato da Cass. 1, 22 settembre – 2 novembre 1993 n. 3529, Stelitano ed altro, RV 195339, "non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola";

e) con riguardo al motivo nuovo, appare sufficiente osservare che l’art. 82 c.p.p., comma 2, ultima parte, nello stabilire che la costituzione di parte civile si intende revocata qualora sia promossa l’azione civile davanti al giudice civile, presuppone che tale azione sia promossa nei confronti dello stesso imputato e non invece nei confronti di altri soggetti, come invece si verifica nel caso in esame, in cui, secondo quanto emerge dalla lettura dello stesso motivo di gravame e dei relativi allegati, l’azione risulta promossa soltanto nei confronti dei minori V. e Pa. e degli esercenti la potestà genitoriale sui medesimi, ad iniziativa dei quali è stato poi chiamato in causa il P., per cui è stata disposta la sospensione del processo civile, avendo il giudice ritenuto applicabile il disposto di cui all’art. 75 c.p.p., comma 3;

– che la ritenuta infondatezza del ricorso comporta, oltre alle conseguenze di cui all’art. 616 c.p.p., anche la condanna del ricorrente al ristoro delle spese sostenute nel grado dalle costituite parti civili, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè al ristoro delle spese sostenute dalle parti civili che liquida in Euro 3.500,00 per ciascuna parte, oltre ad accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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