Cass. civ. Sez. III, Sent., 19-06-2012, n. 10032 Padroni e committenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.1. Con atto di citazione dei 21-24 gennaio 2005 M.M., S.S. e C.O. convennero dinanzi al tribunale di Torino a spa Reale Mutua Assicurazioni e la sua agente Orri.co Domenico s.a.s. di Orrico D. & C, chiedendone la solidale condanna al rimborso di tutte le somme da loro versate al subagente R.G. in virtù di fittizi "contratti di capitalizzazione", stipulati dal febbraio 2002 al dicembre 2003.

1.2. Le convenute, costituitesi, contestarono la domanda attrice sia in punto di an che in ordine al quantum; la spa Reale Mutua propose domanda di manleva nei confronti della sua agente e quest’ultima chiamò in garanzia la propria compagnia assicuratrice Fondiaria SAI e lo stesso R..

1.3. Restato contumace soltanto quest’ultimo, il tribunale, escluso il rapporto di occasionante necessaria indispensabile per fondare la responsabilità ai sensi dell’art. 2049 cod. civ., rigettò la domanda.

1.4. La corte di appello ha rigettato poi, con sentenza 11.11.09 n. 1512, il gravame principale degli attori e quello incidentale della Reale Mutua, sia pur riconoscendo sussistente il negato rapporto di occasionalità necessaria.

1.5. Per la cassazione di tale sentenza ricorrono, affidandosi a due motivi, M.M., S.S. e C.O.;

resistono, con separati controricorsi, la spa Reale Mutua Assicurazioni – che propone altresì ricorso incidentale articolato su tre motivi ed ulteriore ricorso incidentale condizionato (di riproposizione delle domande di manleva già dispiegate? nei gradi precedenti contro la Orrico s.a.s. per i fatti del suo collaboratore) – e la Orrico Domenico s.a.s. di Orrico D. & C, nonchè la Fondiaria SAI; i ricorrenti principali e la Reale Mutua illustrano altresì con memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. le rispettive posizioni.

Motivi della decisione

2. Una volta premessa la necessità della riunione del ricorsi in quanto proposti, contro la medesima sentenza, la prima questione che viene in considerazione in ordine logico è quella agitata nei primi due dei tre motivi di ricorso incidentale (della Reale Mutua), di omessa o insufficiente motivazione in ordine alla sussistenza del rapporto di occasionalità necessaria, presupposto oggettivo dell’applicabilità dell’art. 2049 cod. civ., nonchè di violazione o falsa applicazione di quest’ultimo, per difetto di qualsiasi rapporto diretto – e quindi tanto meno di un ambito di autonomia del commesso e di un potere di vigilanza del presunto committente – con il subagente.

2.1. Sul punto, la corte territoriale riconosce la c.d.

occasionalità necessaria rilevando:

– che tutti i contratti proposti facevano riferimento espresso alla Reale Mutua ed anzi erano redatti su moduli di questa, il cui possesso – oltre a conferire particolare attendibilità a R. – poteva spiegarsi solo in dipendenza del suo rapporto con la medesima;

– che anche le eventuali diverse e migliori condizioni, rispetto ai prodotti della preponente, potevano.

Legittimamente essere proposti dal R. solo avvalendosi del suo rapporto con quest’ultima.

2.2. Va a questo punto precisato che la doglianza di falsa applicazione di norma di diritto non è ammissibile in quanto tale, visto che con essa la Reale Mutua non si duole di un errore nell’individuazione del significato della norma e nella sussunzione della fattispecie in quella astratta da essa disciplinata, ma di una pretesa erronea ricognizione della fattispecie concreta. Eppure, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di cassazione); viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge ed impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione; e lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato, in modo evidente, nel senso che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (giurisprudenza fermissima; da ultimo, v.: Cass. 20 aprile 2011, n. 9117; Cass. 12 aprile 2011, n. PAIO; Cass. 31 marzo 2011, n. 7459; Cass. 28 settembre 2011, n. 19789).

2.3. Va poi ricordato che, in applicazione dei principio di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione:

2.3.1. è necessario che il ricorso stesso contenga Lutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (ex multis: Cass. 9 giugno 2011, n. 12713; Cass. 4 aprile 2006, n. 7825);

2.3.2. pertanto, il ricorrente che proponga in sede di legittimità una determinata questione giuridica, la quale implichi accertamenti di fatto, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (per l’Ipotesi di questione; non esaminata dal giudice del merito: Cass. 20 ottobre 2006, n. 22540; Cass. 27 maggio 2010, n. 12992);

2.3.3. ancora, il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorio o processuali, ha l’onere di indicare specificamente il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla sua trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (con principio affermato ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., comma 1: Cass., ord. 30 luglio 2010, n. 17915).

2.4. In applicazione di tali principi alla fattispecie, nessuna delle doglianze può allora trovare accoglimento, perchè, in violazione del principio di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione (pacificamente esteso al ricorso incidentale: per tutte, v. Cass. 19 aprile 2004, n. 7392), la ricorrente incidentale: quanto al primo motivo, non trascrive in esso il tenore testuale dei documenti di cui sostiene una incongrua valutazione o da cui vorrebbe ricavare a carenza del rapporto di collaborazione, nè quello delle argomentazioni svolte nei precedenti gradi di merito (di queste neppure indicando la sede processuale); quanto al secondo motivo, non trascrive le argomentazioni svolte nei precedenti gradi di merito (di queste neppure indicando la sede processuale) in ordine alla contestazione di qualsiasi rapporto con il subagente (oltretutto non facendosi carico di valutare che andava contestata anche la sussistenza di rapporti tra questi e l’agenzia, presupposta invece dalla domanda, da essa Reale Mutua dispiegata, di mani èva nei confronti di questa).

2.5. Resta preclusa quindi a questa corte di legittimità la valutazione, limitata oltretutto al rilievo di eventuali evidenti vizi logici o giuridici nella ricostruzione dei fatti, delle censure agitate dalla ricorrente incidentale ed i primi due motivi del suo gravame vanno rigettati.

3. I due motivi di ricorso principale, tra loro congiuntamente esaminati, sono invece fondati.

3.1. Con quelli i ricorrenti si dolgono della conclusione dell’inesistenza della prova di pagamenti, opponibili alla committente, effettuati al suo subagente, come pure dell’esclusione della riferibilità dei risultati dell’istruttoria conseguiti nei confronti di uno dei condebitori solidali anche agli altri.

3.2. Sul punto, la corte territoriale esclude la sussistenza di prova sul fatto che gli attori abbiano realmente versato al R. le somme che affermano essere state loro sottratte, proprio nell’entità che ossi affermano, con conseguente difetto di prova sull’esistenza stessa di un danno; ed a tal fine esclude la rilevanza; della sentenza di patteggiamento in sede penale, perchè non rinvenuta agli atti; delle quietanze o degli altri atti, di riconoscimento di debito del R. stesso; dell’unico – dei numerosi in un primo tempo dedotti – assegno versato in atti (per non riferibilità del medesimo alle vicende di causa).

3.3. Orbene, la responsabilità dei padroni o committenti prevista dall’art. 2049 cod. civ. è pacificamente riconducibile allo schema delle obbligazioni solidali (Cass. 27 luglio 2011, n. 16417; Cass. 20 settembre 1977, n. 4009) e, stando all’opinione preferibile, configura un’ipotesi di responsabilità per fatto altrui, giustificata con l’accollo di ogni rischio al committente (o padrone) in dipendenza della sua attività e della sua determinazione di avvalersi dell’opera di altri. Ne consegue che le confessioni, giudiziali o meno, rese dal condebitore che non sia autore del fatto fanno prova nei confronti degli altri, ma nei limiti di un prudente apprezzamento (per tutte: Cass. 7 maggio 2007, n. 10304 e Cass., ord. 15 dicembre 2011, n. 27024). Proprio per questo, però, non può svalutarsi sic et simpliciter quale elemento formatosi nei confronti di uno solo dei condebitori solidale la confessione o l’ammissione dell’autore dell’unico fatto generatore di responsabilità: occorre invece una positiva motivazione, diversa da quelli;, della provenienza da un soggetto diverso da quello nei confronti si vorrebbe azionare, sull’esclusione della valenza probatoria di un tale elemento probatorio; ed una motivazione che si faccia poi carico dell’unicità del fatto generatore di responsabilità e della tendenzialmente normale riferibilità della prova di esso non solo al suo autore, ma anche a chi, pur esente da colpa diretta nella produzione dell’evento, è chiamato comunque a rispondere del fatto di colui della cui attività od opera si giova.

3.4. E’ ben vero, poi, che i vizi motivazionali non possono mai consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare.

I fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge In cui un valore legale è assegnato alla prova (giurisprudenza fermissima; per tutte: Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. sez. un., 21 dicembre 2009, n. 26825; Cass. 2 6 marzo 2010, n. 7394).

3.5. E tuttavia questa stessa Corte ha riconosciuto la congruità della valutazione complessiva di una serie di elementi in controversia singolarmente analoga a quella oggi esaminata (Cass. 16 maggio 2012, n. 7634) e decisa in senso opposto dalla medesima corte territoriale, in cui le vittime di attività illecita di un sub- agente assicurativo hanno conseguito il ristoro dei danni sulla base della congiunta considerazione: di una confessione stragiudiziale resa dal materiale percettore delle somme (e, in quanto tale, obbligato principale e diretto alla restituzione), siccome liberamente valutabile dal giudice (Cass. 15 dicembre 2011, n. 27042); di una sentenza resa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., costituendo essa un importante elemento di prova per il giudice, il quale, ove intendesse disconoscerne l’efficacia probatoria, avrebbe il dovere di motivarne le ragioni (Cass. 26 marzo 2012, n. 4804;

Cass. 20 luglio 2011, n. 15889); della considerazione della condotta extraprocessuale e processuale delle controparti.

3.6. Orbene, risultano accertati:

– da un lato, l’illecito commesso dal R. (v. pag. 7 della gravata sentenza), con conseguente suo debito nei confronti degli attori (v.

pag. 8 della gravata sentenza, primo capoverso);

– dall’altro lato, che questi deve ritenersi, in modo ormai non più ritrattabile per i vizi formali della doglianza sul punto svolta dalla Reale Mutua, essere stato collegato all’impresa assicuratrice – se del caso, anche per il tramite della sua agente – da un vincolo idoneo ad attivare nei confronti di questa la responsabilità ai sensi dell’art. 2049 cod. civ. (sulla responsabilità del subagente, v. la già richiamata Cass. 7634 del 2012).

3.7. Tale complessivo accertamento fonda a sufficienza la responsabilità anche delle assicuratrici, le quali rispondono proprio del fatto del primo, come accertato nei suoi confronti, in dipendenza dell’acciaiato – o comunque non più utilmente contestabile – vincolo di questo con quelle. E dei singoli elementi probatori, o quanto meno indiziari, forniti dalle vittime di tale criminosa attività solamente una considerazione atomistica o parziale, in quanto tale non congrua e non adeguata alla peculiarità della fattispecie, ne ha consentito la totale svalutazione; infatti:

– quanto alla sentenza di cd. patteggiamento, pacifica essendo invece la sua produzione (con menzione della relativa circostanza nel verbale di udienza 3.4.07, richiamata a pag. 8 della gravata sentenza), sarebbe stato necessario dispone le opportune ricerche, ove non rinvenuta agli atti al momento della decisione; e, comunque, per quanto detto, nel merito avrebbe essa costituito un importante elemento, da valutare se non altro e ad ogni buon conto espressamente;

– quanto alle quietanze del R., esse configurano la prova della percezione delle somme da parte di questi e quindi del suo debito e, quindi, in dipendenza della sua attività criminosa e dell’accertato o non più contestabile presupposto di occasionalità necessaria, del correlativo debito dell’agenzia e dell’assicuratrice;

quanto all’incerta riferibilità del solo assegno versato alle vicende per cui è causa, esso deve essere comunque inquadrato in un contesto complessivo di. comprensibile difficoltà di mantenere prova documentale puntuale delle singole erogazioni;

la libera apprezzabilità dei risultati di un interrogatorio formale non autorizza, di per sè sola, una conclusione favorevole per i corresponsabili, soprattutto se avulsa dal contesto delineato:

occorrendo appunto una positiva valutazione delle risultanze stesse;

infine, la formale distinzione soggettiva tra una società, non meglio individuata neppure nella sua forma giuridica, e gli attori in ripetizione, su cui la certe territoriale fonda la non riferibilità del riconoscimento del debito da parte del Rota, non è adeguatamente considerata nel medesimo contesto e non da adeguato conto della possibile permeabilità contabile tra i relativi patrimoni.

4. La gravata sentenza va quindi cassata, con rinvio al medesimo giudice del merito, affinchè – provvedendo pure sulle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità – rivaluti il materiale probatorio dopo avere fatto applicazione del seguente principio di diritto: in tema di responsabilità ai sensi dell’art. 2049 cod. civ., la conseguita certezza sull’esistenza del fatto dannoso del commesso fonda di per sè, attesa l’unicità del fatto generatore, la responsabilità solidale del committente.

5. Tanto comporta l’assorbimento dell’ultimo motivo de ricorso incidentale della Reale Mutua Ass.ni, relativo al carico delle spese:

il quale sarà complessivamente valutato in relazione all’esito finale della lite; ed il ricorso incidentale condizionato, con cui sono state riproposte le domande di manleva, risulta del pari assorbito, essendo con la cassazione della gravata sentenza rimesse, per consolidata giurisprudenza, le medesime appunto al giudice del rinvio in dipendenza dell’eventuale accoglimento delle domande nei confronti della chiamante.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso incidentale ed accoglie il principale;

cassa la gravata sentenza e rinvia alla corte di appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 29 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2012

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