Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-11-2011) 30-11-2011, n. 44385

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 4/12/2009, la Corte di appello di Bologna, confermava la sentenza del Tribunale di Rimini, in data 8/3/2000, che aveva condannato T.P.F. alla pena di anni tre di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa per il reato continuato di circonvenzione d’incapace in danno di C.V..

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti, ed equa la pena inflitta.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando tre motivi di gravame.

Con il primo motivo deduce violazione di legge per mancata declaratoria di non procedibilità, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., per mancanza o tardività della querela. Al riguardo eccepisce che la parte lesa. L.A., era sorella della di lui madre, per cui il reato contestato sarebbe procedibile a querela, dal momento che il prevenuto conviveva con gli zii per gran parte dell’anno. Nell’ambito del procedimento in oggetto le querele erano state proposte tardivamente e da soggetti non legittimati. Si duole, altresì, che la Corte abbia implicitamente rigettato la contestazione sollevata sul punto dalla difesa, senza fornire motivazione alcuna.

Con il secondo motivo deduce violazione di norme procedurali stabilite a pena di nullità, eccependo che deve considerarsi illegittima la contestazione suppletiva del reato commesso il (OMISSIS), trattandosi di un fatto nuovo, non collegato dal vincolo della continuazione per il quale occorreva procedere separatamente;

Con il terzo motivo deduce la nullità per indeterminatezza del capo di imputazione; nullità talmente evidente che il P.M. nel richiedere la modifica dell’imputazione, descriveva nuovamente ed in modo completamente diverso anche il reato contestato inizialmente nel decreto di giudizio immediato.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Quanto al primo motivo, la censura è infondata in quanto il rapporto di fatto dedotto dal ricorrente, sulla base di quanto dallo stesso asserito non integra i caratteri della condizione di convivenza. Tale questione di fatto, peraltro, non è stata dedotta con i motivi d’appello e pertanto, in virtù dell’effetto devolutivo dell’appello non è più deducibile.

Anche il secondo motivo è infondato per le ragioni compiutamente esposte nella sentenza impugnata, che ha correttamente rilevato che i fatti di cui alla contestazione originaria ed a quella suppletiva sono stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso.

Ugualmente infondato è il terzo motivo, in punto di indeterminatezza del capo di imputazione, in quanto la censura è manifestamente infondata. Anche in questo caso la sentenza impugnata ha legittimamente rigettato l’analoga questione sollevata con i motivi d’appello, osservando che l’eccezione risultava inammissibile perchè tardiva, oltre che infondata in punto di fatto.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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