Cass. civ. Sez. II, Sent., 20-06-2012, n. 10210 Distanze legali tra costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L.T.N. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, avverso la sentenza della Corte di Appello di Catania del 15.10.2005 che, accogliendo il gravame proposto da G. G. ed in parziale riforma della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Ragusa e depositata il 15 giugno 2001, l’aveva condannata ad arretrare, fino alla distanza di metri dieci dal confine con il fondo di cui l’appellante era comproprietario, il fabbricato da lei edificato su un suo fondo, sito in (OMISSIS), iscritto in catasto al foglio 180, part. 1675, nonchè alle spese del doppio grado del giudizio.

Ha resistito, con controricorso, G.G..

Motivi della decisione

1. Va anzitutto rigettata l’eccezione, formulata dal controricorrente, di inammissibilità del ricorso per omessa formulazione dei quesiti, in quanto al ricorso in esame non si applica il disposto dell’art. 366 bis cod. proc. civ., essendo stata la sentenza impugnata depositata in data 15 ottobre 2005 e, quindi, prima dell’entrata in vigore (2 marzo 2006) della norma citata, introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 5.

2. Con il primo motivo, rubricato come "violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. II P.R.G. del Comune di Ragusa.

Falsa applicazione di quella norma contrassegnata DA, ritenendola ingiustamente norma integrativa dell’art. 873 c.c.", la ricorrente assume che le norme degli strumenti urbanistici che prescrivono le distanze nelle costruzioni conservano il carattere integrativo delle norme del codice civile qualora tendano a disciplinare i rapporti di buon vicinato, laddove, invece, nell’art. II (Zona DA) del piano regolatore generale del Comune di Ragusa non si rinverrebbe alcuna prescrizione in ordine alle distanze tra gli edifici fronteggianti e posti su fondi finitimi e in esso mancherebbe ogni disciplina dei rapporti di buon vicinato, trattandosi di normativa volta "al perseguimento di fini pubblici, alla tutela di interessi generali urbanistici, quali i "distacchi" dai fronti confinanti con spazi pubblici e dai confini", termine, quest’ultimo, da intendersi – ad avviso della ricorrente – come "confini di zona".

Rappresenta, inoltre, la ricorrente che il P.R.G. in esame, non disponendo del piano particolareggiato e del piano di lottizzazione, strumenti di attuazione del piano, e mancando di "norme integrative dei rapporti di buon vicinato" non potrebbe avere "carattere precettivo, immediato".

3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 100 cod. proc. civ. sostenendo che, non perseguendo l’art. II del P.R.G. di Ragusa fini privatistici, nessuna lesione dei suoi vantati diritti potrebbe vantare il G. che, pertanto, non avrebbe diritto a contraddire e a "proporre" eventuali danni.

4. Con il terzo motivo la ricorrente cesura la statuizione adottata dalla Corte di merito in tema di spese.

5. Il primo motivo è infondato.

Questione nodale da risolvere è quella relativa alla qualificazione dell’art. II (Zona DA) del P.R.G. di Ragusa come norma integrativa o non dell’art. 873 cod. civ..

La decisione impugnata, richiamandosi a numerosi precedenti di questa Corte, ha correttamente ritenuto che le norme degli strumenti urbanistici che prescrivono le distanze nelle costruzioni, o come spazio tra le medesime, o come distacco dal confine, o in rapporto con l’altezza delle stesse, ancorchè inserite in un contesto normativo volto a tutelare il paesaggio o a regolare l’assetto del territorio, conservano il carattere integrativo delle norme del codice civile perchè tendono a disciplinare i rapporti di vicinato e ad assicurare in modo equo l’utilizzazione edilizia dei suoli privati e, pertanto, la loro violazione consente al privato di ottenere la riduzione in pristino (v., ex plurimis, Cass., 30 maggio 2001, n, 7384). Questa Corte ha anche affermato che in tema di distanze legali, le norme del P.R.G. devono essere considerate integrative rispetto alla disciplina dettata dal codice civile, ove siano stabilite nelle materie disciplinate dall’art. 873 c.c. e segg. e tendano ad armonizzare la disciplina dei rapporti intersoggettivi di vicinato con il pubblico interesse ad un ordinato assetto urbanistico, con la conseguenza che appartengono a tale novero le disposizioni del piano regolatore che stabiliscono una determinata distanza delle costruzioni dal confine del fondo (Cass., 30 agosto 2004, n. 17390); ha, inoltre, precisato che, nella materia in questione, sono da ritenere integrative delle norme del codice civile solo le disposizioni dei regolamenti edilizi locali relative alla determinazione della distanza tra i fabbricati in rapporto all’altezza e che regolino con qualsiasi criterio o modalità la misura dello spazio che deve essere osservato tra le costruzioni, mentre le norme che, avendo come scopo principale la tutela d’interessi generali urbanistici, disciplinano solo l’altezza in sè degli edifici, senza nessun rapporto con le distanze intercorrenti tra gli stessi, tutelano, nell’ambito degli interessi privati, esclusivamente il valore economico della proprietà dei vicini; ne consegue che, mentre nel primo caso sussiste, in favore del danneggiato, il diritto alla riduzione in pristino, nel secondo è ammessa la sola tutela risarcitoria (Cass., 16 gennaio 2009, n. 1073).

Nel caso all’esame risulta accertato che la costruzione della ricorrente è posta a soli m. 3,22 dal confine con il fondo del resistente; nè può condividersi l’interpretazione della norma del P.R.G. in questione prospettata dall’attrice e secondo cui, laddove essa prevede che "I distacchi dai fronti confinanti con spazi pubblici non può essere inferiore a m. 20 e quello dai confini inferiore a m. 5", il termine "confini" debba essere inteso come "confini di zona"; tale interpretazione, infatti, oltre ad essere stata prospettata, per quanto risulta, solo in questa sede, non può essere condivisa risultando del tutto apodittica e priva di ogni supporto, sia letterale che sistematico, nella disposizione in parola che riporta tale termine senza nessuna specificazione.

In relazione all’ulteriore profilo di doglianza rappresentato dalla ricorrente nella parte finale del motivo in esame e relativo alla mancanza di normativa di dettaglio del P.R.G. in questione, osserva la Corte che trattasi di circostanza irrilevante alla luce del principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui le norme sulle distanze legali contenute vuoi nel piano regolatore generale, vuoi nelle relative norme tecniche di attuazione, hanno natura integrativa dei precetti di cui all’art. 873 cod. civ. e la loro violazione legittima colui che assume di essere stato danneggiato dalle costruzioni eseguite in violazione di esse a domandare la riduzione in pristino ex art. 872 cod. civ. (Cass., 23 luglio 2009, n. 17338; Cass. 23 marzo 2001, n. 213).

6. Dal rigetto del primo motivo, in base alla motivazione che precede, risulta evidente la sussistenza, in capo al G., dell’interesse ex art. 100 cod. proc. civ., contestato ex adverso, e ne consegue l’assorbimento del secondo motivo di ricorso.

7. Il terzo motivo – con cui la ricorrente si limita a sostenere che "La sentenza impugnata, conseguentemente, non poteva condannare alle spese del giudizio. Per altri motivi deducendi." – è inammissibile per genericità, in quanto non si evidenzia in esso la denuncia di alcun vizio di legittimità o di motivazione della pronuncia della Corte di merito, che, peraltro – e tanto comporta, comunque l’infondatezza del motivo all’esame -, ha fatto corretta applicazione del principio della soccombenza, richiamandosi espressamente all’art. 91 cod. proc. civ..

8. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 29 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2012

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