Cass. civ. Sez. III, Sent., 19-06-2012, n. 10033 Manutenzione di strade e responsabilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto 31 ottobre 2002 I.G. ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Roma, il Comune di Roma chiedendone la condanna al risarcimento dei danni tutti subiti in conseguenza dell’infortunio occorsole in (OMISSIS) allorchè, camminando sul marciapiede, aveva messo il piede destro su una buca coperta da asfalto con piegamento della caviglia e conseguenti lesioni personali.

Costituitosi in giudizio il Comune di Roma da un lato ha resistito alla avversa domanda, deducendone la infondatezza e chiedendone il rigetto, dall’altro ha chiesto di essere autorizzato a chiamare in causa la Palazzo Bitumi s.r.l. – in forza di contratto di appalto inter partes – responsabile della manutenzione del luogo dell’incidente.

Autorizzata la chiamata in causa della Palazzo Bitumi s.p.a. anche questa si opponeva alle avverse pretese e, a sua volta, chiedeva di poter chiamare in causa la propria compagnia assicuratrice Meieaurora s.p.a. che – costituitasi in giudizio – ha chiesto il rigetto della domanda.

Svoltasi la istruttoria del caso l’adito tribunale con sentenza 21 marzo 2005 ha rigettato la domanda dell’attrice I. ritenendo prevedibile la presenza della buca. In particolare ha osservato che la descrizione fornita dai testi di parte attrice circa la presenza di una toppa scura di asfalto su cui l’ I. aveva messo il piede faceva concludere nel senso che la differenza cromatica della toppa scura di asfalto rendeva la copertura della buca visibile e quindi evitabile, così da fare ritenere che l’attrice adottando una cautela adeguata avrebbe potuto evitare di passare proprio sul punto in cui vi era una copertura di una buca ben visibile.

Gravata tale pronunzia in via principale dalla soccombente I. e in via incidentale subordinata da il Comune di Roma nonchè dalla Palazzo Bitumi s.r.l., la Corte di appello di Roma, con sentenza 14 gennaio – 5 ottobre 2009 ha rigettato l’appello principale e dichiarato assorbiti quelli incidentali subordinati.

Per la cassazione di tale ultima sentenza, notificata il 6 luglio 2010, ha proposto ricorso – con atto 5 ottobre 2010 e date successive I.G., affidato a 5 motivi.

Resistono, con distinti controricorsi sia la UGF Assicurazioni che il Comune di Roma, che ha presentato, altresì, memoria, non ha svolto attività difensiva in questa sede la Impresa Palazzo Bitumi s.r.l..

Motivi della decisione

1. Perchè sia configurabile un ricorso incidentale è indispensabile – a parere di questo collegio – oltre la espressa qualificazione in tali termini dell’atto in cui lo stesso è contenuto, anche – da un lato – la richiesta di cassazione della sentenza impugnata, dall’altro, la almeno sommaria indicazione (eventualmente senza il rispetto delle regole poste a pena di inammissibilità dall’art. 366 cod. proc. civ.) delle ragioni di tale sollecitata cassazione.

E’ palese per l’effetto – in termini opposti rispetto a quanto invoca il P.G. – che nella specie nè il controricorso per il Comune di Roma sottoscritto dall’avv. Giuffrè, nè il controricorso ex art. 370 per UGF Assicurazioni s.p.a. sottoscritto dagli avvocati Giove e Ferraro, possono qualificarsi ricorsi incidentali.

Non solo, infatti, detti atti non sono stati qualificati tali dai loro autori, ma gli stessi – recanti, nella parte espositiva, esclusivamente considerazioni volte a dimostrare la inammissibilità, nonchè la infondatezza de il ricorso della I. – non svolgono alcuna critica che investa la sentenza 5 ottobre 2009, n. 3810 della Corte di appello di Roma, ora oggetto di ricorso.

Irrilevante – al fine di pervenire (ex officio) a una diversa qualificazione dei detti atti difensivi – è la circostanza che il primo (id est il controricorso del Comune di Roma) si concluda con la istanza perchè in subordine, nella deprecata contraria ipotesi rimettere la causa ad altro Giudice di appello, anche al fine del riesame dell’appello incidentale condizionato svolto dal Comune di Roma nei confronti della Impresa Palazzo Bitumi s.r.l. non esaminato in quanto assorbito – dalla pronuncia della .. Corte di appello, con ogni provvedimento consequenziale, e nel secondo (cioè nel controricorso della UGF Assicurazioni s.p.a.) si solleciti in via ulteriormente subordinata accertare e dichiarare che responsabile dei fatti di causa è il solo Comune di Roma, ovvero lo è comunque il solido con l’impresa.

Tali richieste – infatti – a prescindere da ogni altro rilievo non tendono – come è indispensabile perchè possa affermarsi di essere in presenza di un ricorso incidentale alla cassazione della sentenza impugnata, ma riguardano mere difese (che in ogni caso potranno – dovranno – essere sviluppate nel successivo, ipotetico, giudizio di rinvio, riguardando questioni rimaste assorbite).

Precisato quanto sopra deve disattendersi la richiesta del P.G. perchè sia dichiarata la inammissibilità del controricorso del Comune di Roma per non essere lo stesso conforme al modello di cui all’art. 366 cod. proc. civ. e, in particolare per risultare lo stesso assemblato (cfr. Cass., sez. un., 11 aprile 2012, n. 5698;

Cass. 29 agosto 2011, n. 17646; Cass. 16 marzo 2011, n. 6279; Cass., sez. un., 17 luglio 2009 n. 16628; Cass. 22 settembre 2009, n. 20393).

Al riguardo – infatti – deve ribadirsi, in conformità a costante giurisprudenza di questa Corte regolatrice – che mentre il controricorso, avendo la sola funzione di contrastare l’impugnazione altrui, non necessita dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, potendo richiamarsi a quanto già esposto nel ricorso principale, lo stesso atto, quando racchiuda anche un ricorso incidentale, deve contenere, in ragione della sua autonomia rispetto al ricorso principale, l’esposizione sommaria dei fatti della causa ai sensi del combinato disposto dell’art. 371 c.p.c., comma 3 e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, (Cass., 28 ottobre 2011, n. 22526; Cass. 28 maggio 2010, n. 13140; Cass. 30 novembre 2007, n. 25015).

Deriva da quanto precede, pertanto, che la giurisprudenza di questa Corte secondo cui ai fini del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata e, per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso, con conseguente inammissibilità del ricorso così strutturato (recentemente, Cass., sez. un., 11 aprile 2012) trova applicazione esclusivamente con riguardo al ricorso, principale o incidentale, e non può invocarsi – contrariamente a quanto assunto dal P.G. – al controricorso.

2. Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata denunziando omissione della trascrizione delle precise conclusioni delle parti e di esame e risposte sulle varie domande proposte nonchè su alcuni dei più fondamentali rilievi processuali dell’appellante, che non risultano esaminati neanche nella motivazione con prospettabile nullità della sentenza per violazione degli art. 112, 132 e 161 ecc. cod. proc. civ..

3. Il motivo – prima ancora che manifestamente infondato – è palesemente inammissibile per difetto di autosufficienza.

Giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice e da cui totalmente (e senza alcuna motivazione) totalmente prescinde la difesa di parte ricorrente, perchè possa utilmente dedursi in sede di ricorso per cassazione il vizio di omessa pronuncia è necessario, da un lato, che al giudice del merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente e inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronuncia si rendesse necessaria e ineludibile, e, dall’altro, che tali domanda o eccezione siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente e/o per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo del giudizio di secondo grado nel quale l’una o l’altra erano state proposte o riproposte, onde consentire al giudice di legittimità di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività della proposizione nel giudizio a quo e, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi (in termini, ad esempio, Cass. 19 maggio 2011, n. 10921, nonchè Cass., 21 aprile 2011, n. 9134; Cass. 5 aprile 2011, n. 7789, specie in motivazione, tra le tantissime).

Pacifico quanto precede si osserva che nella specie la ricorrente pur assumendo, in tesi, che i giudici di appello avrebbero omesso "ogni compiuta trascrizione delle conclusioni della parte appellante", si astiene totalmente dall’indicare in ricorso quali siano le conclusioni rassegnate dall’appellante e non trascritte nella intestazione della sentenza impugnata, limitandosi a fare riferimento, per relationem, alle pagine 6 e 7 della conclusionale di secondo grado e alla pagina 5 della memoria di replica (totalmente prescindendo dal considerare, da un lato, che al riguardo non è sufficiente il rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, dall’altro che la comparsa conclusionale e la memoria di replica, assolvono unicamente una funzione illustrativa delle domande e delle eccezioni ritualmente introdotte nel giudizio e sulle quali si sia instaurato il contraddittorio delle parti, non potendo di regola contenere domande o eccezioni nuove, Cass. 12 gennaio 2012, n. 31).

4. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia invalidità della sentenza di appello con violazione e falsa applicazione di norme di legge ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 perchè il collegio ha ignorato le risultanze istruttorie e le prove documentali acquisite, con error in giudicando, violazione degli artt. 112 ss., 132, 161, 183 ecc. cod. proc. civ., omesso riconoscimento di documentazione prodotta, omessa pronuncia in riferimento a domande, eccezioni ed assunti attore con decisione e valutazione ultra petitum, travisamento ed omissione delle prove istruttorie e documentali attoree che non risultano esaminate neanche nella motivazione con omissione di valutazione e pronuncia su dette prove e cioè su punti fondamenti della domanda con prospettabile nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 131, 161 ecc., illogica e contraddittoria motivazione ecc..

A fondamento del riferito motivo la ricorrente, oltre a riportare quanto dalla stessa dichiarato in sede di interrogatorio, ha trascritto la deposizione sia della propria madre nonchè di altro teste presente al fatto concordi nel riferire che la I. ha messo il proprio piede su una toppa scura di asfalto presente sul marciapiedi nella quale il piede è affondato, andando giù perchè era vuoto.

5. Il motivo è inammissibile.

Lo stesso, infatti, prescinde totalmente da quella che è la motivazione della sentenza impugnata.

Quest’ultima non ha rigettato la domanda della odierna ricorrente perchè ha affermato che il fatto riferito dai testi non si è mai verificato nella quale ipotesi senz’ombra di dubbio il motivo avrebbe avuto un qualche fondamento, ma sulla base di un iter argomentativo totalmente diverso, in alcun modo censurato con il motivo in esame.

I giudici del merito – in particolare – hanno rigettato la domanda assumendo che "nel caso in esame la prova sul nesso causale è mancata".

In altri termini, non è stata data alcuna – adeguata – prova che dal fatto, come descritto dai testi (e non contestato dai giudicanti) sia derivato il danno lamentato.

Puntualmente, alle pp. 8 e 9 la sentenza indica le ragioni per cui gli elementi forniti dalla difesa della attrice non sono idonei a ritenere il nesso causale tra l’infortunio del 10 agosto 2001 e la frattura del piede destro, che veniva evidenziata dal rilievo radiografico che attestava la presenza di un frammento osseo in sede articolare della caviglia destra.

Infatti – hanno sottolineato i giudici di appello – il tempo trascorso tra l’affondamento del piede nella buca sul marciapiede di piazza Manfredo Fanti in Roma e l’accertamento medico richiesto alle ore 22 del giorno successivo in un comune diverso da quello dell’infortunio e, ancora più, con la radiografia eseguita il 16 agosto 2001 a distanza di sei giorni dall’affermato infortunio, presso il presidio dell’Ospedale Bambino Gesù di Palidoro non consentono di ritenere il necessario collegamento tra l’episodio del 10 agosto 2001 e la frattura riscontrata 6 giorni dopo. La distanza temporale tra l’affermato infortunio e l’obiettivizzazione delle lesioni non consente di ritenere il nesso causale.

6. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta ulteriori omissioni su decisive risultanze istruttorie e prove acquisite ivi comprese le prove legali ex artt. 112, 11, 116 ecc. cod. proc. civ., artt. 2727 e 2729 cod. civ., con omessa risposta a ogni precisa richiesta ed eccezione formulata nei motivi in esame avverso la sentenza di primo grado e poi, con mancanza e/o grave difetto di motivazione della sentenza, non state riportate le circostanze decisive del motivo in modo distorto e difforme dalla realtà documentale nella quale hanno in modo determinante un valore inverso e contrario a quanto esposto nella motivazione, ergo in extrapetizione ed in difformità dell’obbligo di decidere iuxtra alligata et probata ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 ecc..

Si assume, in particolare:

– da un lato, che la sentenza di primo grado era stata ampiamente censurata per non avere considerato che essa concludente era incappata in un trabocchetto invisibile;

– dall’altro, che le considerazioni svolte in sentenza quanto alla insufficienza delle documentazione a dimostrare l’esistenza di un nesso di causalità tra il sinistro e il danno denunciato sono state sviluppate in assenza di qualsiasi specifica contestazione delle controparti e, quindi, ultra petita, anche quanto alla circostanza evidenziata in sentenza che l’Ospedale del Bambino Gesù sembrerebbe specializzato per gli interventi in età pediatrica e adolescenziale;

– da ultimo, che le prove testimoniali e di interrogatorio e dai documenti provenienti da pubblici ufficiali ospedalieri non sono mai stati contestati dalle parti convenute.

7. Al pari dei precedenti il motivo è inammissibile.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

7.1. I giudici di secondo grado, dopo avere – testualmente – affermato sia che voglia ricondursi la responsabilità all’ipotesi di cui all’art. 2043 cod. civ., sia nel caso in cui si ritenga più correttamente applicabile, come va effettuato con riferimento alle concrete circostanze del caso in esame, il principio di responsabilità oggettiva di cui all’art. 2051 cod. civ., il danneggiato richiedente il risarcimento ha l’onere di dimostrare la sussistenza della anomalia del bene demaniale e del nesso causale tra la cosa caratterizzata da tale anomalia e il danno riportato, hanno rigettato la domanda attrice perchè come già riferito in sede di esame del secondo motivo "nel caso in esame la prova sul nesso causale è mancata".

Pacifico quanto precede è di palmare evidenza che è assolutamente irrilevante, al fine del decidere (e di pervenire, come auspica parte ricorrente, alla cassazione della sentenza gravata) verificare se in concreto esisteva, o meno, una ipotesi di trabocchetto invisibile.

7.2. Come già riferito sopra, perchè si abbia violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ. è indispensabile che il giudice, alternativamente, o attribuisca alla parte un bene (o una utilità) diversa da quella da questa espressamente richiesta, o ponga, a fondamento della conclusione raggiunta, circostanze di fatto non risultanti dall’incarto processuale.

Pacifico quanto sopra è palese che dovendo il giudice, ex officio, verificare la fondatezza della domanda e, nella specie, accertare se l’attrice – cui, a norma dell’art. 2697 cod. civ., faceva carico il relativo onere – avesse fornito la prova dei propri assunti quanto alla esistenza di un nesso causale tra il sinistro (come descritto dai testi escussi) e il danno lamentato (frattura al piede destro) è palese che è assolutamente irrilevante, al fine del decidere (e di pervenire alla cassazione della sentenza impugnata) che le considerazioni svolte in sentenza quanto alla inidoneità della prova in atti a dare la prova degli assunti attorei non trovassero alcun riscontro nelle difese dei convenuti.

7. 3. Giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, la denuncia di un errore di fatto, consistente nella inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, non costituisce motivo di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ma di revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

Esso si configura, quindi, come una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile la quale ha portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato e, pertanto, consiste in un errore meramente percettivo, che in nessun modo coinvolge l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali percepite nella loro oggettività (In termini, Cass. 28 febbraio 2011, n. 4921; Cass. 21 febbraio 2011, n. 4205; Cass. 9 agosto 2010, n. 18485, specie in motivazione, tra le tantissime).

Pacifico quanto precede è palese la inammissibilità del motivo in esame, nella parte in cui denunzia che la sentenza impugnata avrebbe interpretato le risultanze documentali in termini opposti al loro obiettivo contenuto.

7. 4. Irrilevanti, al fine del decidere, si appalesano – ancora – tutte le considerazioni svolte nel motivo sulle ulteriori circostanze ivi sottolineate e, cioè, che anche maggiorenni possono avvalersi degli interventi dell’Ospedale del Bambino Gesù, che il fatto si è verificato in pieno periodo estivo, che all’epoca la I. trascorreva le proprie vacanze fuori Roma.

I fatti sopra riferiti, infatti, in alcun modo consentono di superare gli accertamenti in fatto compiuti dal giudici del merito (in alcun modo contestati dalla difesa della ricorrente) già sopra riferiti e, cioè:

– da un lato, che singolarmente, ancorchè il piede della I. sia affondato, su una toppa scura sull’asfalto alle ore 12 del 10 agosto, il primo accertamento medico sia stato chiesto alle ore 22 del giorno successivo;

– dall’altro, che la prima radiografia del piede rechi la data del 16 agosto, cioè a distanza di sei giorni dal sinistro.

Corretta – pertanto – appare la conclusione fatta propria dalla corte di appello, allorchè ha escluso che esista una adeguata prova che sussista un nesso di causalità tra il "sinistro" del 10 agosto e la frattura del piede destro della I., risultante dai rilievi clinici sopra ricordati.

7. 5. Comunque, concludendo sul punto, si osserva che in materia di responsabilità extracontrattuale, l’accertamento della sussistenza o meno del nesso di causalità tra la condotta e l’evento dannoso comporta valutazioni di fatto che, come tali, sono riservate al giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (tra le tantissime, Cass. 19 aprile 2006, n. 9085;

Cass. 23 luglio 2003, n. 11453; Cass. 11 marzo 2002, n. 3492).

8. Con il quarto motivo la ricorrente censura la sentenza gravata denunziando ulteriori vizi della pronunzia ex artt. 360, 112, 116 e 132 ecc. cod. proc. civ. con omissione di esame e pronuncia anche ex art. 88 e 96 cod. proc. civ. con iniqua ed affermata soccombenza attorea anche per le spese processuali, atteso che quanto al motivo relativo alla contestata condanna di essa attrice al pagamento delle spese di primo grado in favore del Comune di Roma la Corte di appello ha completamente omesso di menzionare, valutare e rispondere sulla richiesta applicazione nei confronti del convenuto comune e dei due chiamati … ex artt. 88-96 cod. proc. civ. in merito al tipo di dette difese nelle quali si era arrivati a una sistematica alterazione non solo delle norme di legge ma anche e soprattutto dell’istruttoria di primo grado.

9. Il motivo è, per più versi, inammissibile.

9. 1. Come ripetutamente affermato da questa Corte regolatrice, perchè possa utilmente dedursi in sede di ricorso per cassazione il vizio di omessa pronuncia è necessario, da un lato, che al giudice del merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente e inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronuncia si rendesse necessaria e ineludibile, e, dall’altro, che tali domanda o eccezione siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente e/o per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo del giudizio di secondo grado nel quale l’una o l’altra erano state proposte o riproposte, onde consentire al giudice di legittimità di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività della proposizione nel giudizio a quo e, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi.

Ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 cod. proc. civ., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di error in procedendo per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del fatto processuale, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere/dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena d’inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere a una loro autonoma ricerca ma solo a una verifica degli stessi, (in termini, ad esempio, tra le tantissime, Cass. 21 aprile 2011, n. 9134; Cass. 7 aprile 2011, n. 7789, specie in motivazione).

Pacifico quanto sopra, non controverso che nella specie la ricorrente si astiene dal trascrivere, in ricorso quali siano le domande o le eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente e inequivocabilmente formulate da essa ricorrente in sede di merito nel rispetto del principio del contraddittorio per le quali si rendesse necessaria e ineludibile una pronuncia da parte del giudice di appello, è palese la inammissibilità della deduzione.

9. 2. Anche a prescindere da quanto precede si osserva che – comunque – per quanto è citato comprendere dal complesso della articolata censura in esame – la difesa della ricorrente si duole essenzialmente non tanto che non sono state esaminate puntuali domande o eccezioni ritualmente introdotte in giudizio, ma – da una parte – del modo con cui sono state apprezzate, dai giudici del merito e dalla difesa delle controparti, le risultanze di causa la stragrande maggioranza delle quali – come osservato sopra – assolutamente irrilevanti al fine del decidere, dall’altro, che i giudici del merito non avrebbero replicato a quanto esposto nella comparsa conclusionale di appello.

Entrambe tali censure sono inammissibili.

Infatti:

– come già evidenziato sopra, la comparsa conclusionale assolve unicamente una funzione illustrativa delle domande e delle eccezioni ritualmente introdotte nel giudizio e sulle quali si sia instaurato il contraddittorio delle parti, non potendo di regola contenere domande o eccezioni nuove (Cass. 12 gennaio 2012, n. 315; Cass. 23 novembre 2011, n. 24728), sì che – contrariamente a quanto si invoca in ricorso – non può prospettarsi violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ. qualora si lamenti il mancato esame di nuove domande o eccezioni introdotte in causa unicamente in sede di comparsa conclusionale depositata nel corso del giudizio di secondo grado;

– giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice (da cui totalmente e senza alcuna motivazione totalmente prescinde la difesa della ricorrente) – nella redazione della motivazione della sentenza, il giudice non è tenuto a occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione e argomentazione delle parti, essendo necessario e sufficiente, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4, (nel testo ratione temporis vigente), che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con il percorso argomentativo seguito (Cass.27 settembre 2011, n. 19748;

Cass. 30 maggio 2011, n. 11945; Cass. 20 novembre 2009, n. 24542).

E’ palese, di conseguenza, che è irrilevante che il giudice di appello non abbia replicato a tutte le considerazioni sviluppate dalla difesa dell’allora appellante al fine di dimostrare la infondatezza degli argomenti addotti a sostegno della proposta impugnazione e, nel provvedere sulle spese di lite, abbia fatto puntuale applicazione della regola della soccombenza di cui all’art. 91 cod. proc. civ..

Specie tenuto presente che in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, sì che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (recentemente, in termini, Cass. 30 aprile 2012, n. 6597, nonchè Cass. 18 aprile 2007, n. 9296, specie in motivazione e Cass., sez. un., 15 luglio 2005, n. 14989).

10. Con il quinto, e ultimo, motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata denunziando "violazione della giurisprudenza di questa C.S.".

11. Il motivo – prima ancora che manifestamente infondato (certo essendo che perchè sia possibile affermare la responsabilità extracontrattuale per fatto illecito della p.a. devono ricorrere tutti gli estremi previsti dall’art. 2043 cod. civ., cioè la dimostrazione sia di un danno ingiusto sia di un nesso di causalità, tra la condotta del responsabile e l’evento dannoso Cass. 23 marzo 2011, n. 6681 e non diversamente la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 cod. civ., pur avendo carattere oggettivo, richiede per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia Cass. 13 luglio 2011, n. 15390; Cass. 19 maggio 2011, n. 11016 e nella specie la domanda è stata rigettata per la mancata dimostrazione del ricordato nesso di causalità) è inammissibile.

Giusta quanto assolutamente pacifico, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte, da cui totalmente – e senza alcuna motivazione – prescinde la difesa della ricorrente, si osserva che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso.

Il singolo motivo, sia prima della riforma introdotta con il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, sia successivamente, assume una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una limitata elasticità dal legislatore.

La tassatività e la specificità del motivo di censura esigono, quindi, una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito (Cass. 31 maggio 2010, n. 13222; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202;

Cass. 24 aprile 2008, n. 10667).

Certo quanto sopra, certo che – giusta la testuale previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, – "le sentenze pronunciate in grado di appello in un unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione" esclusivamente sotto uno dei profili tassativamente indicati nell’art. 360 cod. proc. civ., stesso comma 1 è evidente, che è onere del ricorrente indicare, chiaramente, e senza possibilità di equivoci, per ogni motivo, sotto quale profilo del ricordato art. 360 cod. proc. civ. è proposta la censura.

E’ inammissibile, quindi, il motivo di ricorso che non precisi se si intende censurare la sentenza "per motivi attinenti alla giurisdizione" (art. 360 c.p.c., comma 1 n. 1) o piuttosto "per violazione delle norme sulla competenza" (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2) o, ancora, "per violazione o falsa applicazione di norme di diritto" (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) o – infine – "per nullità della sentenza o del procedimento" (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), o, per ipotesi, "per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia" (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Non controverso quanto sopra, pacifico che con il motivo di ricorso in esame si denunzia "la violazione della giurisprudenza di questa C.S." è evidente che deve essere dichiarata la inammissibilità di tale censura.

Nè, ancora, può affermarsi che il ricorso per cassazione è ammissibile anche se non indica il contenuto degli articoli di legge che si assumono violati, purchè dal tenore delle censure esposte sia possibile evincere le norme di diritto cui il ricorrente si riferisce.

Al riguardo è sufficiente considerare che la giurisprudenza sul punto fa riferimento alla eventualità in cui il ricorrente per cassazione nel chiedere la cassazione per il motivo di violazione di norma di diritto non indichi gli articoli di legge che si assumono violati (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 17 luglio 2001, n. 9652;

Cass. 12 luglio 2004, n. 12127, tra le tantissime).

Diversamente, come sopra evidenziato, nella specie il quinto motivo del ricorso è stato formulato in termini tali da non consentire di comprendere se con lo stesso la ricorrente ha inteso censurare la sentenza impugnata "per motivi attinenti alla giurisdizione" o, piuttosto "per violazione delle norme sulla competenza" o, ancora, "per violazione o falsa applicazione di norme di diritto" o, per ipotesi, "per nullità della sentenza o del procedimento" o, infine, "per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia" ed è palese – come anticipato – la inammissibilità di tale censura sotto un profilo diverso da quello della mancata indicazione della norma violata dopo essere stato dedotto il vizio della violazione di legge.

Non può – da ultimo sul punto – affermarsi che la difesa del ricorrente ha – in realtà – inteso rimettere al giudizio di questa Corte la scelta e la identificazione del vizio della sentenza denunciato peraltro in termini criptici nella parte espositiva del motivo.

Un tale assunto – infatti – costituisce violazione del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., alla luce del quale ogni processo si volge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale e non è – certamente – tale il giudice che integra il ricorso, inquadrando i motivi sviluppati nello stesso in una delle ipotesi tassative di legge (piuttosto che altra), certo essendo che certi vizi possono essere dedotti, a pena di inammissibilità, solo sotto uno delle tassative ipotesi previste dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, il motivo di ricorso è inammissibile se lo stesso vizio è prospettato sotto altra ipotesi cfr., ad esempio, Cass. 27 gennaio 2006, n. 1755; Cass. 26 gennaio 2006, n. 1701; Cass. 11 novembre 2005, n. 22897).

12. Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso, in conclusione, deve rigettarsi con condanna della ricorrente al pagamento delle spese anche di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità liquidate, in favore del Comune di Roma in Euro 200,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge; in favore della UGF Assicurazioni S.p.a., in Euro 200,00 oltre Euro 1.700,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di cassazione, il 29 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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