Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-11-2011) 30-11-2011, n. 44422

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 9 dicembre del 2010, confermava quella resa dal tribunale della medesima città il 7 dicembre del 2007, con cui C.P. era stato condannato alla pena ritenuta di giustizia, quale responsabile, in concorso di circostanze attenuanti generiche e di quella della lieve entità del fatto, di abuso sessuale in danno della propria moglie B.L. dalla quale viveva separato.

Nella sentenza impugnata il fatto è stato ricostruito nella maniera seguente B.L. contrasse matrimonio con il C. nell’anno (OMISSIS). Nel 2000 si separò di fatto dal marito, trasferendosi nell’abitazione paterna. Nel settembre 2001 chiese la separazione giudiziale e, in data 18.2.2002, il Presidente del Tribunale di Napoli, esperito infruttuosamente il tentativo di conciliazione, autorizzò i coniugi a vivere separati. Nell’agosto 2002, alla vigilia della partenza per una vacanza in montagna, la B. aveva ripetutamente telefonato al prevenuto, chiedendogli il permesso di recarsi a casa onde prelevare un suo paio di scarpe da trekking e una valigia. Il C., dapprima aveva tergiversato e poi le aveva dato appuntamento per la sera del 7 agosto, convenendo di incontrarsi presso il suo studio. La parte lesa nella sua deposizione ha precisato che, giunti presso la casa coniugale, del tutto proditoriamente, mentre essa stava prelevando da uno scaffale documentazione di sua pertinenza, il C. aveva cominciato a palpeggiarla, suscitando la reazione stizzita della donna che l’aveva invitato a comportarsi seriamente e a consegnarle subito le scarpe e la valigia, poichè desiderava immediatamente andare via. Per tutta risposta, però, il C., con forza, l’aveva trascinata in camera da letto, spingendola sul letto; l’aveva poi tenuta bloccata ponendo il suo corpo su quello di lei e, in tale frangente, aveva estratto dalla tasca un paio di manette, legandole entrambi i polsi.

Quindi aveva tentato di baciarla e di strapparle i vestiti. La B., sconvolta dal comportamento del ex coniuge, piuttosto che opporre resistenza, aveva preferito simulare arrendevolezza, ma al contempo aveva chiesto all’uomo la possibilità di recarsi prima in cucina per bere dell’acqua. A quel punto, però, aveva aperto la porta di casa ed era fuggita, riuscendo a scendere una prima rampa di scale. Il C. l’aveva inseguita come un "ossesso" e, raggiuntala, aveva cominciato a trascinarla con forza allo scopo di farla rientrare in casa. La parte lesa, che era riuscita a liberare un polso dalle manette, aveva opposto resistenza, aggrappandosi con una mano alla ringhiera delle scale, mentre il C. le tirava con forza l’altro braccio, ma soprattutto aveva iniziato al urlare e ad invocare aiuto. Le sue implorazioni avevano sortito l’effetto sperato, giacchè alcuni condomini erano accorsi, riuscendo a liberala dalla presa dell’uomo. Quindi l’avevano condotta nella loro abitazione, consentendole di chiamare i CC e poi l’avevano anche accompagnata in caserma.

Il prevenuto si era giustificato asserendo che, una volta a casa, la B. si era subito portata nei pressi di uno scaffale, esaminando quanto riposto sui ripiani, ma aveva assunto un’innaturale posizione, si era cioè piegata in avanti a novanta gradi e volgendogli il di dietro. In tale posa si era trattenuta a lungo e, dato il poco spazio rimasto per il passaggio, egli per recarsi in bagno, era stato costretto a sfiorarla. Precisava che aveva ritenuto di leggere in quella posa un’evidente provocazione sessuale che gli aveva risvegliato il desiderio. Pertanto, giunti in camera da letto e dopo che la B. si era seduta sulla sponda del letto, aveva prelevato dal comodino un paio di manette, mettendogliele ai polsi, certo di "farle cosa gradita", giacchè, durante la convivenza, la moglie gli aveva manifestato il desiderio di essere legata con foulard durante i rapporti sessuali Ha aggiunto che, dopo che le aveva messo le manette, la B. gli aveva chiesto di procrastinare di poco l’atto sessuale, poichè si sentiva particolarmente appesantita per l’abbondante cena e si era apparentemente diretta in cucina con la scusa di bere un bicchiere d’acqua, ma al contrario aveva aperto la porta dell’abitazione e fermandosi sul pianerottolo aveva iniziato ad urlare a gran voce e a chiedere aiuto. Ha ammesso di essere intervenuto e di aver anche con forza tentato di trascinarla in casa, ma solo allo scopo di evitare uno scandalo e di prevenire l’intervento dei vicini, così tentando soltanto di tutelare la sua immagine di persona estremamente riservata.

I giudici del merito hanno ritenuto attendibile la persona offesa la quale aveva deposto con serenità, pur non dissimulando la sua esasperazione per le reiterate condotte persecutorie e invasive perpetrate in suo danno. La sua deposizione è stata considerata precisa, dettagliata ed è stata confermata, non solo dai vicini di casa ma, sia pure in parte, anche dalle stesse parziali ammissioni del prevenuto.

Ricorre per cassazione l’imputato per mezzo del proprio difensore sulla base di due motivi.

All’odierna udienza il Procuratore generale ed il difensore hanno concluso chiedendo rispettivamente la declaratoria d’inammissibilità del ricorso e l’accoglimento dello stesso.

1) la violazione dei criteri di valutazione delle prove per avere i giudici del merito fondato l’affermazione di responsabilità sulle sole dichiarazioni della persona offesa, avendo ritenuto priva di rilievo le giustificazioni dell’imputato.

2) Illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento anche al travisamento della prova: sostiene in proposito che la Corte aveva erroneamente ricostruito i fatti allorchè aveva sostenuto che il prevenuto per recarsi in bagno era stato costretto a sfiorare la donna, invece l’imputato aveva dichiarato l’esatto contrario di quanto ritenuto in sentenza, aveva cioè dichiarato che, pur volendo andare in cucina per bere un bicchiere d’acqua, vedendo la moglie assumere quella posizione innaturale e provocatoria, aveva deciso di rifugiarsi in bagno rinunciando ad andare in cucina.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dei criteri di valutazione delle prove per avere i giudici del merito fondato l’affermazione di responsabilità sulle sole dichiarazioni della persona offesa, avendo ritenuto prive di rilievo le giustificazioni dell’imputato.

Con il secondo motivo si deduce illogicità e contraddittorietà della motivazione per travisamento della prova: sostiene in proposito che la Corte aveva erroneamente ricostruito i fatti allorchè aveva sostenuto che il prevenuto per recarsi in bagno era stato costretto a sfiorare la donna, invece l’imputato aveva dichiarato l’esatto contrario di quanto ritenuto in sentenza, aveva cioè dichiarato che, pur volendo andare in cucina per bere un bicchiere d’acqua, vedendo la moglie assumere quella posizione innaturale e provocatoria, aveva deciso di rifugiarsi in bagno rinunciando ad andare in cucina.

Il ricorso è inammissibile.

Con riferimento al primo motivo si rileva che il ricorrente sotto l’apparente deduzione della violazione dei criteri di valutazione degli indizi in realtà contesta l’apprezzamento delle prove da parte dei giudici del merito le cui motivazioni non presentano alcun errore giuridico o incoerenza.

Anzitutto va ribadito che in questa materia l’affermazione della responsabilità si può fondare sulla sola dichiarazione della parte lesa allorchè ovviamente sia ritenuta attendibile.

Nella fattispecie i giudici del merito hanno rilevato che le dichiarazioni della parte lesa erano non solo credibili ma erano state asseverate da altri elementi obiettivi, quali le contusioni reperiate nell’immediatezza dei fatti e le dichiarazioni dei condomini, i quali hanno ammesso di essere stati allertati dalle grida della donna ed hanno precisato di avere visto l’uomo mentre trascinava la moglie per farla rientrare in casa. D’altra parte lo stesso imputato non ha negato di avere tentato un approccio sessuale e si è giustificato assentendo di avere ritenuto che la donna potesse essere consenziente. Ma la tesi del consenso resta smentita dall’aggressione nella scalinata e dalle invocazioni di aiuto della donna.

Manifestamente infondato è anche il secondo motivo In proposito si rileva anzitutto che secondo il consolidato orientamento di questa Corte il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione quando la decisione impugnata abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", essere superato il limite costituito dal "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Cass. n. 19710 del 2009; n. 5223 del 2007; n. 24667 del 2007).

Si osserva poi che il vizio di motivazione per travisamento della prova si può dedurre nell’ipotesi in cui il giudice del merito abbia fondato il suo convincimento su di una prova inesistente ovvero su di un risultato probatorio incontestabilmente diverso da quello reale e che tale divergenza abbia inciso sul convincimento del giudice.

Nella fattispecie, secondo lo stesso ricorrente, la divergenza riguarderebbe l’interpretazione della giustificazione del prevenuto nel senso che le dichiarazioni del predetto sarebbero state erroneamente riportate in sentenza. Invero la Corte aveva affermato che, secondo il ricorrente, la donna nel prelevare le scarpe dallo scaffale, aveva assunto "una posizione innaturale piegandosi in avanti a novanta gradi e volgendogli il sedere ed in tale posa si era trattenuta a lungo e, dato, il poco spazio rimasto per il passaggio, l’uomo per recarsi in bagno era stato costretto a sfiorarla". Invece l’imputato aveva dichiarato che pur volendo andare in cucina per bere un bicchiere d’acqua, vedendo la moglie assumere quella posizione innaturale e provocatoria aveva deciso di rifugiarsi nel bagno ed aveva rinunciato a recarsi in cucina proprio per evitare di sfiorarla.

Orbene a prescindere dal rilievo che per il principio dell’autosufficienza del ricorso il prevenuto aveva l’onere di allegare il verbale per dimostrare il proprio assunto, si rileva che la divergenza, ancorchè sussistente, non ha avuto alcuna incidenza sull’affermazione di responsabilità, perchè il giudice non ha tratto alcun elemento di prova dal presunto sfioramento, ma ha riportato le dichiarazioni dell’imputato solo per dimostrare la fragilità del suo assunto.

Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella specie, non sussistono elementi per ritenere che la parte "abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità alla declaratoria della inammissibilità medesima segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè, quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento della somma di Euro mille 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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