Cass. civ. Sez. I, Sent., 19-06-2012, n. 10054 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I ricorrenti indicati in rubrica hanno proposto ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi, nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze avverso il decreto in data 7 gennaio 2009, con il quale la Corte di appello di Roma ha rigettato la domanda di equa riparazione proposta, L. n. 89 del 2001, ex art. 2, da F. e L.P., quali eredi di A.R. G., e da S.P., quale erede di M. S., per violazione del termine ragionevole di durata di un giudizio promosso davanti al Tar Lazio con ricorso del gennaio 1995 e deciso in grado di appello con sentenza del Consiglio di Stato depositata il 6 marzo 2006, ed ha invece accolto le domande proposte dagli altri ricorrenti in relazione al medesimo giudizio presupposto, condannando il Ministero intimato a corrispondere a ciascuno di loro la somma di Euro 6.000,00, oltre agli interessi legali a decorrere dalla data del decreto.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto difese.

Nell’odierna camera di consiglio il collegio ha deliberato che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Motivi della decisione

Con i primi due motivi i ricorrenti – esclusi L.F., L.P. e S.P. – censurano il decreto impugnato, deducendo che:

– sull’importo liquidato gli interessi legali sono stati conteggiati a decorrere dalla data del decreto e non da quello della domanda (primo motivo);

– le spese processuali sono state liquidate in misura inferiore ai minimi inderogabili e in violazione dei criteri stabiliti per le cause riunite (secondo motivo).

Con il terzo, quarto e quinto motivi le restanti ricorrenti deducono che – diversamente da quanto affermato dalla Corte di appello, secondo cui le eredi, non essendosi costituite nel giudizio presupposto, potevano far valere soltanto il diritto maturato dal loro dante causa fino al decesso, che nella specie era però intervenuto prima del superamento del termine ragionevole di durata del processo – agli eredi della parte del processo presupposto gravato da ritardo spetta l’equa riparazione per l’intera durata ritenuta non ragionevole e quindi anche per il lasso di tempo successivo alla morte del de cuius, anche nel caso che gli eredi stessi non si siano costituiti in giudizio.

Il primo motivo è manifestamente fondato, in quanto per giurisprudenza costante gli interessi legali corrisposti sulla somma dovuta a titolo di equa riparazione vanno riconosciuti dal momento della domanda e non da quello di pubblicazione del decreto (Cass. 2003/2382; 2005/18105).

Resta assorbito il secondo motivo relativo alla insufficiente liquidazione delle spese processuali, dovendosi comunque procedere ad una loro nuova liquidazione in conseguenza del prospettato accoglimento del primo motivo.

Sono invece privi di fondamento il terzo, il quarto e il quinto motivo di censura, in quanto, in tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, qualora la parte costituita in giudizio sia deceduta nel corso di un processo avente una durata irragionevole, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo "iure proprio" soltanto per il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte; non assume, infatti, alcun rilievo, a tal fine, la continuità della sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall’art. 110 cod. proc. civ., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001 non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto patema subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla sua rapida conclusione (Cass. 2009/23416;

2011/13803).

La Corte di appello di Roma – nel respingere le domande formulate da L.F. e L.P., quali eredi di G. A.R., e da S.P., quale erede di M. S., in quanto le ricorrenti non si erano costituite nel giudizio dopo la morte dei rispettivi de cuius e per non essere stato superato il termine ragionevole di durata del processo alla data della morte della G. (7 ottobre 2001) e dello S. ( 6 ottobre 1999) – si è uniformata al principio sopra enunciato e resiste pertanto alle infondate critiche delle ricorrenti.

In base alle considerazioni che precedono, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione al primo motivo, assorbito il secondo e rigettati gli altri motivi.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, disponendosi che sull’indennizzo liquidato a ciascuno dei ricorrenti, con esclusione di L.F. e L.P., quali eredi di G.A.R., e di S.P., quale erede di S.M., devono essere conteggiati gli interessi legali a decorrere dalla data della domanda.

Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione, nei confronti dei ricorrenti, con esclusione di L.F. e P. e di S.P., seguono la soccombenza e, compensate per la metà quelle del giudizio di Cassazione in considerazione dell’accoglimento parziale del ricorso e limitatamente alla decorrenza degli interessi legali, vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352), con distrazione in favore dei difensori dei ricorrenti, dichiaratisi antistatari. Nulla deve disporsi in ordine alle spese processuali del giudizio di cassazione nei confronti dei ricorrenti rimasti soccombenti, non avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, e rigetta gli altri motivi. Cassa il decreto impugnato in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, dispone che gli interessi legali da conteggiare sull’indennizzo liquidato a ciascuno dei ricorrenti, con esclusione di L.F. e L.P., quali credi di G.A.R., e di S.P., quale erede di S.M., decorrano dalla data della domanda. Condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore dei ricorrenti, escluse L.F., L.P. e S.P., delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 5.000,00, di cui Euro 3.000,00 per competenze ed Euro 100,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione delle stesse in favore dei procuratori dei ricorrenti, avvocati Giovambattista Ferriolo e Ferdinando Emilio Abbate, dichiaratisi antistatari.

Condanna inoltre il Ministero soccombente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, compensate per la metà, che si liquidano per l’intero in Euro 1.100,00, di cui Euro 900,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione delle stesse in favore del difensore dei ricorrenti, avv. Ferdinando Emilio Abbate, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2012

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