Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-11-2011) 30-11-2011, n. 44428 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il 15 maggio 2007 D.S.E. depositò richiesta di riparazione per la ingiusta detenzione sofferta nel corso del procedimento in cui era stato imputato, in concorso con altri, dei delitti di cui agli artt. 416, 110, 81, 56 e 640 c.p., art. 61 c.p., n. 7 e artt. 110, 81 e 468 c.p., commessi in (OMISSIS), in relazione ai quali il G.I.P. del Tribunale di Roma, con ordinanza in data 27 ottobre 1998, aveva disposto la misura cautelare della custodia in carcere, poi sostituita dal Tribunale del riesame, con ordinanza del 16 febbraio 1999, con quella degli arresti domiciliari.

Sosteneva che il processo si era concluso con sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma il 18 luglio 2006, irrevocabile il 16 gennaio 2007, di assoluzione dai reati per i quali era stata chiesta la misura cautelare.

Con ordinanza del 15 novembre del 2007 la Corte dichiarò inammissibile la domanda proposta dagli altri ricorrenti e rigettò quella del D.S.. In particolare rilevò che, contrariamente a quanto esposto in domanda, vi era stata assoluzione solo per il reato associativo mentre per gli altri reati di tentata truffa continuata aggravata e di contraffazione delle impronte di una pubblica amministrazione, modificata l’originaria qualificazione dei fatti in quelli di cui all’art. 469 c.p., era stato dichiarato non doversi procedere per prescrizione.

Avverso tale ordinanza proponevano ricorso per Cassazione il D. S. e gli altri iniziali istanti. In tale fase si costituì l’Avvocatura dello Stato per il Ministero convenuto chiedendo il rigetto del ricorso.

Con sentenza del 18 marzo 2009 depositata il 19 novembre 2009, questa Corte Suprema dichiarò inammissibili i ricorsi degli altri istanti e, per quanto riguardava quello proposto dal D.S., annullò con rinvio alla Corte di Appello la statuizione relativa alla sua domanda. In particolare, dopo avere premesso che, in caso di pluralità di imputazioni ed assoluzione da alcuni reati e proscioglimento da altri per prescrizione, occorreva discernere le imputazioni che avevano legittimato ed erano state alla base del provvedimento restrittivo della libertà e per quale periodo, da quelle che non avevano determinato la misura custodiale, rilevava che la Corte di Appello non aveva operato alcuna distinzione tra i reati in relazione ai quali era intervenuta la pronuncia di prescrizione e quelli più gravi in relazione ai quali era intervenuta una pronuncia di assoluzione nel merito. Inoltre non aveva verificato: "se le imputazioni dalle quali il ricorrente era stato prosciolto per prescrizione costituissero di per sè sole titolo legittimo per l’avvenuta restrizione della libertà".

La Corte del rinvio,con ordinanza del 9 marzo del 2010, ha rigettato la domanda per la presenza di colpa grave.

A fondamento della decisione ha osservato che nel giudizio di merito si era accertato che l’attività svolta dal ricorrente e dai compartecipi era consistita in una frenetica formazione di falsi titoli di credito della B.N.L., consegnati ad intermediari per l’ulteriore trasmissione a chi li avrebbe presentati ad altri istituti di credito nonchè nella formazione di altri documenti che attestavano falsamente l’esistenza di depositi di titoli dello Stato presso la B.N.L., inviati dal D.S. su richiesta dei compartecipi. Secondo la corte il notevole numero di persone coinvolte che ruotavano intorno a tali operazioni, dovette di certo indurre gli inquirenti a ritenere, in concreto, di trovarsi in presenza non di episodi isolati ma di un’articolata associazione per delinquere finalizzata alla commissione di un numero indeterminato di truffe. In sostanza, tali condotte illecite, secondo le regole di esperienza comunemente accettate, erano tali da creare una situazione di allarme sociale per quella che appariva un’associazione per delinquere e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo. In definitiva la pluralità dei fatti accertati aveva indotto gli investigatori a ritenere che si fosse in presenza di un’articolata associazione. Non si poteva quindi escludere che vi fosse la colpa, considerato che il D.S., per la sua professione di avvocato, era perfettamente a conoscenza del rischio che correva qualora scoperto, avuto riguardo anche ai suoi precedenti penali ed alle pendenze per gravi reati commessi prima dell’emissione del provvedimento restrittivo.

Ricorre per cassazione l’imputato per mezzo del proprio difensore deducendo:

1) Contraddittorietà della motivazione anche sotto il profilo del travisamento dei fatti e mancata applicazione del principio di diritto enunciato da questa Corte suprema: assume che quella territoriale aveva erroneamente ritenuto che il D.S. fosse plurindagato e pregiudicato al momento dell’emissione della custodia cautelare e, benchè avesse riconosciuto che per i reati minori non poteva essere emessa ordinanza di custodia cautelare, aveva ravvisato la colpa proprio nella perpetrazione di tali reati;

2) omessa motivazione sull’illegittimità dell’ordinanza di custodia cautelare emessa in violazione degli artt. 273 e 280 c.p.p.;

3) ininfluenza della prescrizione sull’equa riparazione sotto vari profili: in proposito si precisa anzitutto che la sentenza con cui era stata dichiarata la prescrizione non era stata appellata perchè all’epoca non era consentita tale impugnazione;si osserva poi che per i reati minori erano state avanzate dal pubblico ministero due richieste contraddittorie: una di archiviazione e l’altra di rinvio a giudizio e che non era stata disposta una perizia per accertare la sussistenza dei falsi che gli erano stati contestati.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi Con riferimento al primo motivo si rileva che non v’è stata alcuna violazione del principio di diritto enunciato da questa Corte Suprema nella sentenza di annullamento.

Invero originariamente la Corte d’appello aveva escluso il diritto alla riparazione anche e soprattutto perchè per alcuni reati vi era stato il proscioglimento per prescrizione e non l’assoluzione. Sul punto questa Corte, accogliendo la doglianza dell’interessatola enunciato il principio che l’equa riparazione non può essere esclusa per la mera pronuncia di proscioglimento per prescrizione,ma occorreva accertare se per il reato estinto per prescrizione fosse prevista la custodia cautelare ed esaminare comunque nel merito la richiesta di riparazione.

Orbene la Corte si è attenuta a tale principio perchè ha accertato che per i reati minori ritenuti in sentenza non era prevista la custodia cautelare ed ha esaminato nel merito la domanda rigettandola per la presenza di colpa grave. Ha ravvisato la colpa grave nella plurima reiterazioni dei reati minori i quali avevano indotto gli investigatori, proprio per il numero dei reati stessi e per la loro natura,a ritenere che si fosse in presenza non di un semplice concorso di reati ma di un sodalizio criminoso costituito proprio per perpetrare tali reati. In proposito ha sottolineato che il tribunale aveva dichiarato la prescrizione dopo avere accertato la sussistenza dei reati.

Tale ragionamento non presenta alcuna contraddizione. Premesso che una medesima situazione di fatto, esaminata sotto profili diversi ed in base ad ordinamenti diversi, può generare effetti diversi:assoluzione nel processo penale e disconoscimento del diritto all’indennizzo in quello civile, si osserva che ciò che distingue l’associazione criminosa dal concorso di persone nel reato consiste nel fatto che nella prima il vincolo permane anche oltre la realizzazione del delitto scopo ed a prescindere da esso e che uno degli elementi dai quali si può desumere l’esistenza del vincolo associativo può essere costituito proprio dalla plurima realizzazione di reati da parte delle medesime persone. Coloro che compiono in concorso tra loro plurimi reati hanno la consapevolezza che la reiterazione dei fatti potrebbe essere interpretata come prova della sussistenza del sodalizio criminoso ed accettano il rischio. Il fatto che nella fattispecie la reiterazione dei reati sia stata ritenuta elemento insufficiente a sostenere la sussistenza di un sodalizio criminoso, non significa anche mancanza di colpa da parte di colui il quale, in concorso con altri, ha sistematicamente reiterato il medesimo reato, giacchè con tale comportamento l’autore di tale reato ha ingenerato negli investigatori il convincimento della sussistenza del sodalizio criminoso, proprio perchè uno degli elementi dai quali si può desumere la sussistenza di tale sodalizio è costituito proprio dalla sistematica reiterazione da parte delle medesime persone dello stesso reato.

Manifestamente infondato è anche il secondo motivo perchè la Corte non ha ritenuto legittima l’adozione della misura cautelare, ma ha solo sottolineato che il D.S. con il suo comportamento aveva contribuito per la ragione innanzi indicata all’adozione di tale misura. Ha inoltre precisato che la misura di prevenzione della sorveglianza speciale era stata inflitta anche per fatti diversi da quelli oggetto del procedimento penale in esame.

Con riferimento al terzo motivo, premesso che la sentenza di proscioglimento per prescrizione, se all’epoca della sua pronuncia non era appellabile, era comunque ricorribile in cassazione, ricorso che non è stato proposto con conseguente passaggio in giudicato della decisione, si osserva che con tale articolata censura l’interessato mira in sostanza a dimostrare in contrasto con quanto risulta dalla sentenza di merito l’insussistenza dei fatti per i quali sarebbe stato pronunciato il proscioglimento per prescrizione e quindi l’insussistenza degli elementi sui quali sarebbe stata fondata la colpa. In proposito la Corte del rinvio ha precisato che il proscioglimento per prescrizione era stato pronunciato dopo l’accertamento dei fatti contestati ai capi b) e c).In relazione a tali fatti il Tribunale ha espresso un giudizio di certezza, modificando solo la qualificazione giuridica dei fatti di cui al capo C) in quelli di cui all’art. 469 c.p. in quanto, in sostanza, non erano stati rinvenuti i timbri originali contraffatti dei notai Gamberale e Condemi, nonchè della Banca Nazionale del Lavoro, ma solo le impronte degli stessi.

In particolare, il Tribunale, dopo lunga e dettagliatissima ricostruzione di tutti i fatti, ha ritenuto che: "emerge, in tutta evidenza, la responsabilità del D.S. in ordine ai reati a lui ascritti ai capi B) e C)… un’ulteriore conferma della consapevole partecipazione dell’imputato all’attuazione del programma criminoso la si evince infine dall’insistenza con la quale ha portato avanti l’operazione, senza mai tentare di verificare presso l’istituto emittente, e tanto meno presentare denunce nonostante le ripetute difficoltà incontrate dalla MCGI, nella spendita del safekeeping, inequivocabilmente riconducibile alla falsità dei titoli ed all’esito negativo dei controlli".

Tuttavia il tribunale, pur dando atto del protrarsi nel tempo di tali azioni e della loro attuazione seriale, ha ritenuto che le stesse fossero la conseguenza di accordi presi di volta in volta in considerazioni delle difficoltà incontrate e non di un preventivo programma criminosa. Ora il compimento di tali condotte anche se per il tribunale non erano idonee a configurare l’esistenza del sodalizio criminoso, costituiscono tuttavia comportamenti tali da far sorgere negli investigatori la convinzione di essere in presenza di una vera e propria societas sceleris.

Concludendo, se è vero che il proscioglimento per la declaratoria di estinzione per prescrizione di un reato, per il quale, sia pure a seguito della diversa qualificazione del fatto da parte del giudice, non era consentita la carcerazione preventiva, non esclude di per sè il diritto alla riparazione, è altrettanto certo che i fatti oggetto del reato estinto possono essere apprezzati ai fini della configurabilità della colpa allorchè siano stati accertati dal giudice del merito.

P.Q.M.

La Corte letto l’art. 616 c.p.p. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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