Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-11-2011) 30-11-2011, n. 44430 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza del 4 giugno 2010, la Corte d’appello di Reggio Calabria, pronunciandosi nel giudizio di rinvio scaturito dalla sentenza di questa Corte del 12 marzo 2008, ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta dal ricorrente per la custodia cautelare patita per una serie di reati di turbativa d’asta e abuso d’ufficio, dai quali era stato: prosciolto con sentenza del 26 novembre 1998 del Tribunale di Reggio Calabria, in parte per prescrizione e in parte per amnistia, in relazione ai reati di abuso d’ufficio; nonchè assolto con sentenza dello stesso Tribunale del 5 dicembre 2000, in relazioni ai reati di turbativa d’asta.

Nel disporre il rinvio alla Corte d’appello, la Corte di cassazione ha statuito che questa dovrà: quanto al proscioglimento per i reati di cui all’art. 323 c.p., verificare se ciò sia avvenuto per abrogazione della norma incriminatrice (che esclude il diritto alla riparazione), ovvero se nel merito siano stati ritenuti non provati gli addebiti; quanto ai reati di cui all’art. 353 c.p., comma 2, valutare se esistono cause di esclusione del diritto all’indennizzo, a norma dell’art. 314 c.p.p., comma 1.

Nel dare applicazione a tali principi, la Corte d’appello rileva, con l’ordinanza censurata, che il proscioglimento è avvenuto a causa di prescrizione e di amnistia, con la conseguenza che non vi sarebbe diritto all’equo indennizzo. Aggiunge che, in ogni caso, sussisterebbe la colpa grave dell’interessato, perchè questo, quale componente della terna di funzionari che redigeva la scheda segreta nelle gare d’appalto, aveva fatto conoscere tale scheda ad alcuni dei partecipanti in diverse circostanze, secondo quanto risultava dagli atti al momento in cui la misura cautelare era stata disposta.

2. – Avverso tale provvedimento, l’interessato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, lamentando la violazione di legge e la contraddittorietà della motivazione.

Il ricorrente rileva, in primo luogo, che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto dell’intervenuta modifica legislativa dell’art. 323 c.p. ad opera della L. n. 234 del 1997. Nel caso di specie, la condotta tenuta dal pubblico ufficiale preposto alle gare si sarebbe inserita nei procedimenti relativi alle gare medesime, integrando il concorso con il reato di turbativa d’asta e facendo perdere autonomia alla fattispecie dell’abuso d’ufficio. Poichè la misura coercitiva risultava legittimata da più imputazioni, tra le quali l’abuso d’ufficio, la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare se, per il reato di abuso d’ufficio, "con la riformulazione intervenuta dovesse legittimarsi la custodia cautelare patita dal ricorrente".

Si deduce, in secondo luogo, che la Corte d’appello avrebbe travisato la portata della sentenza assolutoria resa dal Tribunale, sostituendosi al giudice di merito e fornendo una ricostruzione fattuale sostanzialmente conducente alla dichiarazione di colpevolezza del ricorrente, senza indicare prove utili a dimostrare quel nesso di causalità da cui far discendere gli estremi della colpa grave per il comportamento legittimante l’adozione la misura cautelare. In altri termini, la Corte avrebbe dovuto valutare elementi diversi da quelli posti a supporto dell’accertamento del reato.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è fondato e deve essere accolto, nei limiti qui precisati.

3.1. – Con il primo motivo di doglianza, si lamenta che – poichè la misura coercitiva risultata legittimata da più imputazioni, tra le quali l’abuso d’ufficio – la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare se, per il reato di abuso d’ufficio, "con la riformulazione intervenuta dovesse legittimarsi la custodia cautelare patita dal ricorrente".

Il motivo è manifestamente infondato.

Il ricorrente si limita, infatti, a generiche affermazioni circa l’eventualità che la riformulazione della fattispecie di cui all’art. 323 c.p. escludesse la custodia cautelare, riferendosi, peraltro, alla casistica giurisprudenziale relativa alla prescrizione dichiarata in appello, dopo la sentenza di condanna in primo grado per una pena inferiore al presofferto; casistica manifestamente estranea al caso di specie.

3.2. – Con il secondo motivo di ricorso, si deduce che la Corte d’appello non avrebbe indicato prove utili a dimostrare quel nesso di causalità da cui far discendere gli estremi della colpa grave per il comportamento legittimante l’adozione della misura cautelare; la Corte avrebbe dovuto, invece, valutare elementi diversi da quelli posti a supporto dell’accertamento del reato.

Il motivo è fondato.

Va preliminarmente richiamato l’orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità.

Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione. Condotte rilevanti in tal senso possono essere quelle di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione. A tal fine va anche apprezzata la condotta che si sia sostanziata nella consapevolezza dell’attività criminale altrui e, nondimeno, nel porre in essere una attività che si presti sul piano logico ad essere percepita come contigua a quella criminale (ex plurimis, Sez. un. 15 ottobre 2001, n. 34559; Sez. 4, 25 novembre 2010, n. 45418;

Sez. 4, 26 gennaio 2011, n. 7153).

Conformemente a tale orientamento, la sentenza di questa Corte che ha disposto il rinvio ha statuito che la Corte d’appello debba accertare se esistano, a prescindere da un giudizio sulla sussistenza di indizi di colpevolezza dell’imputato al momento dell’applicazione della misura cautelare, cause di esclusione del diritto alla riparazione.

Deve rilevarsi che il provvedimento impugnato – muovendo dall’assunto che l’assoluzione per il delitto di turbativa d’asta sia avvenuta a causa della condotta processuale delle persone che, avendo mosso accuse durante le indagini preliminari, si erano poi avvalse del diritto al silenzio in dibattimento – si limita ad affermare che la colpa grave dello stesso ricorrente risulta dagli atti, dai quali emergono effettivamente a suo carico, quegli indizi di colpevolezza che formavano il quadro probatorio esistente al momento della pronuncia dell’ordinanza di custodia cautelare. In particolare, la Corte territoriale afferma che, quanto al quadro degli elementi di accusa esistenti al momento dell’emanazione dell’ordinanza cautelare, la condotta causalmente rilevante doveva ravvisarsi nel fatto che l’interessato, come componente dell’ufficio competente lo svolgimento di gare per forniture alla pubblica amministrazione, aveva concorso con altri ad informare determinati concorrenti degli importi indicati nella busta segreta.

Con tale motivazione, la Corte d’appello finisce, però, per far coincidere le condizioni generali di applicabilità delle misure cautelari personali, di cui all’art. 273 c.p.p., con la colpa grave di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1, così facendo scorretta applicazione del principio di diritto enunciato dalla sentenza di questa Corte che ha disposto il rinvio.

4. – Ne deriva l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria, la quale non si limiterà ad effettuare un prognosi ex ante sulla colpevolezza dell’imputato, ma accerterà se esistano cause di esclusione del diritto alla riparazione, quali quelle elencate, a titolo esemplificativo, al precedente punto 3.2, e farà conseguire a tale accertamento la decisione se procedere o meno alla liquidazione dell’indennizzo.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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