Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-11-2011) 30-11-2011, n. 44429 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 13 ottobre 2009, la Corte d’Appello di Brescia, pronunciando in sede di rinvio della Quarta Sezione Penale di questa Corte, accoglieva parzialmente la domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta da C.G., liquidando in suo favore la somma di complessivi Euro 49.200, oltre alla rifusione delle spese di procedura.

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un unico motivo di ricorso deduceva il vizio di motivazione, lamentando che i giudici della riparazione, nell’adottare il criterio aritmetico di calcolo dell’indennizzo, si erano grandemente discostati dal limite massimo senza fornire adeguata motivazione e senza valutare l’eventuale attribuzione di somme aggiuntive per le conseguenze ulteriori derivanti dalla carcerazione sofferta.

Aggiungeva che, nella fattispecie, non vi erano state condotte, da parte sua, che avevano direttamente o indirettamente contribuito all’instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare, mentre, del tutto illogicamente, la Corte territoriale aveva escluso il danno all’immagine sul presupposto di una precedente condanna risalente nel tempo e riguardante una fattispecie di reato ormai depenalizzata e le ulteriori conseguenze determinate sul nucleo familiare in conseguenza dell’arresto.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Occorre preliminarmente ricordare come la giurisprudenza di questa Corte abbia ripetutamente precisato che, in tema di ingiusta detenzione, può essere soltanto verificato, in sede di legittimità, che il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo provvedimento, mentre il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione non è consentito, tranne nel caso in cui il sindacato sulla sufficienza o insufficienza dell’indennità riguardi una liquidazione effettuata discostandosi sensibilmente dai criteri usualmente seguiti, adottando criteri manifestamente arbitrari o immotivati oppure liquidando in modo simbolico la somma dovuta (Sez. 4 n. 10690, 18 marzo 2010; Sez. 4 n. 25901, 19 giugno 2009; Sez. 4 n. 26388, 9 luglio 2007).

Così delimitato l’ambito di operatività del giudizio di legittimità in tema di riparazione per ingiusta detenzione, va posta l’attenzione sul fatto che, secondo un indirizzo ormai consolidato, la quantificazione del danno attraverso il calcolo aritmetico viene effettuata sulla base della somma ricavata dal rapporto tra la somma massima prevista dall’art. 315 c.p.p., comma 2 e la durata massima della custodia cautelare, pari ad Euro 235,82 per ciascun giorno di detenzione, che può essere anche dimezzata nel caso di detenzione domiciliare in ragione della sua minore afflitti vita.

Si è tuttavia precisato (Sez. 4 n. 38266, 30 settembre 2009) che tale sistema di calcolo costituisce soltanto un criterio di base volto ad assicurare una certa uniformità ed oggettività di giudizio sottraendo la determinazione dell’indennizzo a valutazioni meramente soggettive e che le somme cosi individuate possono, comunque, essere aumentate o diminuite in considerazione delle dimostrate contingenze del caso concreto (fermo restando il limite massimo fissato dal menzionato art. 315 c.p.p.).

Si è anche aggiunto che tale valutazione, di evidente natura discrezionale, richiede da parte del giudice una congrua, ancorchè sintetica, motivazione, tale da rendere conto dei dati probatori valorizzati e delle conseguenti valutazioni, così da poter ripercorrere l’iter logico seguito per pervenire alla decisione.

Ciò posto, deve rilevarsi che l’impugnato provvedimento rende adeguatamente conto delle circostanze considerate ai fini della liquidazione.

Invero la Corte territoriale ha quantificato effettivamente la somma liquidata in misura di gran lunga inferiore all’importo massimo giornaliero ricavabile secondo i criteri dianzi indicati ma, contrariamente quanto ritenuto dal ricorrente e dal Procuratore generale nella sua requisitoria scritta, la determinazione dell’importo risulta adeguatamente giustificata e non evidenzia alcun profilo di arbitrarietà o manifesta illogicità.

I giudici del merito hanno infatti specificato che le conseguenze negative per il nucleo familiare di origine risultano solo dedotte e non dimostrate, che non risulta indicata l’attività lavorativa svolta all’epoca dell’arresto nè, tanto meno, il reddito percepito ed una sua eventuale contrazione a seguito della privazione della libertà ed, inoltre, che non risulta neppure dedotto un danno all’immagine.

L’assenza di tali significativi elementi di valutazione appare certamente determinante ai fini della quantificazione dell’indennizzo, indipendentemente dalla rilevanza attribuita dai giudici della riparazione a circostanze ulteriori.

Invero, il riferimento alla frequentazione con i coimputati viene effettuato dai giudici della riparazione quale dato fattuale di conferma della presenza in Lombardia del ricorrente e, pertanto, contrastante con l’affermazione di una attività di supporto economico al nucleo familiare che, in ogni caso, non risulta in alcun modo documentata.

Allo stesso modo, il criticato riferimento ai precedenti penali viene utilizzato per evidenziare la difficoltà anche di ipotizzare un danno all’immagine, anch’esso del tutto indimostrato.

Peraltro la linearità del percorso motivazionale seguito dai giudici della riparazione risulta evidente sulla base della semplice considerazione che si tratta di circostanze le quali avrebbero potuto essere agevolmente documentate dall’interessato.

In assenza di ulteriori dati significativi, giustamente la Corte territoriale ha tenuto conto esclusivamente dell’afflittività della privazione della libertà personale, delle conseguenze traumatiche della stessa e delle ripercussioni sui legami interpersonali.

In definitiva, l’ordinanza impugnata risulta adottata secondo quei criteri di ragionevolezza e coerenza richiesti dalla legge e, conseguentemente, risulta immune dalle censure mosse in ricorso.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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