Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-10-2011) 29-11-2011, n. 44136 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L.J., D.M.M. e M.J. ricorrono, a mezzo dei rispettivi difensori, avverso l’ordinanza 16.7.10 del Tribunale del riesame di Firenze che ha rigettato le istanze di riesame presentate avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal locale g.i.p. il 16.6.10 ed integrato il 22 e il 23.6.10, per i reati di associazione per delinquere, aggravata ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7, finalizzata al riciclaggio di denaro di provenienza illecita, "da reati anche solo presuntivamente di natura fiscale ed altro", in relazione alla L. n. 356 del 1992, art. 12-quinquies e al D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55, comma 2, provvedimento cautelare reale con il quale veniva disposto il sequestro dei beni degli indagati e di altre persone ad essi collegate, sia di etnia cinese che italiana, in quanto ritenuti provento delle illecite attività poste in essere dall’organizzazione operante nei territori di Prato, Firenze, Roma e Palermo.

La difesa di L.J., nel chiedere l’annullamento dell’impugnata ordinanza, deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), assumendo la manifesta illogicità motivazionale del provvedimento dal momento che in esecuzione del decreto di sequestro preventivo erano state rinvenute e sequestrate somme di denaro per un importo complessivo di Euro 96,307,00, di cui Euro 69.530,00 nella camera di Z.H., madre del ricorrente, Euro 13.820,00 nella culla del figlio del L. ed Euro 13.020,00 nella camera da letto della sorella di quest’ultimo, L.M., madre e sorella che non risultavano essere state indagate.

Il tribunale, inoltre – prosegue il ricorrente – aveva affermato che la madre di L.J. era un’imprenditrice nel settore dell’abbigliamento, del tutto autonoma rispetto all’attività del figlio, che disponeva di un proprio reddito ed era bene in grado di giustificare la somma posta in sequestro, ma nonostante la proporzione dei beni sequestrati con le capacità reddituali della famiglia dell’indagato, aveva ritenuto la liceità del sequestro del denaro senza dar conto del nesso pertinenziale tra il medesimo ed il reato e l’ordinanza aveva finito, illogicamente e contraddittoriamente, con il basarsi su deduzioni ed intuizioni avulse da dati fattuali.

La difesa di D.M.M. deduce violazione di legge per avere omesso l’ordinanza impugnata i fondamentali passaggi necessari per una corretta applicazione del sequestro preventivo, funzionale alla confisca di cui alla L. n. 356 del 1992, art.l2-sexies, soprattutto con riferimento al periculum in mora, ritenuto sussistente dai giudici del riesame sulla laconica considerazione della necessità di interrompere le condotte illecite indicate, laddove invece il requisito del periculum coincide, nel sequestro di cui all’art. 321 c.p.p., con la stessa confiscabilità del bene, dovendosi escludere che essa possa essere ritenuta, nel giudizio cautelare, automaticamente e senza alcun accertamento specifico, sulla base della sola configurabilità del reato, dovendo invece il provvedimento cautelare essere vincolato ad una valutazione inerente alla sproporzione del patrimonio ed alla mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni vincolati.

Nella specie – osserva conclusivamente il ricorrente – i beni mobili sottoposti al sequestro consistevano in una autovettura Nissan, di modesto valore commerciale, immatricolata nel (OMISSIS); in una vettura Peugeot del (OMISSIS); in una vettura Lancia Lybra cointestata con la sorella del D.M. e in un motociclo Suzuki, per un valore totale non certo sproporzionato al reddito dell’indagato e comunque riferito ad epoca risalente, mentre il bene immobile era nella titolarità esclusiva della madre del D.M., C.R., persona estranea alle indagini e che lo aveva acquisito a titolo successorio, ma i giudici del riesame non avevano motivato in merito alla verifica di legittimità del sequestro del compendio mobiliare, limitandosi poi a rilevare, quanto all’immobile, che "il sequestro sembra del tutto legittimo" in ragione dell’"uso comune (con l’indagato) che lo abita con la propria famiglia".

La difesa di M.J. deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), lamentando l’insussistenza dei presupposti del periculum in mora, avendo documentalmente provato la titolarità dell’immobile acquistato, la provenienza lecita dei capitali impiegati per l’acquisto e la proporzionalità tra il valore dei primi rispetto ai redditi dichiarati, evidenziando come il sequestro L. n. 365 del 1992, ex art. 12 – sexies fosse stato eseguito il 28.6.10 nell’ambito del procedimento penale che aveva coinvolto il marito X.Z., indagato per i reati di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies, D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55, comma 2, artt. 292 e 295 t.u.l.d., senza che il g.i.p. avesse fatto cenno alcuno al periculum e pur incombendo all’accusa la dimostrazione, nei confronti del terzo, dell’esistenza di situazioni che avallassero concretamente l’ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, in modo da poter affermare che il terzo intestatario si era prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo al preposto e salvaguardarlo dal pericolo della confisca.

Secondo il tribunale del riesame, però, l’indizio rivelatore del collegamento tra il bene di proprietà della ricorrente – costituente un’unità abitativa – e l’attività criminale dell’indagato era rappresentato dalla mera disponibilità del bene da parte di quest’ultimo, che presso l’abitazione aveva il suo domicilio, pur avendo M.J. fornito la prova della liceità della provenienza del bene immobile, acquistato con atto notarile del 14.7.09, al prezzo di Euro 370.000,00, di cui Euro 350.000,00 corrisposti mediante un mutuo acceso dalla M. con l’istituto Monte dei Paschi di Siena contestualmente al rogito, ed Euro 20.000,00 corrisposti mediante due assegni bancari non trasferibili del 14.7.10 tratti sul predetto istituto, iscrivendo ipoteca per Euro 700.000,00 e provvedendo a pagare le rate di mutuo su un conto corrente personale di essa ricorrente, grazie ai propri guadagni derivanti dall’attività lavorativa prestata presso l’impresa Grantex, con stipendio mensile di Euro 3.000,00. Osserva la Corte che i ricorsi sono fondati.

Le condizioni necessarie e sufficienti per disporre il sequestro preventivo di beni confiscabili a norma della L. n. 356 del 1992, art.l2-sexies, commi 1 e 2, consistono, quanto al fumus commissi delicti, nell’astratta configurabilità, nel fatto attribuito all’indagato e in relazione alle concrete circostanze indicate dal p.m., di una delle ipotesi criminose previste dalle norme citate, senza che rilevino nè la sussistenza degli indizi di colpevolezza nè la loro gravità e, quanto al periculum in mora, coincidendo quest’ultimo con la confiscabilità del bene, nella presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca, sia per ciò che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto, sia per ciò che attiene alla mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi (v. Sez. un., 19 gennaio 2004, n. 920).

Orbene, nella specie, i giudici del riesame, con riferimento al periculum, hanno sostenuto il "buon diritto" del g.i.p. di sottoporre a sequestro preventivo i beni degli indagati poichè tale forma di misura cautelare reale "prescinde da una accurata indagine probatoria in attesa che lo svolgersi dell’istruttoria chiarisca al meglio le posizioni onde si possa fondatamente disporre di eventuali e giuste restituzioni agli aventi diritto", aggiungendo che "tutta la complessa situazione per cui è processo non può essere sezionata ed esaminata come se si trattasse di isolate attività di singole persone, ma va inquadrata nella tentacolare attività di una ben sussistente associazione per delinquere facente capo all’agenzia di trasferimento di capitali da e per l’estero, denominata Money2Money".

Lungi dall’esaminare pertanto l’eventuale sproporzione dei beni sequestrati rispetto alle capacità economiche dei ricorrenti e la validità delle giustificazioni dagli stessi addotte in relazione al possesso del denaro, dei beni mobili e di quelli immobili sottoposti alla misura cautelare, i giudici del riesame si sono sostanzialmente acquietati al fumus, ritenuto sussistente sulla base delle motivazioni di cui all’ordinanza cautelare personale che ha raggiunto gli indagati, ma nulla hanno evidenziato quanto al periculum, pur in presenza di articolate e documentate argomentazioni da parte dei difensori degli odierni ricorrenti, finendo contraddittoriamente con l’affermare che la madre di L.J. "è una imprenditrice del settore dell’abbigliamento del tutto autonoma ed ha un reddito suo, bene in grado di giustificare le somme in questione" (pure sottoposte a sequestro per "fatto altrui"); che l’abitazione di M.J. "era usata da entrambi i coniugi che ivi avevano il loro domicilio", introducendo così un elemento del tutto estraneo (l’uso del bene in sequestro) per la valutazione della fittizia titolarità del bene assoggettato alla misura cautelare e senza dar conto, per confutarle, delle precise allegazioni della difesa della M. in ordine all’acquisto dell’immobile e alla capacità reddituale dell’odierna ricorrente; elemento dell’uso comune del bene in sequestro ripetuto anche con riferimento all’immobile sequestrato in pregiudizio di D. M.M., in assenza di qualsivoglia argomentazione che lo ricolleghi ad una illecita acquisizione da parte dell’indagato, pur essendo detto bene (un "palazzotto" sito in (OMISSIS)) risultato di esclusiva proprietà della madre dell’indagato, C.R., cui è giunto per successione ereditaria, e dalla stessa abitato unitamente ai figli.

Nè, infine, alcuna motivazione è stata dal tribunale spesa in riferimento ai beni mobili sequestrati al D.M., di cui pure i difensori hanno rivendicato la legittima provenienza e la proporzione con le capacità economiche del loro assistito, per cui l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale del riesame di Firenze per un nuovo esame che dia conto in concreto della sussistenza, rispetto a tutti i beni sottoposti al vincolo reale, del requisito del periculum in mora, sotto il profilo sopra indicato.

P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Firenze per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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