Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-11-2011) 30-11-2011, n. 44416

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 22 marzo del 2010, la Corte d’appello di Salerno, in parziale riforma di quella pronunciata dal tribunale di Nocera Inferiore, riduceva ad anni due e mesi quattro di reclusione la pena che era stata inflitta a C.G., quale responsabile del delitto di tentata violenza sessuale, in danno di D.G. A. di anni 16, perchè, minacciandola di morte e tenendola per i fianchi e spingendola verso i garages di un condominio, aveva compiuto atti idonei a costringere la predetta a subire atti sessuali, in (OMISSIS).

La parte offesa, D.G.A., aveva riferito che nel mese di dicembre dell’anno 2008, intorno alle ore 22.30, tornata a casa a bordo dell’autovettura del cognato, dopo avere aperto il cancello del condominio era stata seguita dall’imputato il quale, minacciandola di morte e trattenendola per i fianchi, l’aveva spinta verso i garages sotterranei del condominio, che erano privi di illuminazione, contemporaneamente le aveva sfiorato i capelli. La condotta era stata improvvisamente interrotta per la casuale presenza dei carabinieri.

L’aggressore alla vista dei militari si era allontanato. Sulla base di queste dichiarazioni e di quelle rese dall’ufficiale di polizia giudiziaria, che si trovava nell’area condominiale, per effettuare il controllo di un arrestato domiciliare, i giudici del merito hanno affermato la responsabilità penale dell’imputato avendo ritenuto la condotta posta in essere idonea a configurare il tentativo di abuso sessuale.

Ricorre per cassazione l’imputato per mezzo del proprio difensore deducendo:

1) la violazione dell’art. 453 c.p.p., con riferimento al comma 1 bis introdotto dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, il quale prevede che il Pubblico Ministero deve richiedere il giudizio immediato per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare: il ricorrente, dopo avere premesso che era stato arrestato per il delitto di violenza privata ex art. 610 c.p. e che il provvedimento di custodia cautelare era stato confermato in sede di riesame, deduce che l’atto introduttivo del giudizio avrebbe dovuto essere il decreto che dispone il giudizio immediato emesso dal gip e non il decreto che dispone il rinvio a giudizio pronunciato dal gup all’esito dell’udienza preliminare; la questione è stata superata dal Tribunale prima e dalla Corte di merito dopo ritenendola priva di ricadute processuali; invece la questione non era priva di effetti processuali poichè una cosa è valutare se chiedere l’accesso alla rito alternativo di fronte ad una contestazione di reato di cui all’art. 610 c.p., che il Pubblico Ministero avrebbe dovuto elevare in applicazione dell’art. 453 c.p., mentre altra cosa è effettuare le stesse valutazioni in presenza di una diversa e più grave contestazione di tentativo di violenza sessuale; inoltre per il reato di cui all’art. 610 c.p. è competente il tribunale in composizione monocratica.

2) la nullità del giudizio per nullità della notifica del decreto che lo aveva disposto poichè, essendo l’imputato all’epoca sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, la notifica del decreto avrebbe dovuto essere effettuata non presso il difensore domiciliatario, ma presso la comunità terapeutica dove era ristretto;, in proposito ha precisato che sebbene fosse vero, come già rilevato dal Tribunale, che l’imputato era presente all’udienza preliminare, in quella sede il giudice si era limitato a indicare la data dell’udienza davanti al Tribunale in composizione collegiale, senza dare lettura del decreto che disponeva il giudizio;

3) illogicità della motivazione e travisamento della prova, sia con riferimento alla ritenuta attendibilità della parte lesa nonostante il mancato esperimento di un’indagine peritale sulla capacità di testimoniare, sia con riguardo alla deposizione del carabiniere M., il quale aveva contraddetto l’assunto della parte lesa relativamente alla descrizione dei luoghi;

4) la violazione dell’art. 62 bis per il diniego delle generiche sulla base dei soli precedenti penali;

5) la violazione dell’art. 609 bis c.p., comma 3 per il diniego dell’attenuante della lieve entità del fatto senza alcuna motivazione o con motivazione meramente apparente.

Motivi della decisione

Il ricorso va respinto perchè infondato.

Con riferimento al primo motivo si rileva che, a norma dell’art. 453 c.p.p., comma 1 bis inserito con la L. n. 92 del 2008, art. 2, il pubblico ministero richiede il giudizio immediato, anche fuori dei termini di cui all’art. 454, comma 1 ma comunque entro 180 giorni dall’esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottopposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, salvo che la richiesta pregiudichi gravemente le indagini.

La richiesta è formulata dopo la definizione del procedimento di cui all’art. 309 ovvero dopo il decorso dei termini per la proposizione della richiesta di riesame Una parte della dottrina ritiene che l’uso dell’indicativo "chiede" dimostra l’intenzione del legislatore di vincolare l’originario potere discrezionale del pubblico ministero, se non sussiste grave danno per le indagini. In realtà, secondo questa Corte, l’obbligo di procedere con il giudizio immediato in presenza dei presupposti indicati dalla norma, deve essere coniugato con il principio in forza del quale la scelta del rito compete in maniera esclusiva al pubblico ministero (cfr Cass n. 12573 del 2010 di questa stessa sezione) In ogni caso la norma trova applicazione allorchè il pubblico ministero esercita l’azione penale per il reato per il quale è stata disposta la misura cautelare Se esercita l’azione penale per un reato diverso o diversamente qualificato non è obbligato all’osservanza del rito immediato, sia perchè il dominus dell’azione penale è il pubblico ministero, sia perchè nella fase delle indagini preliminari l’imputazione è fluttuante.

D’altra parte, come già statuito da questa Corte (cfr la decisione già citata nonchè Cass n. 36656 del 2010), l’errore nella scelta del rito non determina nè la nullità di cui all’art. 178, lett. b) nè quella di cui all’art. 178, lett. c), in quanto non è stata violata nè l’iniziativa del pubblico ministero nè il diritto di difesa. Non ricorre la violazione dell’art. 178, lett. b) perchè il pubblico ministero era comunque il titolare dell’azione penale e non sono stati lesi i diritti della difesa perchè questa ha potuto sottoporre al giudice la questione della corretta qualificazione del fatto ed ha avuto la possibilità di chiedere il patteggiamento su una qualificazione del fatto diversa da quella proposta dal pubblico ministero. In definitiva ha potuto contestare la domanda proposta dal pubblico ministero al giudice. E’ accaduto però che tutti i giudici di primo e di secondo grado hanno ritenuto corretta la qualificazione del fatto proposta dal pubblico ministero.

Infondato è anche il secondo motivo perchè il prevenuto, come ammesso dallo stesso ricorrente e come risulta dal verbale, era presente allorchè il giudice ha indicato pubblicamente la data dell’udienza a nulla rilevando l’assenza nel momento in cui è stato materialmente redatto il decreto e ribadita la data dell’udienza già pubblicamente indicata. D’altra parte, secondo il prevalente orientamento di questa Corte (Cass n. 1416 del 2011, rv 249191; n. 25425 del 2007, rV 237151; n. 16431 del2008, rv 239535) è valida la notificazione all’imputato detenuto anche per altra causa eseguita presso il domicilio eletto dal medesimo e non presso il luogo di detenzione.

Il terzo motivo è inammissibile perchè sotto l’apparente deduzione di un vizio di legittimità in realtà si censura l’apprezzamento delle prove da parte della Corte territoriale, la cui motivazione non presenta alcuna incoerenza, errore giuridico o travisamento della prova.

In proposito la Corte, dopo avere premesso che la parte lesa era capace di testimoniare (trattasi di una ragazza di anni 16 priva di turbe psichiche) ha sottolineato che le dichiarazioni della vittima erano state parzialmente riscontrate dalle affermazioni dello stesso imputatoci quale aveva ammesso di avere sfiorato i capelli della ragazza e di averla spinta per i fianchi all’interno del cortile dicendole "cammina"; ha precisato però di essersi rivolto alla ragazza in modo arrogante solo per indurla a sbrigarsi, ma la precisazione è stata ritenuta inattendibile. La Corte ha altresì aggiunto che la deposizione della vittima era stata confermata dall’agente di polizia giudiziaria M.G., il quale ha dichiarato che la posizione delle due persone aveva attirato la sua attenzione poichè i due camminavano lentamente ed in maniera anomala, in sostanza procedevano in fila indiana; il teste ha precisato che alla sua vista il prevenuto si era allontanato mentre la ragazza si era avvicinata ed aveva immediatamente dichiarato che l’imputato l’aveva bloccata e poi spinta all’interno del cortile. La parte lesa nel corso della sua deposizione, come risulta dalla sentenza di primo grado, aveva lasciato chiaramente intendere di avere avuto la netta sensazione che l’uomo volesse costringerla ad appartarsi per abusare di lei sessualmente. Tale convincimento era fondato sul fatto che l’uomo, prima di avvicinarla, l’aveva fissata intensamente nonchè dal fatto che le aveva sfiorato i capelli sussurrandole parole all’orecchio. Le incertezze palesate dalla teste sulla durata dell’episodio e sulla distanza percorsa, evidenziate dal difensore, sono state legittimamente ritenute inidonee a scalfire l’impianto accusatorio. La motivazione della Corte non presenta quindi alcuna manifesta incoerenza o travisamento di prova. Questo, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, può essere dedotto con il ricorso per cassazione quando la decisione impugnata abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", essere superato il limite costituito dal "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Cass n. 19710 del 2009; n. 5223 del 2007; n. 24667 del 2007), circostanza questa che non ricorre nella fattispecie.

Inoltre il vizio di motivazione per travisamento della prova si può dedurre nell’ipotesi in cui il giudice del merito abbia fondato il suo convincimento su di una prova inesistente ovvero su di un risultato probatorio incontestabilmente diverso da quello reale e che tale divergenza abbia inciso sul convincimento del giudice Nel caso in esame le divergenze evidenziate dal difensore hanno riguardo circostanze del tutto ininfluenti ai fin i della decisione.

Le circostanze attenuanti generiche sono state legittimamente respinte in base ai numerosi precedenti penali. D’altra parte l’imputato non ha segnalato circostanze eventualmente apprezzabili ai fini del riconoscimento delle generiche.

Del parti legittimamente è stata negata l’attenuate della lieve entità del fatto perchè l’azione delittuosa, se portata a compimento, per le modalità del fatto, non si sarebbe potuta considerare di lieve entità. Ai fini della configurabilità dell’attenuante della lieve entità del fatto nel tentativo, non si deve tenere conto dell’azione effettivamente compiuta, ma di quella che il prevenuto aveva intenzione di realizzare e che non è stata compiuta per cause indipendenti dalla sua volontà.

P.Q.M.

La Corte letto l’art. 616 c.p.p. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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