Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-11-2011) 30-11-2011, n. 44420

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il pubblico ministero aveva chiesto il rinvio a giudizio di F. F. perchè rispondesse di abuso sessuale in danno della figlia J. minore degli anni dieci. La bambina aveva riferito alla madre, la quale aveva notato diffusi rossori sulle sue parti intime, che essi erano frutto dell’attività del padre, il quale le toccava la vulva e si faceva toccare il pene. La minore aveva precisato che a seguito dei toccamenti il pisello del padre diventava duro. La minore aveva ribadito le confidenze rese alla madre sia ai medici che agli psicologi che l’avevano interpellata e le aveva confermate in sede di audizione protetta davanti al giudice. La minore, ritenuta dai periti capace di testimoniare, è stata considerata attendibile dalla pubblica accusa perchè le sue dichiarazioni erano confermate dagli arrossamenti e dal riferimento al pene duro, circostanza questa che una bimba non avrebbe potuto riferire se non l’avesse direttamente vissuta, nonchè dal rinvenimento nell’abitazione del prevenuto di materiale pornografico e di un fallo di gomma.

Il giudice dell’udienza preliminare, a seguito di processo con rito abbreviato, proscioglieva l’imputato a norma dell’art. 530 cpv. c.p.p..

A fondamento dell’assoluzione osservava che mancavano reperti riferibili all’abuso;che gli arrossamenti erano equivoci; che il rinvenimento del materiale pornografico non aveva valenza probatoria poichè si era accertato che nel corso del rapporto coniugale vi era una profonda crisi tra i coniugi e che il F. reagiva aggressivamente al rifiuto della moglie di avere con lui rapporti coniugali;che il riferimento al membro maschile che si induriva poteva essere stato frutto di una conoscenza diversa dall’esperienza diretta.

La sentenza è stata impugnata dal pubblico ministero.

All’udienza del 18 giugno del 2010 il difensore della parte civile depositava lettera della persona offesa diretta al padre con la quale la predetta chiedeva di essere nuovamente sentita essendo nel frattempo divenuta maggiorenne. La Corte, su conferme richiesta del Procuratore generale, disponeva la riassunzione della parte lesa. In appello questa ha ribadito le accuse che aveva mosse al padre fornendo alla Corte ed alle parti i chiarimenti che le erano stati chiesti.

Con sentenza del 31 dicembre del 20010, la Corte, in riforma di quella pronunciata dal giudice dell’udienza preliminare, ha ritenuto l’imputato responsabile dell’abuso sessuale ascrittogli, in concorso di circostanze attenuanti generiche e lo ha condannato alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento del danno nei confronti della costituita parte civile.

Ricorre per cassazione l’imputato per mezzo del proprio difensore deducendo:

1) la violazione dell’art. 603 c.p.p. e mancanza di motivazione sul punto con riferimento all’ordinanza con cui è stata disposta la riassunzione della persona offesa senza che ricorressero le condizioni previste dalla legge, avuto riguardo al fatto che la parte civile non aveva impugnato la sentenza e che nell’impugnazione del pubblico ministero non v’era alcuna richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale; che la riassunzione della persona offesa non può considerarsi prova sopravvenuta e comunque non v’era l’assoluta necessità di sentirla;

2) violazione dell’art. 603 c.p.p. e mancanza di motivazione sul punto con riferimento all’ordinanza con cui è stata respinta la richiesta di disporre la rinnovazione parziale del dibattimento per espletare una perizia sulla capacità di testimoniare della vittima:

la richiesta era stata respinta con una motivazione apparente e senza considerare le tematiche introdotte con l’istanza con la quale si era chiesto alla Corte di accertare non la capacità a testimoniare della parte lesa, ma se quanto dalla teste riferito potesse essere il risultato di un falso ricordo, poi cristallizzato nel tempo;

3) mancanza e contraddittorietà di motivazione sull’affermazione di responsabilità in quanto la Corte aveva ignorato il problema dell’arrossamento della vulva che aveva dato origine ai sospetti della madre e che è risultato risalente nel tempo ed aveva risolto sbrigativamente la questione relativa al risultato negativo dei test eseguiti sulla minore.

Il ricorso è stato ulteriormente illustrato con una memoria.

All’odierna udienza il Procuratore generale ed i difensori hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.

Motivi della decisione

Il ricorso va respinto perchè infondato.

Con riferimento al primo motivo la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello può essere disposta anche d’ufficio allorchè il giudice la ritenga necessaria, a prescindere da un’istanza di parte contenuta nei motivi d’appello. Essa può riguardare sia prove nuove che prove già acquisite nella fase precedente.

L’unica condizione posta dalla norma è l’assoluta necessità.

Secondo questa Corte l’iniziativa istruttoria del giudice di secondo grado nell’ambito dell’art. 603, comma 3 non svolge solo una funzione meramente integratrice dell’attività istruttoria svolta in primo grado, ma può legittimamente operare anche in situazione di totale assenza di istruzione dibattimentale nella fase precedente (Così cass sez 3, 28 ottobre 1993 rv 196596) Nell’ambito della funzione integratrice, secondo questa Corte, l’assoluta necessità, può sussistere, sia quanto i dati acquisiti siano carenti, sia quando l’incombente richiesto rivesta carattere di decisività, nel senso che lo stesso potrebbe eliminare eventuali incertezze. Nella fattispecie la riaudizione della parte lesa, come risulta dalla motivazione della sentenza impugnata, è stata ritenuta necessaria per eliminare le incertezze palesate dal giudice di prime cure.

Questi invero, anche se la minore era stata considerata dai periti che l’avevano esaminata, capace di testimoniare, ha dubitato dell’attendibilità della bimba perchè ha ritenutola l’altro, che la stessa potesse essere stata, sia pure inconsapevolmente, suggestionata dalla madre e che il riferimento all’organo maschile che si induriva a seguito dei toccamenti, potesse essere frutto di una conoscenza diversa dall’esperienza diretta. In definitiva il giudice di prime cure ha manifestato delle perplessità sull’attendibilità della minore non in base a fatti accertati (suggestione ad opera della madre e percezione del pene che si induriva per effetto di una conoscenza diversa dall’esperienza diretta) ma in base a delle mere congetture, ancorchè astrattamente plausibili. Orbene la Corte ha ritenuto necessario riesaminare la vittima soprattutto per accertare se le congetture manifestate dal giudice di prime cure avessero o no fondamento tanto è vero che, come risulta dalla motivazione della sentenza, la testimonianza ha riguardato essenzialmente tali punti. A seguito di tale riaudizione ha escluso sia la suggestione, ancorchè inconsapevole, sia che il riferimento all’indurimento del pene potesse essere frutto di una conoscenza diversa dall’esperienza diretta.

Del pari infondato è il secondo motivo perchè il rigetto dell’istanza di rinnovazione del dibattimento per l’espletamento di una perizia sulla parte lesa non presenta alcuna incoerenza o errore giuridico.

Invero la parte lesa, quando era ancora una bambina, è stata ritenuta dai periti capace di testimoniare. Il difensore assume però nel ricorso che la perizia da lui sollecitata non era diretta a dimostrare la capacità di testimoniare della vittima, ma ad accertare se il fatto esposto in dibattimento dalla parte lesa, divenuta nel frattempo maggiorenne, potesse essere frutto di un falso ricordo perpetuato nel tempo. La tesi difensiva si fonda chiaramente sulla premessa che l’originaria accusa mossa dalla bambina al padre fosse falsa, fosse cioè frutto di suggestione anche inconsapevole da parte della madre. Si è ipotizzato cioè che la minore nel contesto di un tormentato rapporto dei propri genitorì, involontariamente suggestionata dalla madre, avesse elaborato una versione favorevole alla propria genitrice, la quale con il suo comportamento aveva suscitato in lei tale aspettativa;

successivamente l’accusa era stata ribadita anche in appello in forza della perpetuazione di un falso ricordo in ordine all’effettiva sussistenza del fatto. La Corte, avendo ritenuto vera l’accusa originaria e la vittima capace di testimoniare, ha considerato ovviamente superfluo l’accertamento sollecitato dal difensore.

Il terzo motivo è inammissibile perchè sotto l’apparente deduzione del vizio di mancanza o illogicità della motivazione in realtà si denunciano censure in fatto sull’apprezzamento delle prove da parte della Corte territoriale, la cui motivazione non presenta alcun errore giuridico o incoerenza.

I giudici di secondo grado, avendo completamente ribaltato la decisione di primo grado, hanno indicato analiticamente le ragioni per le quali la decisione riformata non era sostenibile. osservando in particolare:

a) che l’accusa non era frutto di autosuggestione, come ipotizzato dal primo giudice;

b) che il riferimento al pene che si induriva, tenuto conto della età della minore, non era frutto di una conoscenza diversa dall’ esperienza diretta come avvalorato anche in dibattimento a seguito della riassunzione della testimonianza della parte lesa divenuta maggiorenne;

c) che la mancanza di segni di abuso era stata già spiegata razionalmente dai periti, quali avevano osservato che tale mancanza era la possibile conseguenza del fatto che il padre non aveva traumatizzato sessualmente la bambina prospettandole i toccamenti come un gioco o come toccamenti "normali" nell’ambito di un rapporto tra padre e figlia;

d) che l’arrossamento della vulva, pur non costituendo un riscontro significativo dell’abuso, avuto riguardo al fatto che la bimba in passato aveva sofferto di disturbi vaginali, tuttavia non screditava l’accusa.

Alla stregua delle considerazioni svolte, come accennato nella premessa, il ricorso va respinto con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al rimborso di quelle sostenute in questo grado dalla parte civile, liquidate come nel dispositivo.

P.Q.M.

La Corte letto l’art. 616 c.p.p. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al rimborso di quelle sostenute in questo grado dalla parte civile, liquidate in Euro 2500,00 oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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