Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 19-06-2012, n. 10034 Trattamento economico

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 5313 del 2009, decidendo sull’impugnazione proposta dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, nei confronti di T.L. e altri, in ordine alla sentenza del Tribunale di Roma del 23 dicembre 2002, respingeva l’appello principale ed accoglieva l’appello incidentale, sicchè, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, nel resto confermata, condannava il MIUR anche al pagamento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria sulle differenze stipendiali, come già riconosciute nell’impugnata sentenza in favore degli originali ricorrenti.

2. Gli appellanti incidentali avevano adito il Tribunale premettendo di Roma:

di essere dipendenti della provincia di Roma con qualifica di insegnanti tecnico-pratico;

di essere stati trasferiti in base alla L. n. 124 del 1999 nei ruoli dello Stato a decorrere dal 1 gennaio 2000 ed inquadrati nel profilo di docente diplomato degli istituti scolastici di 2^ grado;

che con tale inquadramento non si era tenuto conto dell’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza (Provincia di Roma) ai fini dell’attribuzione della classe stipendiale spettante;

che era stata data invece applicazione all’Accordo 20 luglio 2000, stipulato tra l’ARAN e le OO.SS., accordo in base al quale era stata loro attribuita la posizione stipendiale di importo pari al trattamento in godimento al 31 dicembre 1999 e non invece quella più favorevole prevista per i dipendenti con anzianità uguale alla loro maturata nei ruoli dello Stato;

che l’indicato accordo si sarebbe invece dovuto disapplicare perchè contrario alla L. n. 124 del 1999 che riconosceva, ai fini economici e giuridici, l’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza.

Gli stessi, avevano chiesto, quindi, che previa disapplicazione del D.M. 5 aprile 2001, con il quale era stato recepito il suddetto accordo, venisse riconosciuto il loro diritto all’inquadramento nei ruoli dello Stato sulla base dell’anzianità maturata presso l’amministrazione locale di provenienza, dal momento dell’assunzione fino al 1 gennaio 2000, alla collocazione nella fascia comprendere tale anzianità nonchè al relativo stipendio base annuo, con ulteriore conseguente condanna dell’amministrazione statale al pagamento delle differenze stipendiali loro dovute in conseguenza di detto inquadramento dal 1 gennaio 2000, oltre accessori come per legge.

3. Il Tribunale riteneva che l’accordo ARAN OO.SS., recepito con il D.M. 5 aprile 2001, andava disapplicato per evidente illegittimità, con il conseguente accoglimento delle domande proposte dai ricorrenti.

4. Ricorre per la cassazione della sentenza pronunciata in grado di appello il MIUR nei confronti dei resistenti in epigrafe, prospettando un articolato motivo di ricorso.

5. R.G. non ha svolto difese. Resistono con controricorso gli altri lavoratori, eccependo in via preliminare più ragioni di inammissibilità del ricorso, sia perchè generico, sia in quanto tardivo, sia per essere stato notificato ad uno solo dei procuratori degli istanti in una copia per tutte le parti.

6. Questi ultimi hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., con la quale richiamavano la sentenza della Corte EDU resa nel caso Agrati e altri c. Repubblica Italiana, e chiedevano che fosse sollevata questione di legittimità costituzionale.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente devono essere esaminate le eccezioni dei resistenti di inammissibilità del ricorso. Le stesse devono essere disattese.

In primo luogo va osservato che il motivo del ricorso principale consente, per come formulato, in ragione della normativa richiamata e delle argomentazioni difensionali, di individuare con chiarezza il thema decidendum, consistente nel riconoscimento o meno ai fini dell’inquadramento nei ruoli dello Stato dell’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza.

In secondo luogo, va osservato che non trova applicazione nella specie la disciplina di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, nella parte in cui, modificando l’art. 327 c.p.c., ha fissato in mesi sei dalla pubblicazione della sentenza, il termine ordinario per la proposizione del ricorso per cassazione.

Ed infatti, la disposizione di cui alla suddetta L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 1, recita "fatto salvo quanto previsto dai commi successivi, le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore". L’espressione "giudizi instaurati" deve essere riferita all’incardinarsi del giudizio ab origine, tenuto conto che tale interpretazione, ferma la legittima discrezionalità del legislatore nel disciplinare gli istituti processuali, risponde ai principi di tutela dell’affidamento e dell’effettività della tutela giurisdizionale. Inoltre, quando il legislatore ha inteso fare riferimento ad una determinata fase processuale, ha reso esplicita tale scelta, come si evince dall’esame del medesimo art. 58, comma 2, ove si fa riferimento "ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della presente legge".

In ordine all’ulteriore eccezione di inammissibilità, premesso che, come questa Corte aveva già avuto modo di affermare, la notificazione del ricorso per cassazione a più parti presso un unico procuratore, peraltro, nel caso di specie, in ragione di conferimento del mandato congiuntamente, eseguita mediante consegna di una sola copia (o di un numero di copie inferiore rispetto alle parti destinatane), non è inesistente, ma nulla, e il relativo vizio è sanato, con efficacia "ex tunc", con la costituzione in giudizio di tutte le parti cui l’atto è destinato (Cass., n. 2501 del 2002, cfr.

Cass. S.U., n. 9859 del 1997), le Sezioni Unite, con la sentenza n. 29290 del 2008 hanno statuito il seguente principio di diritto: la notificazione dell’atto d’impugnazione eseguita presso il procuratore costituito per più parti, mediante consegna di una sola copia (o di un numero inferiore), è valida ed efficace sia nel processo ordinario che in quello tributario, in virtù della generale applicazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, alla luce del quale deve ritenersi che non solo in ordine alle notificazioni endoprocessuali, regolate dall’art. 170 c.p.c., ma anche per quelle disciplinate dall’art. 330 c.p.c., comma 1, il procuratore costituito non è un mero consegnatario dell’atto di impugnazione ma ne è il destinatario, analogamente a quanto si verifica in ordine alla notificazione della sentenza a fini della decorrenza del termine d’impugnazione "ex" art. 285 c.p.c., in quanto investito dell’inderogabile obbligo di fornire, anche in virtù dello sviluppo degli strumenti tecnici di riproduzione degli atti, ai propri rappresentati tutte le informazioni relative allo svolgimento e all’esito del processo.

Le ragioni poste a fondamento di tale decisione escludono che possano essere effettuati dei distinguo, nell’applicazione del suddetto principio, con riguardo alla scindibilità o meno delle posizioni processuali delle parti, come prospettato dai lavoratori.

2. Tanto premesso si passa all’esame del motivo di ricorso proposto dal MIUR. 2.1. Con lo stesso è stata prospettata la violazione e falsa applicazione della L. n. 124 del 1999, art. 8, comma 2, come interpretato dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo la tesi che, in ragione delle suddette disposizioni, il personale degli enti locali trasferito nei ruoli dello Stato deve essere inquadrato nei ruoli statali sulla base del trattamento economico in godimento all’atto del trasferimento, risultando infondata la pretesa del dipendente di riconoscimento a fini giuridici ed economici di tutta l’anzianità posseduta al momento del passaggio di ruolo.

2.2. Costituisce presupposto pacifico del presente giudizio, come incardinato sin dal primo grado, il passaggio dei ricorrenti nei ruoli dello Stato, circostanza sulla quale non vi è controversia tra le parti.

2.3. La questione rimessa all’A.G. verte sul rilievo da attribuire, ai fini del conseguente nuovo inquadramento giuridico ed economici, all’anzianità maturata dagli stessi nell’amministrazione, ente locale, di provenienza.

2.4. Analoga questione, in ragione dei principi giuridici contenuti nella L. n. 124 del 1999, art. 8, che entrambe involgono, è stata già decisa da Cass. 12 ottobre 2011, n. 20980, con riguardo al personale ATA della scuola trasferito dagli enti locali al Ministero.

Tale norma ha costituito oggetto di un vasto contenzioso concernente, specificamente, l’applicazione che della stessa era stata data dal decreto del Ministro della pubblica istruzione 5 aprile 2001, che recepì l’accordo stipulato tra l’ARAN e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali in data 20 luglio 2000.

Le controversie giudiziarie riguardavano, in particolare, la possibilità di incidere, su di una norma di rango legislativo, da parte di un accordo sindacale poi recepito in decreto ministeriale.

La giurisprudenza si era orientata in senso negativo, sebbene con percorsi argomentativi diversi (ex plurimis, Cfr. Cass., 17 febbraio 2005, n. 3224; 4 marzo 2005, n. 4722, nonchè 27 settembre 2005, n. 18829).

Intervenne il legislatore, dettando la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218 (finanziaria del 2006), che recepì, a sua volta, i contenuti dell’accordo sindacale e del decreto ministeriale. Il legislatore elevò, quindi, a rango di legge la previsione dell’autonomia collettiva. Si sostenne, da un Iato, che tale norma non avesse efficacia retroattiva e, dall’altro, che se dotata di efficacia retroattiva, fosse incostituzionale sotto molteplici profili. Entrambe le posizioni sono stata giudicate non fondate.

L’efficacia retroattiva è stata affermata da questa Corte (per tutte, S.U., 8 agosto 2011, n. 17076) e dalla Corte costituzionale (sentenza n. 234 del 2007). L’incostituzionalità è stata esclusa in quattro interventi del giudice delle leggi (Corte cost., sentenze n. 234 e n. 400 del 2007; n. 212 del 2008; n. 311 del 2009). Per tali motivi, ricorsi che ponevano questione analoga a quella qui considerato, venivano respinti (cfr. per tutte, Cass., 9 novembre 2010, n. 22751).

Questo approdo è stato però rimesso in discussione dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande sezione) con la sentenza 6 settembre 2011 (procedimento C-108/10), emessa su domanda di pronuncia pregiudiziale in merito all’interpretazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE. La Corte ha risposto a quattro questioni poste dal Tribunale di Venezia.

La prima consisteva nello stabilire se il fenomeno successorio disciplinato dalla L. n. 124 del 1999, art. 8, costituisca un "trasferimento d’impresa" ai sensi della normativa dell’Unione relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori. La soluzione è affermativa ("La riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro").

Con la seconda e la terza questione si chiedeva alla Corte di stabilire: – se la continuità del rapporto di cui all’art. 3, n. 1 della 77/187 deve essere interpretata nel senso di una quantificazione dei trattamenti economici collegati presso il cessionario all’anzianità di servizio che tenga conto di tutti gli anni effettuati dal personale trasferito anche di quelli svolti alle dipendenze del cedente (seconda questione); – se tra i diritti del lavoratore che si trasferiscono al concessionario rientrano anche posizioni di vantaggio conseguite dal lavoratore presso il cedente quale l’anzianità di servizio se a questa risultano collegati nella contrattazione collettiva vigente presso il cessionario, diritti di carattere economico (terza questione). Il dispositivo della decisione è: "quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa, l’art. 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo. E’ compito del giudice del rinvio esaminare se, all’atto del trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato un siffatto peggioramento retributivo".

Il giudice nazionale è quindi chiamato dalla Corte di giustizia ad accertare se, a causa del mancato riconoscimento integrale della anzianità maturata presso l’ente cedente, il lavoratore trasferito abbia subito un "peggioramento retributivo".

In motivazione la Corte rileva che, una volta inquadrato nel concetto di trasferimento d’azienda e quindi assoggettato alla direttiva 77/187, al trasferimento degli ATA si applica non solo il n. 1 dell’art. 3 della direttiva, ma anche il n. 2, disposizione che riguarda segnatamente l’ipotesi in cui l’applicazione del contratto in vigore presso il cedente venga abbandonata a favore di quello in vigore presso il cessionario (come nel caso in esame). Il cessionario ha diritto di applicare sin dalla data del trasferimento le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle concernenti la retribuzione (punto n. 74 della sentenza). Ciò premesso, la Corte sottolinea che gli stati dell’Unione, pur con un margine di elasticità, devono attenersi allo "scopo della direttiva", consistente "nell’impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento" (n. 75, il concetto è ribadito al n. 77 in cui si precisa che la direttiva "ha il solo scopo di evitare che determinati lavoratori siano collocati, per il solo fatto del trasferimento verso un altro datore di lavoro, in una posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano precedentemente").

2.5. Tale principio deve trovare applicazione anche nella fattispecie in esame in ragione dell’analogia della vicenda che vede personale degli enti locali – insegnante tecnico pratico – trasferito nei ruoli dello Stato.

2.6. Quindi, nella definizione della controversia, è necessario stabilire se si è in presenza di condizioni meno favorevoli. A tal fine, il giudice del rinvio deve osservare i seguenti criteri.

a. Quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore trasferito (così il n. 75 e al n. 77 si precisa "posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano prima del trasferimento". Idem nn. 82 e 83). Al contrario, non ostano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento erano già in servizio presso il cessionario (n. 77).

b. Quanto alle modalità, si deve trattare di "peggioramento retributivo sostanziale" (così il dispositivo) ed il confronto tra le condizioni deve essere "globale" (n. 76: "condizioni globalmente meno favorevoli"; n. 82: "posizione globalmente sfavorevole"), quindi non limitato allo specifico istituto.

c. Quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere fatto "all’atto del trasferimento" (nn. 82 e 84, oltre che nel dispositivo: "all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza").

La quarta ed ultima questione posta dal Tribunale di Venezia atteneva alla conformità della disciplina italiana e specificamente del comma 218 dell’art. 1 della finanziaria 2006, all’art. 6, n. 2, TUE in combinato disposto con gli artt. 6 della CEDU e 46, 47 e 52 n. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti nel Trattato di Lisbona. La Corte, dando atto della pronunzia emessa il 7 giugno 2011 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Agrati e altri contro repubblica Italiana), ha statuito che "vista la risposta data alla seconda ed alla terza questione, non c’è più bisogno di esaminare se la normativa nazionale in oggetto, quale applicata alla ricorrente nella causa principale, violi i principi" di cui alle norme su indicate.

La sentenza della Corte di giustizia incide sul presente giudizio. In base all’art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, il giudice nazionale e, prima ancora, l’amministrazione, hanno il potere-dovere di dare immediata applicazione alle norme della Unione europea provviste di effetto diretto, con i soli limiti derivanti dai principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona, nel cui ambito resta ferma la possibilità del controllo di costituzionalità (cfr, per tutte, Corte cost. sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984; ordinanza n. 536 del 1995 nonchè, da ultimo, sentenze n. 284 del 2007, n. 227 del 2010, n. 288 del 2010, n. 80 del 2011). L’obbligo di applicazione è stato riconosciuto anche nei confronti delle sentenze interpretative della Corte di giustizia (emanate in via pregiudiziale o a seguito di procedura di infrazione) ove riguardino norme europee direttamente applicabili (cfr. Corte cost. sentenze n. 113 del 1985, n. 389 del 1989 e n. 168 del 1991, nonchè, sull’onere di interpretazione conforme al diritto dell’Unione, sentenze n. 28 del 2010 e n. 190 del 2000).

2.7. In ragione delle argomentazioni sopra svolte non sussistono le condizioni di rilevanza, ancor prima del vaglio della non manifesta infondatezza, per sollevare questione di legittimità costituzionale.

2.8. Ciò comporta che il ricorso per cassazione del Ministero, che denunzia violazione del complesso normativo costituito dalla L. n. 124 del 1999, art. 8 e L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice di merito, il quale, applicando i criteri di comparazione su indicati, dovrà verificare, in concreto e nel caso specifico, la sussistenza, o meno, di un peggioramento retribuivo sostanziale all’atto del trasferimento ed accogliere o respingere la domanda del lavoratore in relazione al risultato di tale verifica.

2.8. Il giudice del rinvio provvedere anche sulle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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