Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 30-09-2011) 29-11-2011, n. 44105

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propongono ricorso per Cassazione N.D. e L.B. B. avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli in data 24 settembre 2009 con la quale è stata riformata solo in punto di trattamento sanzionatorio la sentenza di primo grado, di condanna in ordine al reato di bancarotta fraudolenta documentale relativo al fallimento della IESNA Calcestruzzi srl, dichiarato con sentenza del (OMISSIS).

La situazione contabile della società era risultata, secondo le emergenze acquisite (relazione del curatore, sua deposizione, indagini della G.d.F.) assolutamente caotica e tale da non consentire la ricostruzione del patrimonio e dei movimenti. La conclusione è che era stato accertato un passivo di Euro 800 mila e un attivo inesistente, mentre, la lettura delle scritture lasciava emergere dati non congruenti con la realtà oltre che intrinsecamente contraddittori.

Appariva taciuta la inesistenza di taluni crediti indicati nei bilanci, i debiti erano stati indicati in misura superiore alla realtà e contraddizioni riguardavano anche le giacenze di cassa.

I giudici del merito attribuivano la responsabilità di tale situazione sia a N., amministratore dal gennaio 2000 alla data del fallimento ((OMISSIS)) nonchè al L.B., amministratore in tutto il periodo precedente e, al pari del N., socio della società in questione.

Nella sentenza veniva respinta la tesi sostenuta da ciascuno degli appellanti secondo il quale era stato l’altro il solo responsabile di tutti i fatti di rilievo penale. In particolare il N. aveva evidenziato la propria condotta volta a denunciare, all’interno della assemblea dei soci, tutte le irregolarità effettivamente esistenti e da esso riscontrate nella nuova qualità: in sostanza una condotta indicativa di assoluta buona fede e di presa di distanza dalle malefatte del L.B..

Il L.B. invece aveva posto in risalto come le condotte specificamente addebitategli nel capo di imputazione attenessero alla irregolare tenuta di scritture di competenza esclusiva del nuovo amministratore.

La Corte di merito aveva però respinto entrambe le tesi.

Deduce la difesa di N. il vizio di motivazione.

La Corte di merito aveva sostenuto che la malafede del N. era da ravvisare nel fatto che tutte le irregolarità contabili da esso riscontrate a carico del L.B. e pure denunciate in assemblea, erano state però reiterate tali quali nel bilancio di competenza dello stesso N..

In particolare secondo la Corte di merito il N. doveva rispondere dell’inserimento, nel bilancio di sua competenza (quello relativo all’anno 2000) di voci non corrispondenti alla realtà riscontrata, quali L. 400 milioni in cassa, crediti per L. 900 milioni in luogo di quelli poi contabilizzati pari a L. 500 milioni, altri crediti pure riportati nel bilancio indicato e in quello fallimentare senza la indicazione che erano stati in passato già incassati durante la gestione del L.B..

Tuttavia, prosegue la difesa, tale ricostruzione della presunta malafede del N. non tiene conto che, – da verbali di assemblea che allega al ricorso, si desumerebbe al contrario che il N. aveva denunciato tutte le irregolarità contabili, tanto che il bilancio del 1999 non era stato approvato e che la assemblea non lo aveva neppure autorizzato ad apportare le necessarie rettifiche contabili, sicchè era stato giocoforza necessario riportare le stesse irregolarità nel bilancio dell’anno 2000.

In secondo luogo la Corte era comunque incorsa in travisamenti del contenuto di atti.

I giudici avevano cioè denunciato il mancato recupero di crediti da parte del N. e, viceversa, l’incasso di taluni crediti senza relativa contabilizzazione, senza però considerare che dalla deposizione del curatore era emerso che egli, in realtà, non aveva compiuto atti di gestione, essendosi limitato a denunciare il vuoto di cassa e a licenziare gli operai.

Altro travisamento riguarderebbe l’affermazione che il N. aveva indicato nelle scritture 400 milioni di lire di valore di cassa, in realtà non ritrovati. Ebbene, ad avviso della difesa, la attestazione della esistenza di tale somma liquida viene fatta discendere dalla Corte di merito da considerazioni indirette sulla iscrizione in bilancio di una somma per crediti in parte invece già incassati, ma non tiene conto dell’opposto dato della denuncia, da parte di N., in assemblea, del valore di cassa pari a zero.

La difesa contesta, conti alla mano, anche la falsità della attestazione sulla esistenza di L. 400 milioni di crediti nel bilancio fallimentare.

Deduce la difesa di L.B. la violazione della L. Fall., artt. 216 e 223, e il vizio di motivazione.

La mancanza di prova della responsabilità del L.B., sotto il profilo eminentemente soggettivo, discenderebbe, secondo la difesa, dalla motivazione riguardante la posizione del N..

Il L.B., invero, aveva cessato di ricoprire la carica di amministratore l’11 gennaio 2000.

Gli si addebita la imprecisa indicazione dei debitori della fallita, sostenuta però, secondo i giudici dal dolo generico del reato di bancarotta fraudolenta.

In realtà, poi, si sintetizza tale accusa nella omessa indicazione, nelle scritture contabili al 21 dicembre 2000, della chiusura dei conti nonchè la riapertura di essi all’1 gennaio 2001, quando il L. B. non era più amministratore dal 31 dicembre 2000.

Anche le irregolarità degli ammortamenti è una operazione contabile che riguardava la determinazione del risultato di esercizio, ossia la formulazione del bilancio, operazione da compiersi nel (OMISSIS) ad opera del solo N., al pari delle eventuali correzioni ritenute necessarie per le contabilizzazioni del 1999.

Il L.B., che pure aveva sollecitato la nomina di un nuovo amministratore, poteva al più essere ritenuto risposabile di bancarotta semplice, connotata non solo dal dolo ma anche dalla sola colpa.

I ricorsi sono inammissibili perchè fondati su ragioni diverse da quelle che possono essere sottoposte alla Cassazione.

In primo luogo occorre sottolineare che al giudice della legittimità non possono essere sottoposti per una nuova valutazione, le prove raccolte ma, nel solo caso della denuncia del travisamento della prova, tanto è possibile e doveroso, a condizione, peraltro, che si tratti di un atto il cui contenuto sia stato assunto in maniera diametralmente opposta alla obiettiva e immediatamente percepibile realtà fenomenica; che sotto tale genere di censura non si nasconda, viceversa, una sostanziale richiesta di valutazione diversa da quella pure compiuta dal giudice del merito e che si tratti di un travisamento compiuto su un atto la cui corretta valutazione comporterebbe la disarticolazione della intera motivazione del giudice. Orbene la difesa del N., nell’allegare i verbali di assemblea e nel dedurre altri casi di travisamenti di prova non si è attenuta ad alcuno dei detti principi. Infatti i verbali sono allegati senza la previa indicazione della loro regolare assunzione come mezzi di prova e, quel che più conta, senza la allegazione e la dimostrazione che il relativo contenuto è stato già denunciato dinanzi al giudice dell’appello, così realizzandosi la condizione della mancata preclusione del motivo di gravame.

Inoltre, andando al contenuto dei detti verbali, la difesa chiede a questa Corte che proceda alla relativa lettura onde ricavarne la prova – asseritamente sfuggita al giudice dell’appello – che il N. non aveva conseguito l’autorizzazione della assemblea alla redazione di scritture correttive rispetto a quelle precedenti, chiaramente irregolari.

Ebbene, come detto, una simile sollecitazione è irricevibile in quanto al questione avrebbe dovuto formare oggetto di specifico motivo di appello e solo la omissione o altro vizio nella replica della Corte alla critica dell’appellante avrebbe potuto formare materia di ricorso dinanzi a questa Corte di legittimità. Ciò senza contare – passando all’ulteriore profilo del dedotto travisamento della prova – che anche ove nel detto verbale fosse contenuta la attestazione di un voto dell’assemblea contrario a scritture correttive, non si tratterebbe della dimostrazione della innocenza del prevenuto: la responsabilità dell’amministratore in ordine alla mancata fedeltà del bilancio alla realtà patrimoniale e contabile non può infatti essere esclusa da un atteggiamento in ipotesi interlocutorio della assemblea tenuto che la redazione del bilancio di esercizio è atto dell’amministratore come previsto dall’art. 2478 bis c.c. che richiama l’art. 2423 c.c.. Pertanto, nel caso di specie, è stata razionalmente argomentata dal giudice del merito, alla luce della obiettiva redazione di scritture inidonee a consentire la ricostruzione degli affari ossia di una condotta che è stata posta in essere e si è risolta, come prevedibile, nel corrispondente danno agli interessi cognitivi dei creditori.

Quanto agli ulteriori travisamenti denunziati, se ne deve sottolineare, in realtà, la natura di mere censure alla ricostruzione, invece completa e congrua operata dal giudice del merito, con la conseguenza della già anticipata inammissibilità dei motivi.

Costituisce infatti considerazione in punto di fatto, non apprezzabile da questa Corte, il fatto che il prevenuto non avrebbe compiuto atti di gestione consistenti nella assunzione di nuove obbligazioni, dovendosi anche considerare che una simile evenienza in nulla intacca la osservazione dei giudici del merito: secondo la Corte d’appello, infatti, la indicazione di crediti inesistenti nel bilancio per l’anno 2000 va imputata al dolo del prevenuto anche per non avere lo stesso operato per il recupero degli stessi, evenienza che nulla ha a che vedere con l’avere o meno, il N., assunto nuove obbligazioni durante il suo mandato.

Tutte le altre considerazioni contenute nel ricorso e sopra riportate si risolvono nella enunciazione di elementi di fatto che questa corte non può apprezzare direttamente e che, non traducendosi in un vizio di manifesta illogicità della motivazione – invece plausibile – del giudice del merito non possono dare luogo ad un motivo di gravame ammissibile.

Il ricorso del L.B. è parimenti inammissibile.

Egli contesta l’assunto della Corte di merito essenzialmente limitandosi ad osservare che la chiusura dell’esercizio al 31 dicembre 2000 e la riapertura dei conti l’anno successivo erano attività demandate integralmente al nuovo amministratore.

Invero il ricorrente non tiene affatto conto che la motivazione esibita dal giudice del merito va ben oltre tali frangenti e, argomentando sulla sussistenza della prova in ordine ai numerosi diversi fatti di bancarotta fraudolenta documentale contestati nel capo di imputazione, sostiene la esistenza della prova della resposanbilità del L.B. in relazione ad eventi occorsi pacificamente durante la gestione di sua competenza.

Così è con riferimento ai documenti contabili del 1999 dai quali la Corte ha tratto la prova che "le rimanenze in esse attestate erano inesistenti, che le disponibilità liquide non esistevano, che i crediti erano stati valutati in modo errato e molti di essi erano inesistenti".

Inoltre la Corte ha menzionato artifici contabili rilevati alla data del 31 dicembre 1999 con riferimento a "crediti in sofferenza" affermando che di essi il L.B. non aveva fornito alcuna documentazione.

Completa è anche la motivazione esibita dal giudice del merito a proposito del dolo generico e non della semplice colpa che ha assistito la condotta descritta, così escludendo anche la possibilità della configurazione del meno grave reato invocato dalla difesa.

La tipologia e la assoluta inescusabilità delle false attestazioni ha cioè indotto la Corte d’appello a ritenere integrato il dolo generico della condotta in contestazione, e le contrarie deduzioni della difesa sul punto appaiono del tutto generiche e non fondate, come pure l’art. 581 c.p.p. pretenderebbe, su chiare e univoche emergenze di fatto, ma solo sulla citazione di pacifica quanto astratta giurisprudenza.

Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna di ciascun ricorrente al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in Euro 1000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a versare alla cassa delle ammende la somma di Euro 1000.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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