Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-11-2011) 30-11-2011, n. 44390

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 5/4/2011, la Corte di appello di Roma, confermava la sentenza del Tribunale di Roma, in data 7/7/2008, che aveva condannato C.L. alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 200,00 di multa per il reato di ricettazione di un assegno bancario.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando un unico motivo di gravame con il quale deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale.

Al riguardo si duole che dalla circostanza del mero possesso del titolo da parte dell’imputato non si poteva dedurre la sua responsabilità per il reato di ricettazione poichè l’assegno non era a firma del C. ma proveniva da altro soggetto.

In secondo luogo deduce la prescrizione del reato, eccependo che, avendo l’imputato ottenuto le attenuanti generiche ed essendo stata ritenuta l’ipotesi lieve dell’art. 648 c.p., comma 2, il reato doveva ritenersi prescritto nel termine di anni 7 e mesi sei, applicando la disciplina della prescrizione antecedente alla novella di cui alla L. n. 251 del 2005.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità e manifestamente infondati.

Per quanto attiene alle censure in punto di responsabilità, il motivo deve ritenersi inammissibile, atteso che, pur denunciando formalmente violazione di legge, costituisce, con tutta evidenza, reiterazione delle difese di merito ampiamente e compiutamente disattese dai Giudici di appello, oltre che censura in punto di fatto della sentenza impugnata, inerendo esclusivamente alla valutazione degli elementi di prova ed alla scelta delle ragioni ritenute idonee a giustificare la decisione, cioè ad attività che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto, come nel caso in esame, da adeguata e congrua motivazione esente da vizi logico- giuridici.

Per quanto attiene alla dedotta prescrizione del reato, il motivo è manifestamente infondato. Il reato, infatti, contestato alla data del 20/12/2001, non risulta prescritto, nè alla luce della nuova disciplina, introdotta dalla novella di cui alla L. n. 251 del 2005, che prevede il termine di anni 10, nè tantomeno alla luce della vecchia disciplina che prevedeva il termine di anni 15. Palesemente infondata è la pretesa di considerare come pena di riferimento quella di cui all’art. 648 c.p., comma 2, poichè la norma in questione introduce una ipotesi di attenuante ad effetto speciale e non una autonoma ipotesi di reato. Pertanto per calcolare il tempo necessario alla prescrizione bisogna fare riferimento alla pena base, prevista dall’art. 648 c.p., comma 1.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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