Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-11-2011) 30-11-2011, n. 44424

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza dell’8 luglio 2010, la Corte d’Appello di Bologna confermava la decisione con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, il G.I.P. del Tribunale di quella città affermava, in data 22 settembre 2009, la penale responsabilità di S.J. P., S.G. e SI.Jo. imputati, unitamente ad altro soggetto ( S.L.) nei confronti del quale la sentenza era divenuta irrevocabile, dei reati di cui agli artt. 81 cpv., 110 e 609octies c.p., in relazione all’art. 609bis c.p., n. 1 e art. 609ter c.p., n. 2.

Tale condotta si era concretata in una violenza sessuale di gruppo in danno di G.M., la quale veniva costretta a ripetuti rapporti sessuali vaginali, anali ed orali dopo essere stata condotta dai predetti, consapevoli delle sue condizioni di inferiorità psichica, presso un casolare ove, al fine di vincerne definitivamente l’eventuale resistenza, le facevano assumere massicce quantità di sostanze alcooliche.

Avverso tale decisione i predetti proponevano separati ricorsi per cassazione.

S.J.P. deduceva, con un primo motivo di ricorso, la mancanza della motivazione, rilevando che gli stessi giudici del gravame avevano riconosciuto la sinteticità delle argomentazioni svolte dal giudice di prime cure, caratterizzate da ripetuti richiami per relationem al contenuto di altri provvedimenti e che venivano fatte proprie dalla Corte territoriale senza alcun arricchimento di carattere contenutistico mentre, al contrario, si sarebbe dovuto rilevare il difetto di motivazione.

La Corte d’Appello aveva inoltre omesso, a suo dire, di considerare il contenuto delle dichiarazioni di due testimoni estranee ai fatti le quali, giunte sul luogo ove il reato si assumeva essere stato commesso, avevano indicato il ricorrente come addormentato all’interno di una vettura.

Con un secondo motivo di ricorso deduceva la violazione degli artt. 192 e 194 c.p.p., lamentando che la Corte territoriale aveva omesso ogni controllo in merito alla attendibilità della persona offesa, limitandosi a ritenere il suo racconto affidabile e lineare, mentre palese era il contrasto con le dichiarazioni rese dalle testimoni predette.

SI.Jo. e S.G. presentavano due ricorsi distinti ma di contenuto perfettamente identico.

Con il primo motivo di ricorso deducevano la violazione di legge ed il vizio di motivazione, asserendo che i giudici dell’appello si erano limitati a valorizzare le generiche e contraddittorie dichiarazioni della persona offesa. senza tener conto che nel caso in esame doveva ritenersi operante la fattispecie di cui all’art. 47 c.p., sussistendo un errore di fatto, consistente nella supposizione del consenso al rapporto sessuale da parte della donna la cui apparente disponibilità, desunta anche da precedenti rapporti sessuali con altri due coimputati, li avrebbe indotti ad una rappresentazione della realtà diversa da quella effettiva.

Con un secondo motivo di ricorso deducevano la violazione di legge ed il vizio di motivazione, osservando che gli atti sessuali si erano svolti in un unico contesto spazio – temporale, come riconosciuto dalla Corte territoriale che tuttavia, cadendo in contraddizione, riconosceva subito dopo l’ammissibilità della continuazione tra i singoli episodi di violenza, non tenendo quindi conto della unicità della condotta materiale posta in essere dagli imputati.

Tutti insistevano, pertanto, per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

Motivi della decisione

I ricorsi sono infondati.

Occorre in primo luogo osservare, seguendo la sequenza dei singoli motivi di ricorso, che la Corte territoriale ha correttamente valutato il contenuto della sentenza del giudice di prime cure, fornendo puntuale risposta alla doglianza mossa con l’atto di appello e riproposta in questa sede.

I giudici del gravame hanno infatti evidenziato come la sentenza, pur contenendo frequenti richiami al contenuto di altri provvedimenti, lo fa espressamente proprio ed evidenzia di condividerne i contenuti attraverso valutazioni autonome definite dalla stessa Corte, "brevi e concise".

Tale assunto appare perfettamente in linea con il generale principio di legittimità della motivazione per relationem, atteso che non è stata in alcun modo posta in dubbio la congruità e la pertinenza ai fatti contestati dei provvedimenti richiamati ed il giudice, attraverso le proprie autonome valutazioni, la cui concisione non assume certo rilievo, ha dato conto di aver preso cognizione dei contenuti delle argomentazioni poste a sostegno dei provvedimenti richiamati giudicandole coerenti con la sua decisione.

Ne consegue che, giustamente, la Corte d’Appello ha ritenuto che una motivazione così formulata consentisse comunque il controllo della fondatezza degli elementi di giudizio su cui si reggeva la decisione impugnata.

Altrettanto puntuale risulta la valutazione in ordine alla attendibilità della persona offesa.

Contrariamente a quanto sostenuto nei ricorsi, le dichiarazioni della vittima dei ripetuti abusi sono state sottoposte a rigoroso vaglio critico, tenendo conto delle condizioni psichiche della dichiarante ed analizzandone puntualmente i contenuti.

La Corte territoriale non si è limitata ad un superficiale giudizio di attendibilità osservando, invece, come nel racconto della donna abusata fossero presenti particolari rilevanti che denotavano una normale percezione della realtà e capacità critica nel distinguere situazioni, soggetti e comportamenti, oltre ad una corretta collocazione spazio – temporale dei singoli eventi.

I giudici del merito hanno inoltre evidenziato che il racconto, ritenuto coerente, privo di contraddizioni e contrasti essenziali con l’impianto probatorio risultante dal dibattimento, trovava conferma in numerosi riscontri obiettivi, quali le lesioni riportate dalla donna a seguito della violenza e che la stessa, dimostrando ulteriormente di essere credibile, ha distinto da altre che si era procurata accidentalmente, i biglietti ferroviari che documentavano gli spostamenti riferiti, il ritrovamento di bottiglie di alcoolici e di un preservativo all’interno del casolare ove erano avvenute le violenze.

Anche il dedotto contrasto con le dichiarazioni di due testimoni, enfatizzato dalla difesa, è stato spiegato dalla Corte territoriale in maniera del tutto plausibile, osservando come l’unico contributo fornito dalle testimoni riguardava la presenza di S.G. dormiente all’interno di una vettura alle 3,30 del mattino, circostanza del tutto inidonea ad inficiare l’attendibilità della persona offesa, la quale aveva riferito che gli imputati l’avevano violentata a turno, mentre gli altri attendevano al di fuori della stanza ove lei era stata costretta a rimanere, cosicchè tale dato fattuale era perfettamente compatibile con la sequenza temporale degli eventi e non poteva comunque escludersi che, a quell’ora, il predetto avesse già abusato della donna in precedenza.

La non manifesta illogicità di tale valutazione non consente, pertanto, censure in questa sede di legittimità.

Parimenti destituito di fondamento è il riferimento alla possibile sussistenza di un errore di fatto indotto dalla apparente disponibilità della persona offesa al contatto sessuale.

La Corte territoriale ha dettagliatamente descritto, come si è già detto, lo svolgimento dei fatti, dando anche atto della perfetta consapevolezza, da parte degli imputati, delle condizioni psichiche della donna, indicate dal consulente tecnico che ebbe ad esaminarla, come percepibili immediatamente anche da soggetto non professionalmente qualificato, nonchè della induzione della stessa, da parte dei prevenuti, alla consumazione di elevate quantità di sostanze alcooliche per vincerne l’eventuale resistenza.

Viene inoltre dato atto in sentenza che la donna venne spogliata dagli stessi violentatori e che le numerose lesioni riscontrate sul suo corpo erano state ritenute dal giudice di prime cure segno evidente della natura non consensuale dei rapporti sessuali.

Va peraltro osservato come in ricorso ci si limiti esclusivamente ad invocare genericamente l’applicabilità, nella fattispecie, dell’art. 47 c.p., senza tuttavia specificare sulla base di quali elementi concreti i giudici del merito sarebbero dovuti pervenire ad una tale conclusione.

Del tutto corretta appare, infine, la applicazione della continuazione tra i singoli episodi di violenza che era stata oggetto di doglianza nei motivi di appello.

Anche in questo caso la Corte territoriale ha fornito argomentazioni del tutto coerenti e logiche non cadendo in alcuna contraddizione ed adeguandosi ai principi fissati dalla giurisprudenza di questa Corte che ha correttamente richiamato.

Va a tale proposito ricordato che, ai fini della configurabilità del reato in esame, non è richiesto l’accordo preventivo dei partecipanti, essendo sufficiente una consapevole adesione, anche estemporanea, all’altrui progetto criminoso (Sez. 3, n. 34212, 22 settembre 2010) e risponde di tale reato anche chi, pur non avendo compiuto atti di minaccia o di violenza, dia comunque un contributo causale alla commissione del fatto, anche solo partecipando ad un segmento dell’azione delittuosa (Sez. 3, n. 8775, 4 marzo 2011; n. 15089, 20 aprile 2010; n. 11560, 25 marzo 2010; Sez. 3, n. 2348, 29 gennaio 2004).

Non è inoltre richiesto che l’atto sessuale sia compiuto contemporaneamente da tutti i partecipanti, essendo sufficiente la mera presenza di tutti anche se l’atto viene posto in essere a turno da ciascuno (Sez. 3, n. 42111, 15 novembre 2007) poichè, in tal caso, permane l’effetto intimidatorio derivante dalla consapevolezza, da parte della vittima, di essere in balia di un gruppo di persone, con accrescimento, quindi, del suo stato di prostrazione ed ulteriore diminuzione della possibilità di sottrarsi alla violenza (Sez. 3, n. 45970, 19 dicembre 2005).

La Corte territoriale, nel ritenere applicabile, nella fattispecie, la continuazione tra i singoli episodi di violenza, richiama il principio secondo il quale "…allorchè gli atti sessuali non vengano posti in essere in unico contesto temporale, ma intercorra un apprezzabile periodo di tempo fra i vari episodi, ciascuno dei quali caratterizzalo dalla ripresa dell’azione violenta in danno della vittima, viene in tal modo a configurarsi una censura tra i singoli fatti, ognuno dei quali costituente reato, con conseguente ravvisabilità del vincolo della continuazione" (Sez. 3, n. 45970/05, cit).

Nei ricorsi proposti da SI.Jo. e S.G. nel richiamo a tale principio viene ravvisato, tuttavia, un elemento di contraddizione rispetto alla considerazione, effettuata dai giudici del gravame, che la violenza avvenne "…m una sequenza continuativa di azioni in stretta relazione causale le une rispetto alle altre…".

Tale assunto appare, però, destituito di fondamento.

Come chiaramente specificato nella richiamata decisione, infatti, proprio la circostanza che la violenza non debba essere consumata necessariamente da tutti i partecipanti contemporaneamente bastando, ai fini della configurabilità del reato in esame, la mera presenza di tutti ed il compimento dell’atto sessuale a turno, rende evidente che ognuna delle azioni di violenza sessuale posta in essere dagli imputati singolarmente e dagli altri correi assume i caratteri propri del reato contemplato dall’art. 609octies c.p..

Si aggiunge, poi, che è certamente connaturale a tale fattispecie criminosa la commissione da parte degli esecutori del reato di una pluralità di atti di violenza sessuale in danno della vittima, cosicchè la commissione del reato permane finchè si protraggono gli abusi sessuali ma, nel caso in cui questi non vengano compiuti in un unico contesto temporale ed intercorra un lasso di tempo apprezzabile tra i singoli accadimenti, con una rinnovata azione violenta nei confronti della vittima, viene a verificarsi quella cesura tra i singoli fatti costituenti reato e la conseguente reiterazione della condotta criminosa che unifica con il vincolo della continuazione i singoli episodi succedutisi nel tempo.

Alla luce di tali condivisibili considerazioni, appare del tutto evidente che i giudici del gravame non sono incorsi in alcuna contraddizione riconoscendo la continuazione tra i singoli episodi, poichè dalla stessa sequenza temporale degli eventi emerge chiaramente che vi erano i presupposti per riconoscerne la sussistenza.

I giudici del merito pongono infatti in evidenza la circostanza che la violenza venne sì effettuata a turno dagli imputati che si alternavano tra loro, ma anche che ciascuno violentò la donna più volte costringendola a rapporti sia vaginali che anali, mentre, come emerge nella precedente descrizione dei fatti, gli ultimi e più violenti rapporti sessuali, anche orali, cui la donna venne sottoposta, furono consumati con S.L., cosicchè risulta del tutto coerente e logico il riconoscimento di una situazione nella quale vi fu certamente una reiterazione delle condotte criminose da parte di ciascun imputato anche con modalità diverse.

Ne consegue che, pure sotto tale profilo la sentenza impugnata deve ritenersi immune da censure.

I ricorsi devono pertanto essere rigettati, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti ciascuno al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2011
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *