Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-11-2011) 30-11-2011, n. 44419 Violenza sessuale di gruppo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 23 settembre 2010, la Corte d’appello di Ancona ha confermato, quanto alla responsabilità e alla pena irrogata, la sentenza del GUP del Tribunale di Macerata, resa a seguito di giudizio abbreviato – con la quale l’imputato era stato ritenuto colpevole del reato di cui agli artt. 609-octies e 81 c.p. – ed ha applicato, in accoglimento del ricorso del Procuratore generale, la misura di sicurezza della casa di cura e custodia per anni uno, in luogo della libertà vigilata disposta dal giudice di primo grado.

Le condotte contestate all’imputato consistono nell’avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso con soggetti minorenni, con violenza e minaccia, consistite nel colpire la vittima con un cucchiaio e nel prospettarle che l’avrebbero percossa, approfittando delle condizioni di inferiorità psichica della predetta, compiuto atti di violenza sessuale di gruppo consistiti, in particolare, in penetrazione da parte dell’imputato stesso. In un altro caso, in concorso con altri minori, la violenza e la minaccia sarebbero consistite nel saltare addosso alla stessa vittima e nell’ordinarie di spogliarsi, sempre approfittando delle condizioni di inferiorità psichica della predetta.

2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, chiedendone l’annullamento e lamentando, in primo luogo, l’inutilizzabilità e non validità delle prove poste alla base dell’affermazione di colpevolezza. Rileva la difesa che: a) le dichiarazioni dei minori sono state raccolte dalla polizia giudiziaria senza l’assistenza del difensore, anche se dalle indagini emergevano indizi diretti a loro carico; b) gli stessi minori sono stati sentiti in forma non protetta e attraverso domande suggestive; c) sono inutilizzabili anche le dichiarazioni rese dalla persona offesa, perchè la stessa era affetta da particolari condizioni psichiche e, nonostante ciò, era stata sentita in forma non protetta e con domande suggestive; d) del pari inutilizzabili sono le parti della consulenza tecnica dalle quali si traggono argomenti riferiti alla responsabilità dell’imputato; e) inutilizzabili vanno considerate, poi, le dichiarazioni de relato rese dei genitori di tutti minori.

Si lamenta, in secondo luogo, la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, quanto: alla condotta dell’imputato, all’elemento psicologico e al consenso della persona offesa, nonchè al travisamento dei fatti derivante dalla contraddittorietà delle dichiarazioni rese dalla persona offesa stessa e dai coimputati. In particolare, non si sarebbe tenuto conto adeguatamente: a) del fatto che l’imputato ha, con la vittima, capacità intellettuali diminuite, essendo affetto da un ritardo mentale lieve-moderato che ha inequivocabilmente determinato una compressione dello sviluppo di competenze intellettive, volitive, cognitive, affettive e direttive;

b) delle contraddizioni in cui sono incorsi i minori nelle dichiarazioni rese, volendo essi apparire come vittime e non come complici dell’imputato; c) della sostanziale inattendibilità delle dichiarazioni della vittima, la quale frequentava volontariamente l’imputato e conosceva già in precedenza i minori supposti concorrenti nel reato, con alcuni dei quali aveva già avuto rapporti sessuali e relazioni; d) più in particolare, della circostanza che la stessa vittima aveva dichiarato di non ricordare se in entrambi gli episodi di violenza avesse o meno le mestruazioni e fosse andata in bagno a togliersi l’assorbente.

Si deducono, in terzo luogo, l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, nonchè la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, quanto all’entità della pena e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti di cui all’art. 609-bis c.p., u.c., e art. 609-octies c.p., u.c.. Lamenta, inoltre, la difesa che il giudice di secondo grado avrebbe erroneamente ritenuto incompatibile con la fattispecie di violenza sessuale di gruppo l’ipotesi attenuata di cui all’ultimo comma dell’art. 609-bis c.p.. La stessa difesa propone, altresì, per il caso in cui la Corte di cassazione ritenesse di non pervenire all’interpretazione secondo cui la circostanza attenuante di cui all’art. 609-bis, u.c., sia applicabile anche alla violenza sessuale di gruppo, questione di legittimità costituzionale delle disposizioni in questione, per violazione degli artt. 3 e 27 Cost., in quanto il trattamento sanzionatorio non lascia adeguati spazi alla discrezionalità del giudice, ai fini dell’adeguamento della risposta punitiva alle singole fattispecie concrete.

Sono dedotte, in quarto luogo, l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonchè la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione circa la supposta pericolosità sociale dell’imputato. La Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del fatto che la situazione di ritardo mentale dell’imputato non è caratterizzata da importanti disturbi psichiatrici e da rilevanti componenti di tipo psicotico e non vi è, quindi, un elevato concreto rischio di reiterazione di condotte criminose.

Si lamentano, in quinto luogo, l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, nonchè la carenza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione quanto alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena.

La difesa denuncia, in sesto luogo, l’erronea applicazione dell’art. 219 c.p., relativamente alla mancata scelta della misura di sicurezza del ricovero in casa di cura in luogo della misura meno afflittiva della libertà vigilata, sul rilievo che la Corte d’appello non avrebbe adottato un’interpretazione costituzionalmente orientata;

interpretazione che avrebbe imposto di ritenere non operante l’automatismo fissato dallo stesso art. 219 circa l’applicazione della misura in esso prevista.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

3.1. – Ci si duole, in primo luogo, dell’inutilizzabilità e non validità delle prove poste alla base dell’affermazione di colpevolezza. Rileva la difesa che; a) le dichiarazioni dei minori sono state raccolte dalla polizia giudiziaria senza l’assistenza del difensore, anche se dalle indagini emergevano indizi diretti a loro carico; b) gli stessi minori sono stati sentiti in forma non protetta e attraverso domande suggestive; c) sono inutilizzabili anche le dichiarazioni rese dalla persona offesa, perchè la stessa era affetta da particolari condizioni psichiche e, nonostante ciò, era stata sentita in forma non protetta e attraverso domande suggestive;

d) del pari inutilizzabili sarebbero le parti della consulenza tecnica dalle quali si traggono argomenti riferiti alla responsabilità dell’imputato; e) inutilizzabili sarebbero, poi, le dichiarazioni de relato rese dei genitori di tutti minori.

Il motivo di ricorso, che ripropone censure già avanzate con l’atto di appello, è infondato.

Quanto all’utilizzabilità delle dichiarazioni rese dei minori, la Corte d’appello muove dall’assorbente considerazione per cui esse non sono strettamente necessarie ai fini della decisione, perchè "la materialità dei fatti e la responsabilità penale del B. emergono già chiaramente dalle restanti risultanze delle approfondite indagini svolte". Rileva, inoltre, che tali soggetti risultavano essere persone offese dal reato in base alla denuncia dell’assistente sociale trasmessa alla procura della Repubblica;

tanto che erano stati sentiti come persone informate sui fatti.

Dunque essi, non essendo indagati, erano stati correttamente esaminati senza l’assistenza del difensore, a norma dell’art. 63 c.p.p.; senza che potessero sollevarsi nel giudizio abbreviato eccezioni circa l’utilizzabilità di tale prova. Quanto, poi, alla mancata audizione dei minori in forma protetta, la Corte d’appello correttamente evidenzia che tale metodo di assunzione della prova è finalizzata alla tutela dei minori medesimi e la sua violazione non comporta alcuna sanzione processuale. Quanto al modo di porre le domande alla parte offesa da parte degli operanti, va poi rilevato che questo non risulta sanzionabile, stante la fase del procedimento e le connesse necessità investigative. A tali condivisibili rilievi in punto di fatto, la Corte d’appello fa logicamente conseguire l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese dai suddetti soggetti minori.

In relazione, poi, alle dichiarazioni rese dai genitori di alcuni dei minori, la Corte d’appello ha correttamente osservato che esse devono essere considerate alla stregua di indizi, nel senso di prove indirette sul fatto e che, nel caso in esame esse non hanno avuto per oggetto solo quanto riferito dai minori, ma anche elementi appresi direttamente attraverso l’ascolto di una conversazione telefonica tra i minori stessi.

Relativamente, infine, al consulente tecnico del pubblico ministero, la Corte d’appello condivisibilmente ritiene che il suo operato non sia censurabile perchè egli si è limitato ad esaminare e valutare la persona offesa, concludendo per la sua attendibilità e semplicemente aggiungendo che tale accertata attendibilità trovava ulteriore conferma in elementi risultanti dagli atti del procedimento.

3.2. – Si lamenta, in secondo luogo, la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, quanto: alla condotta dell’imputato, all’elemento psicologico e al consenso della persona offesa, nonchè al travisamento dei fatti derivante dalla contraddittorietà delle dichiarazioni rese dalla persona offesa stessa e dai coimputati.

Anche tale motivo di ricorso è infondato.

La Corte d’appello ha, infatti, fornito una ricostruzione dei fatti puntuale e completa e ne ha logicamente fatto derivare la sussistenza della responsabilità penale dell’imputato.

Ha, in particolare, rilevato che: a) la persona offesa aveva piena capacità e doveva ritenersi pienamente attendibile sul piano intrinseco e su quello estrinseco; la sua testimonianza poteva, perciò, essere posta, anche da sola, a fondamento dell’accertamento della colpevolezza dell’imputato; b) le dichiarazioni rese dalla vittima non risultano dettate da motivi di animosità, nè risultano indotte dall’influenza di soggetti adulti; c) con riferimento ad entrambi gli episodi di violenza, la persona offesa ha riferito circostanze sufficientemente dettagliate circa la responsabilità dell’imputato e la partecipazione dei minorenni concorrenti; d) il racconto accusatorio della vittima, ripetuto in due occasioni, concorda nella sequenza dei fatti e nella presenza dei dettagli e particolari essenziali, ed appare scarsamente meditato ed elaborato, fornito di getto e, perciò, non diretto ad ingenerare una particolare impressione nell’interlocutore, tanto che le incongruenze in esso riscontrate hanno una valenza del tutto secondaria; e) la versione fornita dalla persona offesa trova riscontro nelle dichiarazioni rese dall’assistente sociale, che aveva avuto conoscenza della vicenda dalle madri di alcuni dei minori coinvolti, le quali avevano a loro volta conosciuto i fatti ascoltando personalmente le conversazioni telefoniche dei figli e il racconto di questi ultimi; f) le dichiarazioni dei minori coinvolti, pur essendo dirette a sminuire il loro coinvolgimento, confermano il racconto della parte offesa quanto ad elementi rilevanti, quali le caratteristiche dei luoghi, la circostanza che durante l’episodio qualcuno aveva bussato alla porta, il fatto che la ragazza avesse le mestruazioni, le modalità dell’atto sessuale; g) ulteriore conferma è fornita dei rilievi fotografici effettuati dalla polizia giudiziaria e degli esiti delle perquisizioni; h) quanto all’elemento soggettivo dell’imputato, la sua sussistenza è desunta dalla modalità dei fatti, che denotano una inequivocabile coscienza e volontà, sia per il tipo di condotta tenuta, sia in considerazione della personalità della vittima, da lui scelta proprio in quanto portatrice di ritardo mentale ed invalida civile; i) la vittima non aveva prestato consenso agli atti sessuali ed aveva, anzi, palesato in modo chiaro il suo dissenso.

Tale ricostruzione appare pienamente compatibile con il complesso dei dati emersi dall’istruttoria. In particolare, la Corte d’appello chiarisce sufficientemente che il rapporto ambiguo, di quasi- fidanzamento tra l’imputato e la vittima non esclude la sussistenza dei reati, perchè, dal racconto della vittima stessa – confermato dai riscontri cui si è fatto cenno – emerge una chiara distinzione fra rapporti sessuali (individuali e) consenzienti ed abusi (collettivi) subiti. La capacità della persona offesa di individuare tale distinzione è, infatti, il tratto caratteristico di tutta la sua narrazione, imperniata sulla descrizione delle numerose relazioni sessuali intercorse con una pluralità di soggetti; relazioni rispetto alle quali la stessa vittima spiega, in modo sufficientemente credibile, che si trattava di situazioni in cui trovava esplicazione la sua libertà sessuale – la cui sussistenza non può essere esclusa in conseguenza del ritardo mentale da cui era affetta – in mancanza di costrizioni.

3.3. – Il terzo motivo di impugnazione – con cui si deducono l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, nonchè la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, quanto all’entità della pena e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti di cui all’art. 609-bis c.p., u.c., e art. 609-octies c.p., u.c., – è manifestamente infondato.

Come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, l’attenuante di cui all’art. 609-bis c.p., u.c. non può essere concessa nell’ipotesi di reato di violenza sessuale di gruppo, in quanto trattasi di attenuante specifica prevista soltanto per la violenza sessuale individuale ed essendo, peraltro, incompatibile logicamente con la maggiore gravità di una violenza sessuale di gruppo (ex plurimis, Sez. 3, 12 ottobre 2007, n. 42111).

Quanto alla questione di legittimità costituzionale prospettata dalla difesa, va rilevato che la stessa è manifestamente infondata.

Come già rilevato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 325 del 2005), è, infatti, ragionevole ritenere che la violenza sessuale di gruppo, proprio a causa della presenza di più persone riunite, cagioni una lesione particolarmente grave e traumatica della sfera di autodeterminazione della libertà sessuale della vittima: tali caratteristiche differenziano anche sul terreno qualitativo la violenza di gruppo dagli atti di violenza sessuale posti in essere da una sola persona e giustificano la maggior severità del relativo trattamento sanzionatorio. Ne emerge, dunque, una sostanziale diversità rispetto agli atti di violenza sessuale monosoggettiva, tale da rendere non proponibile una diretta comparazione, rilevante ai fini dell’art. 3 Cost., tra il trattamento sanzionatorio riservato ai due reati. Malgrado la latitudine dei comportamenti in astratto idonei ad integrare gli atti sessuali che costituiscono l’elemento materiale di entrambi i reati, l’omessa previsione dell’attenuante dei "casi di minore gravità" non può quindi essere ritenuta espressione di una scelta del legislatore palesemente irragionevole, arbitraria o ingiustificata, contrastante con l’art. 3 Cost.. La manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale in riferimento al parametro di cui all’art. 3 Cost. rende altresì manifestamente infondata la censura sollevata sotto il profilo della violazione dell’art. 27 Cost., comma 3.

Quanto, poi, al mancato riconoscimento della sussistenza dell’ipotesi di cui all’art. 609-octies, u.c., la Corte d’appello fornisce una motivazione all’evidenza pienamente adeguata, laddove specifica che l’imputato ha avuto un ruolo di primaria importanza, logicamente desumendo tale primaria importanza dalla disponibilità che l’imputato aveva dell’abitazione dove sono avvenuti i reati, dal fatto che tutti i soggetti coinvolti sono stati condotti sul posto con l’auto dell’imputato, dal fatto che è stato quest’ultimo ad avere in prima persona i rapporti sessuali contestati.

3.4. – Sono dedotte, in quarto luogo, l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonchè la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione circa la supposta pericolosità sociale dell’imputato. La Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del fatto che la situazione di ritardo mentale dell’imputato non è caratterizzata da importanti disturbi psichiatrici e da rilevanti componenti di tipo psicotico e non vi è, quindi, un elevato concreto rischio di reiterazione di condotte criminose.

Il motivo è manifestamente infondato.

Come correttamente evidenziato dalla Corte d’appello, la pericolosità sociale deve essere desunta dal fatto costituente reato inteso nella sua oggettività. La stessa Corte correttamente desume, nel caso di specie, la pericolosità dell’imputato sia dalla perizia psichiatrica, sia dalla rilevante gravità e dalla natura dei reati commessi e dalla reiterazione delle condotte illecite; con la conseguenza di ritenere sussistenti in punto di fatto i presupposti per l’applicazione della misura di sicurezza prevista dall’art. 219 c.p..

3.5. – Si lamentano, poi, l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, nonchè la carenza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione quanto alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena.

Il motivo è manifestamente infondato.

La sentenza censurata contiene, sul punto, una motivazione pienamente sufficiente e logicamente coerente, laddove evidenzia che l’accertata pericolosità sociale dell’imputato induce ad escludere che questo si asterrà dal commettere ulteriori reati.

3.6. – La difesa denuncia, in sesto luogo, l’erronea applicazione dell’art. 219 c.p., relativamente all’applicazione della misura di sicurezza del ricovero in casa di cura in luogo della misura meno afflittiva della libertà vigilata, sul rilievo che la Corte d’appello non avrebbe adottato un’interpretazione costituzionalmente orientata.

Il motivo di doglianza è infondato.

Dalla motivazione fornita dalla Corte d’appello in punto di fatto (v. supra: par. 3.4.) emerge che la misura di cui all’art. 219 c.p. è stata ritenuta sostanzialmente adeguata al concreto livello di pericolosità sociale dell’imputato. Tali argomentazioni rendono irrilevante ogni considerazione circa l’interpretazione costituzionalmente orientata del citato art. 219 in relazione al fatto che esso non consente la sostituzione del ricovero in casa di cura e custodia con la misura meno afflittiva della libertà vigilata.

4. – Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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