Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 16-11-2011) 30-11-2011, n. 44593

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del Tribunale di Trento, emessa il 25.3.2010, T. K. veniva condannato all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di Euro 300 di ammenda, in quanto ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 660 cod. pen. per avere arrecato disturbo, a mezzo del telefono, a E.R., sua ex convivente.

L’affermazione di colpevolezza muoveva dal fatto che erano risultati nel periodo tra il 1.11.2008 ed il 10.12.2008 ben 334 contatti tra l’imputato e la E., fatto che avvalorava quanto aveva denunciata quest’ultima in data 30.11.2008 e che portava a ritenere in termini di petulanza il comportamento tenuto dall’imputato, lesivo della sfera di quiete e di libertà della persona. Veniva poi sottolineato che anche i pedinamenti subiti e lamentati dalla donna, dovevano rientrare nella previsione di cui all’art. 660 cod. pen. e che il dolo richiesto per la contravvenzione contestata ricorre anche quando il soggetto ritenga di esercitare un proprio diritto, ma in modo tale da arrecare molestia al soggetto passivo, con specifico malanimo.

2. Avverso tale pronuncia, proponeva appello la difesa dell’imputato, pur a fronte della previsione di cui all’art. 593 c.p.p., comma 3. La corte d’appello di Trento investita qualificava l’appello come ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 568 c.p.p. e trasmetteva gli atti a questa Corte.

Con l’atto di impugnazione la difesa dell’imputato ha sviluppato i seguenti quattro motivi.

2.1 mancata corrispondenza tra il fatto contestato ed il fatto ritenuto in sentenza: secondo la difesa, l’unica indagine espletata fu la verifica del traffico telefonico, ma la condanna si è incentrata sui presunti non contestati pedinamenti, dei quali vi è traccia solo nella denuncia-querela della E., che secondo la difesa sarebbero estranei alla contestazione.

2.2 mancanza di elementi probatori a carico dell’imputato in ordine a detta fattispecie di reato: mancherebbe qualsivoglia tipo di indagine in ordine ai denunciati pedinamenti; l’atto di querela poteva si essere considerato, atteso il tipo di rito scelto, però non poteva essere sottovalutato che quanto rappresentato dalla denunciante venne in buona parte smentito, tanto che il giudice pronunciò sentenza assolutoria per i fatti di violazione di domicilio ed appropriazione indebita.

2.3 carenza e contraddittorietà della motivazione: il giudice avrebbe omesso di valutare che le telefonate ed i messaggi intercorsi tra il T. e l’ E. erano assolutamente reciproci, sia in entrata che in uscita. Non solo, ma dall’esame del contenuto dei plurimi sms si sarebbe dovuto evincere che il dialogo tra i due non fu mai molesto, ma pacato e consenziente. Dato questo confermato anche dal testimoniale. Pertanto, mancherebbe la prova dell’elemento soggettivo (dolo specifico), atteso che il T. ebbe a comunicare con l’ E., nell’assoluta certezza di non recarle disturbo;

sarebbe poi carente anche il profilo oggettivo, atteso che non ricorre prova di condotta oggettivamente idonea a molestare, o disturbare terze persone, interferendo nell’altrui vita privata.

2.4 carenza di motivazione sulla condanna dell’imputato al risarcimento del danno ed alla rifusione delle spese, a favore della parte civile: la somma liquidata di Euro mille secondo la difesa a titolo di spese di costituzione si profila del tutto abnorme a fronte della mancata allegazione di qualsiasi attività difensiva espletata dalla difesa.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile, essendo i motivi manifestamente infondati. L’affermazione di colpevolezza per il reato contravvenzionale in oggetto è stata basata su un dato oggettivo incontestato (334 contatti registrati sull’utenza del T. verso l’utenza della E. in periodo di soli quaranta giorni, contatti anche notturni) inserito in un contesto di seria conflittualità tra i due ex conviventi, – tale da aver portato la donna a sostituire la serratura dell’alloggio un tempo comune, in cui l’imputato conservava ancora i suoi effetti personali – rappresentato dalla persona offesa. Nel ragionamento seguito dal primo giudice per addivenire all’affermazione di colpevolezza non è apprezzabile alcuna forzatura, in quanto la contestazione aveva riguardo proprio alla petulanza per mezzo del telefono, nel periodo 1.11.2008/10.12.2008: la circostanza che sia stato fatto riferimento al pedinamento subito dalla donna il 15.11.2008, a seguito del quale l’imputato ebbe a bloccarla per un braccio, non determina alcuna caduta di correlazione tra il fatto contestato e quello ritenuto, come è stato adombrato, atteso che l’episodio del pedinamento è stato utilizzato dal primo giudice come argomento rafforzativo di una realtà già delineata nei suoi contorni di illiceità e con attitudine dimostrativa dell’animus del prevenuto, informato alla volontà di interferire nella vita privata della donna.

Nè la pronuncia assolutoria,quanto alla denunciata violazione di domicilio ed alla sottrazione delle chiavi di accesso all’appartamento abitato dalla donna poteva portare alla patente di inaffidabilità delle sue dichiarazioni, atteso che non è stata smentita la realtà di fatto rappresentata, laddove è stato semplicemente escluso che in quella realtà fossero ravvisabili profili di illiceità penale, quanto all’elemento soggettivo. Certo è che questa realtà doveva essere letta – come lo fu dal primo giudice – come una chiara dimostrazione di un clima tutt’altro che amichevole tra i due e quindi tale da portare ad interpretare in chiave di invasione nell’altrui sfera di vita privata l’intensa attività posta in essere dall’imputato di contatto della donna con telefonate e messaggini, contrariamente a quanto suggerito dalla difesa. Corretta e senza forzatura alcuna è stata la valutazione delle emergenze disponibili.

Quanto poi all’ultimo motivo di gravame, nessun profilo di illegittimità è ravvisabile nella determinazione della misura del danno, liquidato in via equitativa in Euro mille, ovvero nella liquidazione delle spese di lite, in pari misura. La valutazione equitativa dei danni non patrimoniali è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, qualora sia stata soddisfatta l’esigenza di ragionevole correlazione tra gravità del danno e ammontare dell’indennizzo. La somma liquidata, sia a titolo di danno che a titolo di spese processuali, non è sicuramente di importo sproporzionato, collocandosi su basi minime, ragion per cui anche quest’ultimo motivo si profila manifestamente infondato.

Si impone quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; a tale declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *