Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-11-2011) 30-11-2011, n. 44414 Giudizio d’appello rinnovazione del dibattimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 20 maggio 201, la Corte d’Appello di Venezia confermava la sentenza con la quale, in data 15 dicembre 2003, il Tribunale di Padova riconosceva T.P. colpevole del reato di cui all’art. 600ter, commi 1, 2 e 3, per aver fatto commercio di videocassette contenenti filmati pornografici realizzati con interpreti minorenni anche di età inferiore ai 14 anni.

La vicenda processuale traeva origine da indagini svolte dalla polizia tedesca nei confronti dei soggetti produttori di filmati pornografici, in occasione delle quali veniva rinvenuta la documentazione contabile relativa all’acquisto di supporti magnetici da parte del T., presso l’esercizio commerciale del quale venivano rinvenute, a seguito di perquisizione e sequestrate 299 videocassette, 86 occultate sotto un divanetto e le rimanenti riposte su uno scaffale in un locale adibito a magazzino.

Avverso tale pronuncia il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione di legge, il vizio di motivazione e la mancata assunzione di una prova decisiva, lamentando la negata rinnovazione parziale del dibattimento da parte della Corte territoriale.

Ricordava, a tale proposito, di aver richiesto con l’atto di appello la riapertura parziale dell’istruzione dibattimentale al fine di acquisire il verbale d’udienza di altro procedimento, relativo all’escussione di un teste del Pubblico Ministero ed all’esame dell’imputato e che tale richiesta era stata del tutto ignorata dai giudici del gravame come se fosse stata formulata esclusivamente in sede di discussione, cosicchè non era stata pronunciata ordinanza come stabilito dall’art. 603 c.p.p., comma 5. Tale richiesta, aggiungeva, era finalizzata all’assunzione di elementi probatori decisivi riguardanti il coinvolgimento di minori, l’elemento soggettivo del reato, l’epoca e le modalità di acquisto delle videocassette.

Con un secondo motivo di ricorso deduceva la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento all’oggetto della contestazione, rilevando che pur essendo rimasta immutata, dopo le modifiche apportate all’art. 600ter c.p. dalla L. n. 38 del 2006, la fattispecie descritta al comma 2, quella contenuta nel comma 1, che della predetta costituisce necessario presupposto, ha subito rilevanti mutamenti.

In particolare, mentre attualmente è sanzionata la condotta di chi, "…utilizzando minori…realizza" materiale del genere di quello oggetto del procedimento, all’epoca dei fatti tale condotta era riferita a "chiunque sfrutta minori degli anni 18 al fine di… produrre… " detto materiale, con la conseguenza che la contestazione contenuta nel capo di imputazione è riferita ad una fattispecie più ampia e generica rispetto a quella prevista dalla disposizione vigente al momento in cui il reato si assumeva commesso.

Rilevava, pertanto, che mancava del tutto la prova che il reato presupposto fosse stato commesso mediante sfruttamento di minori e che di tale sfruttamento e della minore età degli interpreti dei filmati egli fosse consapevole.

Specificava, inoltre, che tale assunto era stato oggetto di specifica doglianza nell’atto di gravame che, però, la Corte territoriale aveva del tutto ignorato.

Con un terzo motivo di ricorso lamentava il vizio di motivazione, osservando che la Corte veneziana aveva omesso qualsivoglia valutazione in ordine alla sussistenza del reato presupposto nei termini consentiti dalla norma vigente all’epoca dei fatti contestati, limitando il proprio esame al contenuto delle videocassette come risultante dalle dichiarazioni dell’operatore di polizia tedesco escusso al dibattimento ed alle dichiarazioni di altro teste.

Denunciava, inoltre, analoghe carenze motivazionali con riferimento ad altra videocassetta che, nell’ipotesi accusatoria, si assumeva essere stata ceduta ad un acquirente di Verona.

Con un quarto motivo di ricorso deduceva il vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza della consapevolezza, da parte dell’imputato, del contenuto delle videocassette, lamentando che la Corte del merito avrebbe travisato il significato di un documento proveniente dal produttore dei supporti e le modalità di rinvenimento degli stessi che, contrariamente, a quanto ritenuto, non erano occultati e, in occasione di precedenti accertamenti, non erano stati neppure presi in considerazione.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Va ricordato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che la giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che l’istituto della rinnovazione dibattimentale di cui all’art. 603 c.p.p. costituisce un’eccezione alla presunzione di completezza dell’istruzione dibattimentale di primo grado dipendente dal principio di oralità del giudizio di appello, cosicchè si ritiene che ad esso possa farsi ricorso, su richiesta di parte o d’ufficio, solamente quando il giudice lo ritenga indispensabile ai fini del decidere, non potendolo fare allo stato degli atti (v. Sez. 2, n. 3458, 27 gennaio 2006 ed altre prec. conf.).

Si è ulteriormente osservato che, per il carattere eccezionale dell’istituto, è richiesta una motivazione specifica solo nel caso in cui il giudice disponga la rinnovazione, poichè in tal caso deve rendere conto del corretto uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, mentre, in caso di rigetto, è ammessa anche una motivazione implicita, ricavabile dalla stessa struttura argomentativa posta a sostegno della pronuncia di merito nella quale sia evidenziata la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (Sez. 3, n. 24294, 25 luglio 2010; Sez. 5 n. 15320, 21 aprile 2010; Sez. 4 n. 47095, 11 dicembre 2009).

Per tali ragioni si è anche ritenuto che il giudice di legittimità possa sindacare la correttezza della motivazione sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento entro l’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato e non anche sulla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire (Sez. 4 n. 47095/09 cit; Sez. 4 n. 37624, 12 ottobre 2007; SS.UU. n. 2110, 23 febbraio 1996).

Alla luce di tali principi appare evidente che nessuna censura può essere mossa alla Corte territoriale, la quale ha, peraltro, ritenuto di indicare comunque le ragioni per le quali non riteneva necessaria la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, osservando che detta richiesta ineriva ad elementi di prova riguardanti fatti diversi da quelli in contestazione, in relazione ai quali riteneva sussistente un quadro probatorio completo ed esaustivo, tale da consentire la conferma della decisione del giudice di prime cure.

Parimenti infondato risulta il secondo motivo di ricorso.

Il ricorrente incentra la propria doglianza sul presupposto di un più ristretto ambito di operatività dell’art. 600ter c.p., nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte con la L. n. 38 del 2006 e, segnatamente, per l’esplicito riferimento allo sfruttamento di minori, anzichè alla loro mera utilizzazione nonchè, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, per l’utilizzazione dell’espressione "al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico" in luogo dell’attuale "realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico".

Il ricorrente richiama, in particolare, l’attenzione sulla circostanza che non vi sarebbe stata la prova della produzione dei filmati mediante sfruttamento dei minori, senza tuttavia specificare quale dovrebbe essere. secondo la sua opinione, il più ristretto significato di tale termine rispetto a quello attualmente utilizzato.

Va a tale proposito ricordato che, con riferimento alla previgente formulazione della disposizione in esame, le Sezioni Unite di questa Corte (SS. UU. n. 13, 5 luglio 2000) ebbero modo di chiarire che il termine sfruttare era stato utilizzato dal legislatore "… nel significato di utilizzare a qualsiasi fine (non necessariamente di lucro), sicchè sfruttare i minori vuoi dire impiegarli come mezzo, anzichè rispettarli come fine e come valore in sè: significa insomma offendere la loro personalità, soprattutto nell’aspetto sessuale, che è tanto più fragile e bisognosa di tutela quanto più è ancora in formazione e non ancora strutturata".

Si è successivamente chiarito che l’intenzione del legislatore, con la previsione della norma in esame, è quella di stabilire una tutela anticipata della libertà sessuale del minore reprimendo e sanzionando ogni comportamento prodromico che ne metta a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo; lo "sfruttamento" del minore può essere realizzato anche mediante la sua utilizzazione (per realizzare materiale pornografico) non sorretta da fini di lucro e non reiterata nel tempo (Sez. 3, n. 26256, 24 giugno 2009).

Con riferimento, invece, alla attuale formulazione dell’art. 609ter c.p., si è chiarito che il concetto di utilizzazione comporta la degradazione del minore ad oggetto di manipolazioni, non assumendo valore esimente il relativo consenso, mentre le nozioni di produzione e di esibizione richiedono l’inserimento della condotta in un contesto di organizzazione almeno embrionale e di destinazione, anche potenziale, del materiale pornografico alla successiva fruizione da parte di terzi (Sez. 3 n. 17178. 6 maggio 2010; Sez. 3 n. 27252, 12 luglio 2007).

Alla luce di tali condivisibili principi deve ritenersi che l’utilizzazione del più generico termine di utilizzazione abbia inteso certamente ampliare l’ambito di operatività della disposizione contenuta nell’art. 609 ter c.p., comma 1, eliminando ogni eventuale ulteriore dubbio interpretativo che potrebbe essere indotto dal termine sfruttamento, ma tale circostanza non rileva ai fini della questione sottoposta all’attenzione della Corte veneziana, in quanto il reato contestato al ricorrente poteva ritenersi comunque configurato, ben potendosi considerare, in base ai principi in precedenza richiamati, che il materiale pornografico trovato in suo possesso proveniva da un’attività che prevedeva un coinvolgimento di minori in attività sessuali esplicite, certamente collocabile tanto entro il termine di sfruttamento come individuato dalle Sezioni Unite di questa Corte, quanto in quello di utilizzazione attualmente presente nel menzionato articolo.

Ne consegue che il fatto storico contestato nel capo di imputazione ("…faceva commercio di videocassette relative a filmati pornografici realizzati con interpreti minorenni (anche di età inferiore ai 14 anni)") era perfettamente coerente ed in linea con la previsione normativa vigente all’epoca di commissione del reato.

Ad una valutazione di infondatezza deve pervenirsi anche per quanto attiene al terzo motivo di ricorso.

La Corte territoriale ha infatti adeguatamente accertato, con motivazione congrua e scevra da cedimenti logici, il contenuto effettivo delle videocassette rinvenute presso l’imputato e, segnatamente, la partecipazione ad atti sessuali espliciti di soggetti minorenni, attraverso l’escussione dell’operatore di polizia tedesco, il quale ha dichiarato di aver verificato l’età degli interpreti dei filmati attraverso i documenti di identità degli stessi ed i contratti stipulati.

Da tale accertamento si era appreso che 111 film, tra quelli sequestrati, vedevano come protagonisti giovani che, al momento della produzione, avevano un’età compresa tra i 12 ed i 17 anni, mentre, per altre videocassette, si era accertata la falsità dei dati anagrafìci degli attori, fatti risultare maggiorenni quando ancora non lo erano.

Per la cassetta ceduta ad un acquirente di Verona come da riscontro documentale, invece, l’accertamento della minore età del protagonista era in avvenuto sulla base delle valutazioni del consulente medico del Pubblico Ministero che, esaminato in udienza, aveva evidenziato l’insufficiente sviluppo fisico del giovane, in particolare del suo apparato pilifero.

Si tratta, nella fattispecie, di argomentazioni del tutto coerenti che non evidenziano alcun profilo di illogicità o palese contraddizione e che, come tali, superano agevolmente il vaglio di legittimità cui sono state sottoposte entro i limiti consentiti in questa sede dall’art. 606 c.p.p., lett. e) e delineati dall’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte.

Anche il quarto motivo di ricorso risulta infondato.

I giudici del gravame, anche in questo caso con motivazione immune da censure, hanno ritenuto che era certa la destinazione al commercio delle videocassette sequestrate in ragione della specifica attività di compravendita di materiale pornografico svolta dall’imputato, dal numero dei supporti e dall’importo speso per l’acquisto e per la collocazione di detti supporti all’interno dell’esercizio commerciale, seppure con modalità particolari, essendo riposte alcune in un locale magazzino ed altre occultate in un cassetto posto sotto un divano, che ne consentivano comunque la pronta consegna ad un eventuale acquirente.

Con altrettanta certezza la sussistenza dell’elemento psicologico del reato veniva ricavata dal contenuto di una lettera circolare della ditta produttrice dei filmati, che indicava esattamente l’anno (1997), antecedente a quello dell’acquisto da parte dell’imputato, dal quale la produzione aveva impiegato esclusivamente attori maggiorenni, dalle concrete modalità di conservazione del materiale e dal contenuto inequivoco di gran parte dei titoli dei film contenuti nei supporti sequestrati.

Ricordando, correttamente, come nella fattispecie in contestazione l’elemento psicologico del reato possa ritenersi integrato dalla semplice coscienza e volontà di commerciare materiale pedopornografico, ne ipotizzava anche la sussistenza, quanto meno, nella forma del dolo eventuale, osservando che l’inserimento dell’imputato nell’ambito di una specifica attività professionale lo rendeva edotto del rischio conseguente all’acquisto di videocassette con protagonisti minorenni specie in casi, quali quello in esame, ove i supporti magnetici provenivano da paesi la cui legislazione, meno restrittiva di quella italiana, consentiva, entro certi limiti, l’impiego di minori dei 18 anni e rendeva manifesta l’accettazione del rischio dell’evento tipico del reato prossimo alla certezza.

Nè la Corte territoriale avrebbe potuto considerare, ai fini di una diversa valutazione dell’elemento soggettivo del reato, la circostanza che, in occasione di precedenti controlli, non era stato mosso all’imputato alcun rilievo in ordine alla presenza delle videocassette nell’esercizio commerciale, non disponendo di alcun elemento fattuale di riscontro circa le modalità dell’accertamento e l’esistenza di una effettiva verifica proprio su quei supporti.

Di conseguenza deve osservarsi – tenuto conto, anche in questo caso, che non è consentita in questa sede una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione – che le argomentazioni prospettate nella sentenza impugnata presentano una coerenza logica ed una solidità strutturale immune da qualsiasi contraddizione evidente e che tale condizione preclude qualsivoglia censura da parte di questa Corte.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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